Sanzioni disciplinari agli avvocati, le Sezioni Unite su permanenza dell’illecito e prescrizione

Con l’ordinanza n. 32824 del 16 dicembre 2025 (puoi leggerla cliccando qui), le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno esaminato una vicenda di responsabilità disciplinare forense, originata dall’utilizzo di un documento falso in sede monitoria e da successive condotte elusive degli obblighi derivanti da sentenze civili. La pronuncia, che conferma in larga parte la decisione del Consiglio Nazionale Forense, offre indicazioni sulla natura permanente dell’illecito disciplinare, sulla decorrenza della prescrizione e sui limiti del sindacato di legittimità in materia deontologica.

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Formulario commentato del nuovo processo civile

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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

 

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Contesto del procedimento disciplinare

La vicenda origina da un decreto ingiuntivo ottenuto da un avvocato presso un Tribunale, fondato su una scrittura privata di ricognizione di debito poi dichiarata falsa con sentenza del 2015. Malgrado l’accertamento della falsità, il professionista aveva insistito nelle proprie pretese creditorie, proseguendo il giudizio di opposizione sino alla soccombenza definitiva nel 2016. A ciò si aggiungevano ulteriori condotte: l’omessa esecuzione delle obbligazioni derivanti dalle sentenze di condanna alle spese, atti dispositivi del proprio patrimonio preordinati a sottrarlo ai creditori, come anche dichiarazioni non veritiere rese all’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento. Il Consiglio distrettuale di disciplina aveva irrogato la sospensione dall’esercizio della professione per un anno e tre mesi. In appello, il Consiglio Nazionale Forense aveva assolto l’avvocato dal terzo capo d’incolpazione, riducendo la sanzione a un anno di sospensione.

Prescrizione

Uno degli highlight dell’ordinanza riguarda la decorrenza della prescrizione dell’azione disciplinare. La difesa del ricorrente sosteneva che l’illecito doveva considerarsi istantaneo e cessato con la sentenza di accertamento della falsità del documento (luglio 2015), con conseguente maturazione della prescrizione già nel gennaio 2025. Le Sezioni Unite hanno, diversamente, ribadito l’orientamento consolidato: in materia disciplinare, l’utilizzo di un atto falso integra un illecito permanente, la cui cessazione coincide non con l’accertamento della falsità, ma con la cessazione dell’uso dell’atto. Nella specie, l’avvocato aveva continuato a fondarsi sul documento sino alla definizione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, passata in giudicato nel gennaio 2017. Da momento siffatto decorreva il termine di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi, sospeso per due anni in ragione del processo penale pendente. Ne è conseguito che, al momento della decisione del CNF (marzo 2025), la prescrizione non era maturata.

Sindacato della Cassazione sulle decisioni disciplinari

Il ricorrente lamentava anche l’omessa ammissione di prove testimoniali preordinate a dimostrare la sua buona fede nell’utilizzo del documento. La Corte ha rammentato che le decisioni del CNF sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite solamente per incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge e vizio di motivazione. Non è consentito sindacare nel merito la valutazione delle prove, salvo che si traduca in un palese sviamento di potere. In questo quadro, la Cassazione ha ritenuto congrua la motivazione del CNF: l’organo disciplinare aveva correttamente escluso l’utilità delle testimonianze richieste, sottolineando la necessaria cautela nell’utilizzo processuale di un atto ricognitivo di credito personale e valorizzando elementi oggettivi emersi anche nel giudizio di falso.

Responsabilità per inadempimento delle obbligazioni

In merito al secondo capo d’incolpazione, afferente alla omessa esecuzione delle obbligazioni patrimoniali derivanti da sentenze civili, la Cassazione ha confermato la valutazione del CNF: la condotta dell’avvocato, protrattasi per anni nonostante la disponibilità di redditi, integra violazione del canone deontologico di cui all’art. 64, n. 2, del Codice deontologico forense. La gravità risiede non solamente nell’inadempimento, bensì nella lesione della dignità della professione e dell’affidamento dei terzi.

Assoluzione dal terzo capo

Differente la conclusione sul terzo capo, circa le dichiarazioni rese all’ufficiale giudiziario. Il CNF aveva escluso la responsabilità disciplinare per mancanza di prova circa la consapevolezza dell’avvocato di essere ancora intestatario di un diritto di usufrutto e di alcuni beni mobili. La Cassazione ha preso atto di tale valutazione, non sindacabile in sede di legittimità.

Principi di diritto

Dalla pronuncia si possono evincere i seguenti principi di diritto in ambito di illeciti disciplinari degli avvocati.

  • Natura permanente dell’illecito: in materia disciplinare forense, l’utilizzo di un atto falso (contrariamente alla qualificazione nel sistema penale) è considerato un illecito di natura permanente.
  • Decorrenza del termine (dies a quo): la prescrizione dell’azione disciplinare inizia a decorrere solo dal momento della cessazione della permanenza, che coincide con la cessazione dell’effettivo utilizzo dell’atto.
  • Irrilevanza dell’accertamento giudiziale della falsità: la permanenza dell’illecito non cessa con la sentenza che accerta la falsità del documento (es. querela di falso), qualora il professionista continui ad avvalersene o a insistere nelle pretese fondate su di esso in un giudizio parallelo (es. opposizione a decreto ingiuntivo).
  • Cessazione definitiva: il termine prescrizionale inizia a decorrere solo quando l’atto cessa di produrre effetti o di essere utilizzato, come nel caso del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio in cui il falso era stato prodotto.
  • Dovere di verità e cautela: l’avvocato che utilizzi in sede processuale una scrittura ricognitiva di un proprio credito personale (e non di un terzo cliente) è tenuto ad adoperare la massima cautela.
  • Consapevolezza del falso: la responsabilità disciplinare sussiste qualora emergano elementi obiettivi che rendano palese la falsità (es. discrepanze cronologiche tra la data dell’atto e i fatti in esso enumerati), rendendo irrilevanti prove testimoniali generiche sulla presunta “buona fede” del professionista.
  • Dignità professionale: l’omesso adempimento di obbligazioni patrimoniali sancite da sentenze integra un illecito disciplinare se la condotta sia tale da compromettere la dignità della professione, specie se il professionista dispone di redditi sufficienti bensì si sottrae volontariamente al pagamento per un lungo periodo.

Permanenza dell’illecito disciplinare

L’ordinanza in disamina ha confermato la centralità del principio di permanenza dell’illecito disciplinare, con rilevanti effetti sulla prescrizione, ribadendo i limiti del sindacato della Cassazione sulle decisioni del CNF, circoscritto alla verifica di legittimità e congruità della motivazione. La pronuncia si inserisce nel solco di una giurisprudenza che mira a garantire la serietà dell’azione disciplinare e la tutela dell’affidamento dei cittadini nella correttezza dell’operato degli avvocati. Per la comunità forense, rappresenta un monito sull’importanza della trasparenza e della lealtà processuale, valori che costituiscono il fondamento della dignità professionale.

Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista. È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giuridiche.

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