Usura sopravvenuta: la pronuncia delle Sezioni Unite. Osservazioni e rilievi critici

Le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, con la recentissima sentenza 19 ottobre 2017, n. 24675[1], hanno negato la configurabilità del fenomeno dell’usura sopravvenuta[2].

In particolare è stato affermato che, qualora il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 180 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore alla predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula.

Inoltre, la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato non può quindi essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria ai doveri di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Le Sezioni Unite, delineando le due distinte circostanze fattuali di realizzazione dell’usura sopravvenuta, approdano, per entrambe, alla sostanziale irrilevanza, tanto con riferimento alla validità e all’efficacia di un contratto di mutuo, quanto, specificamente, alla clausola di determinazione del tasso di interesse, dello ius superveniens e delle sopravvenienze.

L’unico momento consuntivo è pertanto riconosciuto nella stipulazione (senza che sia dato alcun rilievo alla dazione).

La soluzione adottata, lungi dal superare molte delle criticità da sempre ascritte all’orientamento contrario alla configurabilità dell’usura nella variante sopravvenuta, pare ingenerare qualche perplessità, per i motivi che si cercherà di rassegnare e analizzare diffusamente di seguito.

Il caso in esame

L’ordinanza di rimessione 31 gennaio 2017, n. 2484[3], originava all’interno di un ricorso proposto da una Società finanziaria avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, che, riformando quella di primo grado, respingeva la domanda di ripetizione degli importi corrisposti, nell’ambito di un rapporto di mutuo fondiario, intrattenuto con l’Istituto di credito appellante, in violazione di quanto disposto dalla legge n. 108/96 con riferimento alla determinazione del tasso di interesse.

La Corte territoriale, disattendendo le determinazioni del Tribunale, riconosceva la sussumibilità del contratto de quo all’interno della categoria di mutuo fondiario agevolato espressamente disciplinata dal d.P.R. n. 7/1996 e, consequenzialmente, la prevalenza della normativa speciale sul regime generale, ai sensi degli artt. 1813 ss. c.c..

Ne derivava la legittimità dei tassi di interesse pattuiti e applicati al rapporto di finanziamento.

La Società ricorreva, proponendo cinque motivi d’impugnazione, tra i quali, per i fini che più interessano in questa trattazione, l’applicabilità della normativa antiusura anche ai contratti di mutuo fondiario agevolato, ove effettivamente quello posto in essere fosse da qualificarsi come tale.

La Prima Sezione, risolvendo preliminarmente in maniera positiva la questione circa l’astratta operatività del sistema normativo introdotto nel panorama ordinamentale con la legge n. 108/96 anche rispetto ai contratti di mutuo fondiario, rilevava l’impossibilità di definire la concreta applicazione della norma antiusura rispetto a un contratto stipulato anteriormente all’entrata in vigore di quest’ultima, stante la presenza in tal senso ostativa di due antitetici orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità.

La questione veniva pertanto rimessa alle Sezioni Unite.

Il contrasto giurisprudenziale

Il primo filone interpretativo[4], avvalorante la letteralità del dato normativo[5], era incentrato sull’assoluta irrilevanza delle vicende sopravvenute[6], rispetto all’atteggiarsi, nello svolgimento del contratto di mutuo, dell’operatività della clausola di determinazione degli interessi.

Unico momento decisivo ai fini della valutazione dell’usurarietà non poteva che essere quello iniziale[7], di pattuizione.

Assunta la legittimità iniziale della pattuizione, tale condizione doveva reputarsi, a tutti gli effetti, insuscettibile di modificazioni e verificazioni, anche a seguito del sopravvenuto intervento di una disposizione imperativa[8].

L’orientamento speculare[9], come ampiamente prevedibile, si collocava nella posizione del tutto simmetrica rispetto a quella già rassegnata, ed era incentrato sulla rilevanza della normativa antiusura [10], con particolare attenzione al carattere dell’irretroattività.

