
L’ordinanza n. 29358 del 6 novembre 2025 della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), offre un contributo ermeneutico in materia di classamento catastale e di vigilanza sulla corretta esplicazione del potere giurisdizionale da parte del giudice di merito. La quaestio iuris verteva sull’illegittimità della rettifica del classamento di un’unità immobiliare dalla categoria C/3 (laboratorio artigianale) alla categoria D/7 (capannone industriale), operata dall’Amministrazione finanziaria.
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Come cancellare i debiti fiscali
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Leonarda D’Alonzo
Avvocato, già Giudice Onorario presso il tribunale di Ferrara e Giudice dell’Esecuzione in esecuzioni mobiliari, esecuzioni esattoriali mobiliari e immobiliari e opposizione all’esecuzione nella fase cautelare.
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Leonarda D’Alonzo, 2025, Maggioli Editore
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Il caso
La controversia origina dall’impugnazione di un avviso di accertamento catastale che rettificava la rendita e la categoria di un immobile, disattendendo la dichiarazione DOCFA presentata da una società. L’Amministrazione finanziaria aveva riclassato l’unità immobiliare da C/3 a D/7, assegnando la medesima categoria catastale del precedente fabbricato demolito.
A seguito del rigetto in primo grado, la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello della contribuente con una statuizione sintetica e apodittica: “Essendo l’immobile di mq 384 la Commissione ritiene valido il nuovo valore catastale dell’Agenzia quale congruità del valore, inoltre concorda con la categoria assegnata dall’Agenzia di capannone industriale e non invece di laboratorio C/3… “. Avverso tale pronuncia, la società proponeva ricorso per Cassazione, sollevando, tra gli altri, il vizio di nullità della sentenza per inesistenza e carenza di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Esame preliminare del ricorso e motivazione apparente
La Corte di Cassazione ha ritenuto di esaminare preliminarmente il quarto motivo di ricorso in applicazione del principio della ragione più liquida, la cui fondatezza comportava l’assorbimento delle residue censure. Il motivo è stato giudicato fondato. La statuizione della CTR è stata qualificata come motivazione apparente, in quanto carente del necessario giudizio di fatto. La generica affermazione secondo cui “il valore catastale dipende dalla metratura e la categoria corretta è quella attribuita dall’ufficio” è stata ritenuta insufficiente a sostenere il decisum, non superando la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.
La Suprema Corte ha ricordato che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (d.l. n. 83/2012, conv. in L. n. 134/2012), il sindacato di legittimità è circoscritto all’anomalia motivazionale che si traduce in una violazione di legge. Tale vizio è riscontrabile nella motivazione apparente, ovvero quando l’argomentazione è così generica da non consentire di comprendere l’effettivo percorso logico-giuridico che ha condotto alla decisione. Il vizio è risultato palese in quanto la CTR si era limitata al generico riferimento alla metratura dell’immobile, ignorando gli altri parametri normativamente prescritti per la determinazione della categoria catastale e della conseguente rendita.
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Classamento catastale, parametri omessi e vizi logici della CTR
L’ordinanza ha richiamato in proposito gli articoli 61 e 62 del d.P.R. n. 1142 del 1949, che pongono l’accento sulla “destinazione ordinaria” del bene da classare. Il classamento, infatti, si realizza attraverso la verifica delle caratteristiche influenti sul reddito e la collocazione in una delle categorie e classi prestabilite. La destinazione va desunta dalle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche) e dalle prevalenti consuetudini locali, in conformità anche all’art. 8, comma 2, del d.P.R. n. 138 del 1998.
La Corte ha censurato la CTR per non aver accertato se l’unità immobiliare in oggetto avesse le caratteristiche intrinseche per poter essere utilizzata come opificio (D/7), qualificandosi la rendita catastale come atto tributario di natura reale. L’idoneità del bene a produrre ricchezza deve essere ricondotta alla sua destinazione funzionale e produttiva.
La Cassazione ha evidenziato come il giudice di merito avesse completamente omesso di confrontarsi:
-
con le argomentazioni della contribuente relative al raffronto con le unità immobiliari limitrofe, molte delle quali classate nel gruppo C;
-
con la circostanza della compresenza nel medesimo edificio di circa cinquanta unità immobiliari classate in C/2 e C/3;
-
con il principio per cui il classamento è riferito a ogni singola unità immobiliare.
Conclusioni
L’accoglimento del quarto motivo di ricorso e la conseguente cassazione della sentenza impugnata hanno imposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, affinché proceda a una nuova valutazione dei fatti di causa.
Nel contenzioso catastale, l’Amministrazione finanziaria non è condizionata dalle valutazioni compiute dall’amministrazione comunale in sede urbanistica, ma il giudizio di merito deve fondarsi sull’effettivo accertamento della destinazione ordinaria in base alle caratteristiche strutturali intrinseche e alle potenzialità d’uso del bene. Una motivazione che si limiti alla mera considerazione della superficie, senza confutare le allegazioni e le prove documentali del contribuente (come la relazione tecnica depositata ), si configura come apparente e, in quanto tale, viziata da nullità.
L’ordinanza n. 29358/2025 costituisce, pertanto, un monito ai giudici tributari affinché esplicitino i passaggi logici del decisum in maniera intellegibile e giuridicamente fondata.











