Con la sentenza n. 789 del 13 gennaio 2017, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in materia di eliminazione o riduzione dell’assegno di mantenimento,
- come incide la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner;
- in quale caso assume rilievo l’attitudine al lavoro proficuo degli ex coniugi;
- se possa essere eliminato il tetto massimo delle spese straordinarie, fissato in separazione consensuale.
Nuova famiglia e figli dal nuovo partner: incidono sull’assegno di mantenimento?
Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva ritenuto che la nascita della nuova figlia del controricorrente comportasse di per sé l’esclusione del diritto della moglie separata alla percezione del contributo convenuto.
In materia di separazione personale dei coniugi, la Corte ha rilevato che la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner non determina automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione.
È dunque da escludere che il diritto alimentare del coniuge separato sia recessivo rispetto a quello del nuovo figlio, come invece ritenuto dalla Corte distrettuale.
La Suprema Corte ha tuttavia rilevato che tale ipotesi dovrà essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite per l’insorgere di nuovi obblighi di carattere economico.
Valutata l’incidenza della circostanza sopravvenuta, il giudice potrà conseguentemente verificare se sia in concreto giustificata, a mente dell’art. 156 c.p.c., u.c., la revoca o la modifica delle condizioni di separazione già fissate.
Rilievo all’attitudine del coniuge al lavoro solo in caso di effettiva possibilità di svolgere attività lavorativa retribuita
L’attitudine al lavoro proficuo degli ex coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento.
Il giudice dovrà dunque tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica.
Tuttavia, secondo la Suprema Corte, l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche.
In tal senso, l’invio da parte della ricorrente del proprio curriculum a strutture alberghiere (senza il possesso di specifica competenza) e una imprecisata collaborazione prestata dalla stessa istante presso l’esercizio commerciale del fratello (spiegandosi, al riguardo, che tale attività avrebbe sottratto impegno e risorse alla ricerca di una occupazione), non costituiscono attività in sé rappresentative della effettiva possibilità, da parte della ricorrente, di ottenere una collocazione sul mercato del lavoro, come erroneamente sostenuto dalla Corte territoriale.
Piuttosto avrebbe avuto rilievo la dimostrazione che il coniuge beneficiato dell’assegno avesse acquisito professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza; ovvero che lo stesso avesse ricevuto, nel periodo successivo al perfezionamento della convenzione di separazione, effettive offerte di lavoro, o che ancora avesse comunque potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.
Anche sul punto relativo alla capacità lavorativa della ricorrente, la Corte di legittimità cassava la sentenza impugnata.
Tetto massimo delle spese straordinarie: può essere eliminato?
Nel caso in esame, la Corte di appello aveva eliminato il tetto massimo delle spese straordinarie convenuto della convenzione di separazione consensuale.
La ricorrente evidenziava tuttavia l’assenza dei presupposti per la modifica degli originari accordi, dovendosi aver riguardo, a tal fine, alle sole eventuali modifiche delle condizioni economiche delle parti.
Secondo la Corte territoriale, la fissazione di un tetto massimo delle predette spese era priva di coerenza, perché non teneva conto della necessità di assicurare sempre e comunque al figlio la tutela delle sue esigenze, anche oltre l’impegno economico predeterminato.
Rileva la Cassazione, però, che ai sensi dell’art. 156, comma 7, c.c. la modificazione delle condizioni di separazione è ammessa allorquando “sopravvengono giustificati motivi”: ora, in tema di separazione consensuale, applicandosi in via analogica tale disposizione, i giustificati motivi che autorizzano il mutamento delle relative condizioni consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati.
Ne consegue che l’accordo sulla fissazione di un tetto massimo alle spese straordinarie non è modificabile in ragione di un semplice riesame circa l’opportunità delle soluzioni concordate dai coniugi nell’intercorsa convenzione.
In conclusione, la Corte cassava dunque la sentenza impugnata rinviando la causa alla Corte di appello in altra composizione, anche per le spese della fase di legittimità.