Su di un piano più strettamente procedurale – operativo, quest’assunto fondativo si traduceva:

  • nella fisiologica inoperatività dell’apparato ex l. n. 108/96 rispetto a tutti quei contratti già completamente esauriti negli effetti;
  • nel mantenimento della validità della clausola di determinazione degli interessi, pattuita nei contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della normativa antiusura[11];
  • da ultimo, nell’incidenza, ex nunc, della medesima normativa sul contratto, con la rilevabilità, quindi, su eccezione di parte, dell’intervenuto scostamento in eccesso tra il tasso pattuito contrattualmente e quello previsto come soglia dal legislatore.

Ebbene, le Sezioni Unite, nella pronuncia in esame, statuiscono che “debba darsi continuità al primo dei due orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati”, conseguendone la negazione della “configurabilità dell’usura sopravvenuta, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica degli artt. 644 cod. pen. e 1815, secondo comma, cod. civ., come modificati dalla legge n. 108 del 1996 (rispettivamente all’art. 1 e all’art. 4), imposta dall’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000”.

L’adesione delle Sezioni Unite alla tesi negazionista

Secondo la Cassazione non è meritevole di condivisione, poiché del tutto priva di fondamento, “la tesi della illiceità della pretesa del pagamento di interessi a un tasso che, pur non essendo superiore, alla data della pattuizione (con il contratto o con patti successivi), alla soglia dell’usura definita con il procedimento previsto dalla legge n. 108, superi tuttavia tale soglia al momento della maturazione o del pagamento degli interessi stessi.”.

Il divieto dell’usura, dalla cui violazione originerebbe la presunta illiceità della pretesa di interessi a un tasso superiore rispetto a quello normativamente fissato, è disposizione di natura penalistica.

La legge n. 108/96, infatti, introducendo un apparato sanzionatorio di stampo civilistico, è motivata, per relationem, dalla fattispecie incriminatrice, ex art. 644 c.p., che definisce “il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”.

Da tali premesse, conclusione necessitata è l’impossibilità di poter porre in essere una “qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 cod. pen.”, la cui concreta applicazione è, a sua volta, rigidamente subordinata, a seguito della summenzionata norma di interpretazione autentica[12], alla rilevazione dei tassi al momento della loro pattuizione, “indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

La Corte perviene, sostanzialmente, alla costituzione di una sorta di sinallagma: l’illecito civile si potrebbe configurare solo laddove sia accertabile l’integrazione della correlata fattispecie criminosa.

In senso favorevole alla inconfigurabilità dell’usura nella variante sopravvenuta, peraltro, i giudici adducono la negazione di un siffatto fenomeno nelle più recenti statuizioni in ambito penalistico[13], nonché la perfetta compatibilità dell’interpretazione proposta anche con riferimento alla ratio propria della normativa antiusura[14].

La pronuncia in esame, in chiusura, prima dell’enunciazione del principio di diritto, pone l’attenzione su due ulteriori profili di asserita criticità e fallacia dell’orientamento denegato, favorevole alla configurabilità dell’usura sopravvenuta:

  • la possibilità di ricorrere a rimedi ordinamentali, pur in costanza della certificata validità ed efficacia della clausola di pattuizione degli interessi;
  • il ricorso alla buona fede c.d. oggettiva, nell’esecuzione del contratto, ai sensi dell’art. 1375 c.c.

Entrambe le circostanze, assunte quali ulteriori elementi deponenti a favore della tesi negazionista, parrebbero, in realtà, essere parzialmente controproducenti, in quanto introduttive di profili di criticità proprio relativamente alla soluzione proposta.

Quest’ultima appare pertanto piuttosto inefficiente rispetto alla definizione risolutiva di molte delle questioni alla base dell’ordinanza di rimessione.

Prime osservazioni e profili di criticità: l’eventuale reviviscenza della buona fede c.d. oggettiva quale soluzione ponderata.

Le Sezioni Unite, per avvalorare la tesi dell’inconfigurabilità dell’usura sopravvenuta, richiamano la sentenza della Corte Costituzionale n. 29/2002, che, “dopo aver escluso l’irragionevolezza dell’interpretazione autentica e la sua incompatibilità con il dato testuale”, faceva residuare il margine di operatività di “ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali”.

