Riforma del rito di Cassazione: rigettata eccezione di incostituzionalità della L. 197/2016

in Giuricivile, 2017, 3 (ISSN: 2532-201X), Cass. 10/01/2017, n. 395

L’ordinanza n. 395 del 10 gennaio 2017 si pregia di essere uno dei primi interventi da parte della Suprema Corte sulla portata della novella del 2016 che ha interessato proprio il procedimento avanti il giudice di legittimità.

La questione di legittimità costituzionale prospettata

Nel caso di specie, il ricorrente, nella memoria depositata ex art. 381 bis, comma 2 c.p.c., ha eccepito e chiesto che venisse sollevata una questione di legittimità costituzionale in merito all’attuale formulazione della citata disposizione (come sostituita dall’art. 1bis, comma 1 lett. e) DL 168/2016 conv. c.m. in L 197/2016), per una violazione dell’art. 24 Cost.

L’eccepito contrasto assumerebbe rilievo poiché non sarebbe più prevista la pubblica udienza, bensì la discussione in camera di consiglio.

In tal modo, il difensore non avrebbe più la possibilità di illustrare le tematiche di fatto e di diritto sottese al proprio atto.

Ebbene, La Corte ha rigettato recisamente la prospettata questione in quanto ritenuta manifestamente infondata.

Il rito camerale

L’iter motivazionale della Cassazione muove dalle finalità ispiratrici della novella, da ricondursi alla semplificazione e snellimento del contenzioso di legittimità, da un lato, e alla ragionevole durata del processo, dall’altro.

Proprio su tali basi, il Legislatore avrebbe idealmente scisso il giudizio di legittimità tra i procedimenti con una valenza nomofilattica (aventi una “particolare rilevanza della questione di diritto” ex art. 375, ult. comma c.p.c.), per i quali si prevede – ancora oggi – la celebrazione dell’udienza pubblica ed il pronunciamento con sentenza, e quelli, invece, per i quali tale caratteristica di rilevanza è carente, prevedendo all’uopo un rito “più snello” che si conclude con ordinanza.

E tale scissione, con le sue conseguenze procedimentali, è stata ritenuta legittimamente adottata poiché il principio della pubblica udienza, sebbene abbia rilevanza costituzionale, non è di per sé inderogabile.

Occorre sul tema considerare, per rilevare la bontà dell’intervento legislativo, l’intero procedimento e specificamente la circostanza che trattasi del terzo grado di giudizio ove la decisione è limitata alle questioni di diritto, a fonte di due precedenti gradi contraddistinti, questi sì, dalla pubblicità delle udienze e volti ad affrontare accertamenti in fatto.

Inoltre, il procedimento camerale in parola trova applicazione per i ricorsi che “ad un sommario esame” risultino essere inammissibili, manifestamente infondati o manifestamente fondati, senza necessitare, pertanto, di una indagine su temi aventi carattere nomofilattico.

Il contraddittorio

Ulteriormente, la Suprema Corte hanno sottolineato come il contraddittorio sia assicurato dalla possibilità di presentare memorie volte ad illustrare le proprie ragione e replicare alle proposta del Consigliere Relatore.

La forma eminentemente scritta del contraddittorio, poi, si concilia, in termini di bilanciamento non irragionevole, sia con il diritto di difesa, asseritamente violato nella tesi del ricorrente, sia con la tutela effettiva appresta da un processo di ragionevole durata.

In altri termini, considerando che il procedimento camerale trova applicazione solo in ipotesi di proposta di inammissibilità o di manifesta fondatezza o, ancora, di manifesta infondatezza, il Legislatore ha legittimamente operato poiché ha rispettato, con un grado ritenuto sufficiente, la garanzia di una difesa effettiva ex art. 24 Cost., al contempo assicurando la speditezza del processo.

La proposta del Consigliere Relatore

Da ultimo, la Corte di Cassazione osserva che la previsione di una proposta del Consigliere Relatore non appare violare la carta costituzionale poiché essa non è vincolante per il Collegio, che invece è del tutto libero anche di prospettare una diversa ed ulteriore questione ex officio (c.d. decisione della terza via, cui si applicherebbe comunque l’art. 384, comma 3 c.p.c.).

Per tutte le ragioni suesposte, dunque, la Suprema Corte ha rigettato l’eccezione sollevata.

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