Siffatta conclusione “permissiva” di una qualche tutela, che prescinda, pur tuttavia, dai profili di invalidità e inefficacia della clausola di determinazione del tasso di interesse, per i motivi diffusamente addotti, è mutuata nella sentenza in esame, ove è testualmente esplicitato che “far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale non significa  negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti”, equivalendo, viceversa, unicamente all’esclusione, dal novero di tali rimedi, di quello “costituito dalla invalidità o inefficacia della clausola in questione”. 

Il passaggio sembrerebbe eccessivamente elusivo, soprattutto tenendo conto che l’estromissione di tutte le implicazioni, direttamente o mediatamente, conseguenti alla dichiarazione d’invalidità o d’inefficacia della clausola di pattuizione del tasso, concorre a incrementare la difficoltà, già di per sé rilevante, ad individuare un efficace strumento rimediale.

Pare, dunque, doversi rilevare un difetto di determinatezza nelle indicazioni della Corte, che, peraltro, non viene neppure sanato dal riferimento all’operatività della buona fede c.d. oggettiva.

La Cassazione, invero, anche in questa circostanza, ha scelto una formulazione piuttosto ambigua[15].

Rilevando che l’illiceità della pretesa di interessi a un tasso superiore rispetto a quello soglia fosse stata argomentata, in seno alla dottrina, in chiave alternativa all’operatività del meccanismo di sostituzione automatica di clausole, con la valorizzazione del principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione dei contratti, le Sezioni Unite non ritengono sussistente una violazione del suddetto canone comportamentale “nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto”, quanto, piuttosto, “nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso”.

In definitiva, non sarebbe scorretta la pretesa in sé, originata da “un diritto validamente riconosciuto”, quasi sulla scorta di una presunzione, ma sarebbe necessaria un’analisi specifica del singolo caso concreto.

L’indicazione, quindi, di dover procedere a una valutazione delle circostanze fattuali proprie di ciascun rapporto di finanziamento parrebbe di per sé lesiva dell’aspettativa di ottenere una pronuncia definitivamente risolutiva della problematica e, più concretamente, dell’individuazione di un meccanismo valutativo erga omnes.

All’esito della pronuncia, in conclusione, gli asintoti entro i quali compiere la valutazione dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi divengono:

  • la validità e l’efficacia della clausola di pattuizione, insensibile alle sopravvenienze;
  • la possibilità di esperire rimedi non meglio identificati, in particolare modo in riferimento a una valutazione, caso per caso, dell’implementazione della buona fede nella fase esecutiva del contratto.

Pare, a giudizio dello scrivente, non potersi eludere, la rilevazione di intrinseche perplessità, su una soluzione così argomentata.

La sentenza ha certamente il merito di estromettere la presenza dall’ordinamento giuridico di una categoria di invalidità spuria, quale quella della nullità[16] c.d. sopravvenuta[17], che una parte dell’orientamento avversato dalla pronuncia in commento individuava come conseguenza sul piano rimediale[18].

Devono, invero, contestarsi le criticità intrinsecamente connesse a una lettura più sistematica degli artt. 644 ss. c.p., nonché a tutti i potenziali profili di violazione dei doveri di solidarietà, costituzionalmente previsti, anche nel precipitato codicistico della buona fede, nell’esecuzione contrattuale.

Come si è puntualmente osservato, le Sezioni Unite, partendo dall’indissolubile dipendenza della normativa civilistica dalla fattispecie incriminatrice, vincolano rigorosamente la valutazione sull’usurarietà alla pattuizione degli interessi, eludendo, tranchant, qualunque valenza del successivo momento dell’esecuzione contrattuale, a meno di una eventuale valutazione in concreto (con tutti i limiti descritti della fumosa accezione adottata in sentenza) della carenza di buona fede oggettiva nel mutuante.

Una simile architettura è senz’altro ammirevole nell’evidente tentativo di ristabilire la necessaria certezza ordinamentale in riferimento ad alcune spinose questioni dogmatico – operative, quali, su tutte, la già menzionata creazione artificiale di categorie di invalidità atipiche, come la nullità sopravvenuta[19], e, su di un piano contiguo, la legittimazione di un indefinito potere manutentivo in capo all’organo giudicante, forzosamente riconosciutogli come strumento per una rimodulazione degli interessi delle parti, cristallizzati nell’intesa contrattuale[20].

Lo stesso impianto, pur tuttavia, come perentoriamente evidenziato da quella parte della dottrina che ha da sempre manifestato una generale ritrosia verso la condivisione del negazionismo adottato dalla Corte, parrebbe prestare il fianco a una serie di criticità a livello sistematico.

Laddove, infatti, si dovesse effettivamente conferire centralità soltanto al momento della pattuizione, elidendo ogni riferimento a quello proprio della dazione degli interessi, l’organicità e l’unità dell’ordinamento giuridico risulterebbero gravemente pregiudicate [21].

Si entrerebbe infatti in conflitto proprio con quella disposizione penale (art. 644 c.p.), preliminarmente assunta quale architrave di tutto l’impianto normativo antiusura e, poi, di fatto, ampiamente disattesa nella parte in cui prevede la punibilità del delitto di usura ove il reo si sia fatto dare (e, quindi, non solo promettere), i vantaggi usurari[22].

L’alternativa individuata dalle Sezioni Unite, di un’interpretazione sistematica e dell’adesione alla letteralità del dato normativo, quindi, non preclude l’insorgere di criticità.

Considerare del tutto irrilevante l’intervento sopravvenuto di una norma imperativa, quale quella antiusura, rispetto all’atteggiarsi di contratti di durata, parrebbe, peraltro, lesivo del generale principio di uguaglianza, sancito dall’art. 2 della Costituzione.

Il sistema del tasso soglia, infatti, introdotto con la legge n. 108/96, rappresenta, sostanzialmente, un riferimento obiettivo cui parametrare le prestazioni dei contraenti e monitorare il loro atteggiarsi durante tutta l’estrinsecazione del rapporto[23].

Un intervento manutentivo ope iudicis potrebbe trovare la ratio giustificatrice proprio nella funzione di tutela del mutuatario rispetto alla fluttuazione fisiologica del tasso soglia e a un eventuale correlato disallineamento tra quest’ultimo e quello pattuito in sede contrattuale: l’iperattività della legittimità del tasso inizialmente pattuito, condivisa nella sentenza in narrativa, condurrebbe, di fatto, a una potenziale irragionevole disparità tra soggetti contraenti il medesimo mutuo, in momenti differenti[24] e, quindi, assoggettati a condizioni differenti, in virtù dell’applicabilità o meno della legge n. 108/96[25].

Conclusioni e soluzioni possibili in caso di usura sopravvenuta

Approfittando della labile apertura instillata nella sentenza in commento, potrebbe considerarsi rientrante nel canone di buona fede oggettiva e, quindi, di corretta esecuzione del contratto la pretesa da parte del soggetto mutuante della corresponsione di interessi pari al tasso soglia, a fronte di quello superiore contrattualmente pattuito[26].

Il ricorso all’art. 1375 c.c., caldeggiato a più riprese dall’Arbitro Bancario Finanziario[27], rappresenta, a giudizio dello scrivente, l’alternativa più credibile e meno problematica nel trattamento del fenomeno dell’usura sopravvenuta, anche rispetto alle soluzioni, ipotizzate in dottrina, della risoluzione per sopravvenuta onerosità e della sostituzione automatica di clausole[28].

La prima alternativa implicherebbe un’indefettibile valutazione dello scollamento tra l’onerosità del contratto e l’alea originariamente prevista dai due contraenti; in caso di positivo accertamento di un’evoluzione non prevedibile, la risoluzione del contratto, esito fisiologico dell’art. 1467 c.c., potrebbe rivelarsi particolarmente afflittiva per il mutuatario, atteso che allo scioglimento del vincolo corrisponderebbe l’insorgenza dell’obbligo di ripetizione delle prestazioni, anche in difetto di provvista[29].

Il combinato disposto degli artt. 1339 e 1419 c.c.[30], viceversa, sfocerebbe, sostanzialmente, in un equivoco operativo: come osservato in dottrina, infatti, laddove si optasse per la rimodulazione degli interessi, per renderli nuovamente rispettosi del tasso soglia, tale operazione risulterebbe in aperta conflittualità con il dato letterale della normativa (per la quale rileva, come visto, esclusivamente il momento iniziale, della pattuizione) e si concorrerebbe al alterare l’equilibrio contrattuale, sancito originariamente dalle parti.

La disciplina antiusura introdurrebbe surrettiziamente nel panorama ordinamentale uno strumento, non tipizzato e non disciplinato, di alterazione, ingiustificata, dell’equilibrio contrattuale e di parità di trattamento[31] (pericolo che, come già evidenziato, le Sezioni Unite hanno cercato di eludere, accogliendo la tesi negazionista).

Pare, tuttavia, esserci una versione più meritoria dell’utilizzo della buona fede ex art. 1375, in quest’operazione di riequilibratura contrattuale, dal carattere sostanzialmente indifferente per le posizioni del mutuante e del mutuatario.

Si tratta, fondamentalmente, di mutuare il meccanismo correttivo, già previsto, nel panorama ordinamentale, per la riduzione della clausola penale (ai sensi dell’art. 1384 c.c.), correggendolo con l’assunzione quali unici parametri del tasso soglia e di quello inizialmente convenuto[32].

Siffatta soluzione eliminerebbe certamente il pregiudizio in capo al mutuatario di trovarsi vincolato alla corresponsione degli interessi in misura divenuta usuraria e, contestualmente, la penalizzazione per il mutuante, consistente in una rideterminazione del tasso applicato insuscettibile di aumento, anche a fronte dell’innalzamento del tasso soglia.

La cristallizzazione definitiva del tasso applicabile ope iudicis, esito del meccanismo puro della sostituzione automatica di clausole, è, quindi, strada difficilmente percorribile, atteso anche il carattere ontologicamente variabile del tasso soglia, oggetto di rilevazione periodica (rectius, trimestrale) da parte del Ministero.

In conclusione, aderendo alla proposta già avanzata da una parte della dottrina[33], rimanendo sul piano dell’esecuzione del contratto[34], l’opzione risolutiva parrebbe essere quella di una rideterminazione flessibile della clausola di determinazione degli interessi, mediante la trasformazione del tasso fisso, contrattualmente pattuito, in un tasso variabile “elastico”, oscillante tra quello inizialmente previsto e quello medio periodicamente rilevato (rectius, soglia)[35].

Questa soluzione avrebbe il doppio pregio di disciplinare, in un’ottica riequilibratrice, un potere manutentivo vincolato, in capo all’organo giudicante, e, al contempo, eludere efficacemente, la dipendenza, per lunghi tratti asfittica, dell’inquadramento dell’usura sopravvenuta dalle categorie dell’invalidità contrattuale[36].


[1] V. F. Valerini, Per le Sezioni Unite non c’è spazio per l’usura sopravvenuta: rileva soltanto il momento della pattuizione, in Diritto & Giustizia, fasc.166, 2017, 11.

[2]Espressione con la quale ci si riferisce a due diversi fenomeni: i contratti ancora in corso al momento dell’entrata in vigore della legge n. 108/96, ma stipulati in una data antecedente; la presunta usurarietà di un tasso originariamente pattuito in misura lecita e successivamente divenuto superiore al tasso soglia, a causa di una diminuzione di quest’ultimo.

[3] V. E. Bruno, Mutuo fondiario, si applica la normativa antiusura? Il contrasto giurisprudenziale alle SS.UU., in Diritto & Giustizia, fasc.18, 2017, 5.

[4] In tal senso, Cass. Civ., Sez. I, 19 gennaio 2016, n. 801. V. anche Cass. Civ., Sez. I, 25 settembre 2013, n. 21885, con nota di F. Valerio, In caso di inadempimento anche gli interessi corrispettivi producono interessi moratori, in Diritto & Giustizia, fasc.0, 2013, 1221. V. anche ABF, Collegio di Milano, 18 ottobre 2011, n. 2183.

[5] Assurgeva a riferimento centrale l’art. 1 d.l. n. 394/2000, di interpretazione autentica della normativa antiusura, emanato a seguito dell’insorgere, in seno alla giurisprudenza e alla dottrina, della problematica dell’incerta applicabilità della legge n. 108/96 a contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore di quest’ultima. La previsione normativa de qua statuisce che “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.”.

[6]Le sopravvenienze potrebbero essere, secondo alcuni, sussunte all’interno della normale alea, propria dei contratti di finanziamento.

[7]In senso critico, R. Scagliotti, Ancora sul problema dell’usurarietà sopravvenuta: il rapporto con l’esercizio dello ius variandi, in Banca Borsa e Titoli di Credito, fasc.3, 2015, 339.

[8]Quale poteva considerarsi, nel caso di specie, la legge n. 108/96.

[9] In tal senso, Cass. Civ., Sez. I, 25 febbraio 2005, n. 4092.

[10]Su tutte, la nullità sopravvenuta e l’inefficacia successiva. Per una puntuale disamina, G. Guarina, L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite in tema di «usura sopravvenuta», in Dir. civ. cont., Anno IV, numero I, gennaio/marzo 2017.

[11]Aderendo, quindi, al dato letterale della norma di interpretazione autentica (v. supra nota 5) e, segnatamente, alla espressa indipendenza della valutazione di usurarietà dei tassi pattuiti dal momento del pagamento (rectius, della dazione).

[12]V. supra nota 5.

[13] Così, Cass. Pen., Sez. V, 16 gennaio 2013, n. 8353

[14]In tale ottica, secondo le Sezioni Unite, il tasso soglia, basato “sulla rilevazione periodica dei tassi medi praticati dagli operatori”, deve essere correttamente qualificato “come un effetto, non già una causa, dell’andamento del mercato.”; pare coerente, quindi, una valorizzazione del “profilo della volontà e della responsabilità dell’agente”, conferendo “rilievo essenziale al momento della pattuizione degli interessi”.

[15] In tal senso, S. Alecci, Le Sezioni Unite ed il tramonto della «usura sopravvenuta», in Dir. civ. cont., Anno IV, Numero IV, ottobre/dicembre 2017.

[16]La nullità pare una sanzione ingiustificata e inefficace rispetto all’obiettivo di monitorare e, eventualmente, ridefinire le prestazioni contrattuali.

[17]Pare doversi rilevare, pur tuttavia, come la figura della nullità sopravvenuta fosse già stata frequentemente negata, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, anche nella successiva versione di nullità ex nunc, proposta dai suoi fautori per eludere l’inammissibilità di una patologia contrattuale causata da sopravvenienze. Così, G. Guarina, op. cit. V. anche A. Di Majo – G. B. Ferri – M. Franzoni, L’invalidità del contratto, Giappichelli, Torino, 2002.

[18]L’irrilevanza dell’usura sopravvenuta dovrebbe comportare anche una maggiore stabilità dei mercati finanziari, con la possibilità per le banche e gli intermediari di poter ponderare esattamente il rapporto rischio – rendimento di ciascun finanziamento, al momento della stipulazione del contratto e della concessione del credito a tasso fisso; con l’incognita della flessibilità dei tassi dovuta all’eteroregolamentazione giudiziale, l’erogazione del credito potrebbe, viceversa, risultare fortemente limitata. Così, F. Civale, Usura sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca – cliente, in Rivista di Diritto Bancario, Febbraio 2013.

[19]In senso favorevole alla configurabilità della nullità c.d. sopravvenuta, C. M. Bianca, Diritto Civile, volume III, Giuffrè, Milano, 2000.

[20] Il riconoscimento di una potestà regolamentare in capo al giudice, rispetto alle pattuizioni consensualmente definite dalle parti nel contratto, trascende la specifica questione dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse. È, infatti, riferibile anche ad altre e ulteriori problematiche, inerenti la contrattualistica a sfondo bancario – finanziario; si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla gestione dell’information overload(ing) e alla legittimità della clausola claim’s made nelle polizze assicurative.

[21] In tal senso, B. Riccio, La portata eversiva della sentenza a Sezioni Unite che nega l’usurarietà sopravvenuta. È abrogato l’art. 644 e 644ter c.p.? La sussistenza dell’usurarietà originaria nel mutuo e nel contratto di conto corrente, in Note e dottrina, fasc.1, 2017, 2.

[22] Così, A. A. Dolmetta, Al vaglio delle sezioni unite l’usura sopravvenuta, in IlCaso.it, 28 febbraio 2017.

[23]L’usura sopravvenuta, da alcuni, è stata ricondotta anche allo sconfinamento dall’alea intrinsecamente connaturata (rectius, normale) al contratto di mutuo. Sul punto, C. G. Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti. Artt. 1467 – 1469, in Commentario Schlesinger, Milano, Giuffré, 1995.

[24]In tal senso, F. Civale, op. cit.

[25]In tal senso, ABF, Collegio di coordinamento, 10 gennaio 2014, n. 77, con nota di M. Giuliano, Usura sopravvenuta e tutele contrattuali, in Giurisprudenza Commerciale, fasc.4, 2015, 803. Nella decisione de qua, il Collegio afferma testualmente che «in caso di marcata e duratura discesa dei tassi di mercato chi abbia contratto un finanziamento a tasso fisso sia del tutto sprovvisto di forme di tutela, ossia sprovvisto di quei rimedi civilistici che la Corte Costituzionale ha ipotizzato; implica solo che occorre calibrare il rimedio in modo da evitare effetti perversi. È ormai riconosciuto il ruolo centrale della buona fede nella moralizzazione dei rapporti contrattuali ovvero nel dotare tali rapporti della flessibilità necessaria ad incorporare i valori etici dell’ordinamento giuridico. La Suprema Corte di Cassazione che ha assunto un ruolo guida in proposito ha insegnato che “ il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore» – deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge”.».

[26]Sul punto, ABF, Collegio di Roma, 28 febbraio 2013, n. 1137. Il Collegio, nella decisione de qua, ha statuito espressamente che «l’applicazione di tassi contrattuali superiori al tasso soglia si pone in contrasto con lo spirito della legge n.108/1996 configurando altresì un comportamento contrario a buona fede; sicché, stante la legittimità delle clausole originariamente convenute tra le parti, si impone una rideterminazione degli interessi, ai sensi dell’art. 1339 c.c., entro i limiti della soglia di usura (cfr. dec. n. 620/1012).»

[27]La posizione dell’ABF è stata definita come altamente “interventista” da M. Ghisalberti, Sulla sopravvenuta violazione del tasso soglia antiusura nello svolgimento del rapporto negoziale e l’applicazione del principio della buona fede quale possibile correttivo, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.3, 2015, 388.

[28]In base al combinato disposto degli artt. 1339 e 1419 c.c.

[29]Così, M. Giuliano, op. cit.

[30] La soluzione risulta percorribile anche dal punto di vista strettamente operativo. La pretesa degli interessi usurari, infatti, sarebbe espressione di un abuso del diritto (perché fondata legittimamente sul contratto, validamente pattuito, ma strumentale e, quindi, illecita). Il disconoscimento degli interessi sarebbe limitato a quelli eccedenti il tasso soglia, dal momento che una mancata corresponsione integrale sarebbe certamente sanzione sproporzionata. La sostituzione automatica, di fatto, mutuerebbe l’effetto della nullità c.d. sopravvenuta, senza scadere nel piano problematico della genetica di tale categoria di invalidità. In tal senso, G. Giacalone, Usura sopravvenuta, in cortedicassazione.it, 15 febbraio 2017.

[31]Così, M. Ghisalberti, op. cit.

[32]Il tasso soglia e quello inizialmente pattuito limiterebbero, di fatto, la discrezionalità del giudice nella rideterminazione delle prestazioni e dell’equilibrio contrattuale originario. La deriva autoritaria è, infatti, come visto, una delle preoccupazioni dei fautori della tesi negazionista.

[33] Così, M. Giuliano, op. cit.

[34]Si eludono, dunque, tutte le implicazioni relativamente alla sopravvenienza della nullità e alle sue implicazioni. Così, M. Ghisalberti, op. cit.

[35]Siffatta sostituzione, infatti, garantirebbe una contestuale tutela del mutuante e del mutuatario, all’interno di equilibrio contrattuale.

[36] A tal proposito, A. A. Dolmetta, op. cit. L’Autore, riferendosi all’ordinanza di rimessione n. 2484/2017,Quando c’è una vacca da mungere, tutti si mettono in fila”scrive testualmente che«La Corte non dice, prima di tutto, che il fenomeno dell’usura sopravvenuta si manifesta irrilevante per il sistema vigente.».

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