Conformità catastale e validità dell’atto: quando la dichiarazione mendace non incide sul trasferimento

L’attestazione o dichiarazione di conformità catastale, obbligatoria in ogni atto di compravendita immobiliare, è il documento con cui un tecnico abilitato certifica che i dati e le planimetrie catastali coincidono con lo stato reale dell’immobile oggetto di trasferimento. Ma che cosa accade se tale dichiarazione è inesatta o addirittura mendace? L’atto di compravendita è nullo, oppure mantiene efficacia nonostante la difformità riscontrata? La Seconda Sezione Civile della Cassazione, con la sentenza n. 27531 del 15 ottobre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), ha ricostruito la portata della nullità prevista dall’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985.

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Cosa prevede l’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985?

Prima di entrare nel merito delle questioni oggetto della sentenza n. 27531/2025, è utile richiamare cosa prevede l’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985, come modificato dal d.l. n. 78/2010.

  • Art. 29, comma 1-bis, L. 52/1985:

“Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

In sintesi, la norma subordina la validità formale dell’atto traslativo alla presenza in esso (o nei suoi allegati) della dichiarazione dell’alienante o dell’attestazione del tecnico circa la conformità catastale. Quindi, in caso di assenza di tali menzioni, l’atto è nullo.

I fatti di causa

La controversia prende avvio da un preliminare di compravendita immobiliare, seguito da un’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. Il promissario acquirente aveva chiesto al Tribunale il trasferimento coattivo di un immobile ad uso abitativo con pertinenze, in forza di un preliminare del 1997 con successiva integrazione del 2003. L’erede del promittente alienante, nel frattempo deceduto, si era costituito contestando l’autenticità dei documenti e sollevando l’eccezione di nullità per violazione del divieto di patto commissorio.

Il Tribunale, dopo aver accertato l’autenticità delle firme mediante verificazione, aveva sollevato d’ufficio la questione della regolarità urbanistica e catastale. L’attore aveva quindi depositato una dichiarazione sostitutiva di atto notorio e successivamente un’attestazione di conformità redatta da un tecnico. Il giudice di primo grado aveva disposto una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) per verificare la conformità catastale e, all’esito, aveva accolto la domanda ordinando il trasferimento della proprietà.

La Corte d’appello aveva invece accolto il gravame del promittente venditore, rigettando la domanda di esecuzione specifica. La pronuncia di secondo grado si fondava sull’assunto che la conformità catastale costituisse una condizione dell’azione e che il giudice dovesse verificare l’effettiva corrispondenza tra lo stato di fatto dell’immobile e le planimetrie catastali.

Secondo la Corte territoriale, la presenza di difformità catastali accertate dalla CTU impediva l’emissione della sentenza traslativa ex art. 2932 c.c.: nel caso di specie, infatti, era stato lo stesso Tribunale ad attestare la c.d. incoerenza catastale dei beni compromessi attraverso la previsione dell’obbligo dell’acquirente di procedere alla regolarizzazione dell’immobile dopo il trasferimento.

La questione centrale sottoposta alla Cassazione, a seguito del ricorso del promissario acquirente, riguardava quindi l’estensione del sindacato giudiziale sulla conformità catastale: se il giudice dovesse limitarsi a verificare la mera presenza formale delle dichiarazioni/attestazioni di conformità, oppure se fosse tenuto a controllarne la veridicità sostanziale, specialmente in presenza di risultanze istruttorie contraddittorie.

La natura “formale e testuale” della nullità di cui all’art. 29, comma 1-bis, L. 52/1985

La Suprema Corte, nel ricostruire la ratio dell’art. 29, comma 1-bis, L. 52/1985, ha chiarito che la disposizione, che impone a pena di nullità la menzione catastale e la dichiarazione di conformità, ha una finalità essenzialmente fiscale e informativa: assicurare la corrispondenza tra catasto e realtà per favorire l’allineamento delle banche dati immobiliari e contrastare i c.d. “fabbricati fantasma”.

Ne consegue che la nullità ha carattere formale e testuale ex art. 1418, comma 3, c.c., e si verifica solo in caso di mancanza della dichiarazione o dell’attestazione, non quando la dichiarazione risulti imprecisa o non veritiera. Il contratto di compravendita resta valido anche in presenza di dichiarazione mendace, purché la falsità non sia palese o riconoscibile ictu oculi.

In altre parole, il difetto si colloca sul piano dell’“an”, non del “quomodo”: ciò che rileva è la presenza della dichiarazione, non la sua esattezza sostanziale.

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Il richiamo all’orientamento giurisprudenziale in materia di nullità urbanistica

La Cassazione ha richiamato, per analogia, l’orientamento consolidato in materia di nullità urbanistica (art. 46 D.P.R. 380/2001, Cass. SS.UU. n. 8230/2019), dove la validità dell’atto dipende dall’esistenza del titolo edilizio, non dalla conformità materiale dell’immobile a tale titolo.

Le Sezioni Unite, infatti, con riferimento alla nullità urbanistica ex art. 46 del D.P.R. 380/2001, avevano qualificato come “formale” la sanzione collegata all’omessa menzione del titolo abilitativo edilizio, indipendentemente dalla regolarità sostanziale dell’immobile (clicca qui per approfondire).
Allo stesso modo, anche la nullità ex art. 29, comma 1-bis, L. 52/1985, si consuma sul piano formale, attenendo alle modalità redazionali dell’atto e non alla sua liceità sostanziale.

Il dibattito giurisprudenziale, in particolare, oscillava tra due orientamenti:

  • uno formalista, che riteneva sufficiente la dichiarazione o l’attestazione, anche mendace, per evitare la nullità;

  • e uno sostanzialistico, che subordinava la validità all’effettiva corrispondenza tra stato di fatto e planimetrie catastali.

La Cassazione ha optato per il primo, ponendo l’accento sulla funzione fiscale e dichiarativa della norma e sulla tutela dell’affidamento dei contraenti.
Il notaio o il giudice, quindi, non sono tenuti a svolgere verifiche tecniche di coerenza, ma devono soltanto accertare che la dichiarazione o attestazione sia presente e riferita all’immobile.

Dichiarazione mendace e responsabilità del dichiarante: quali conseguenze allora?

La veridicità della conformità catastale assume rilievo solo sotto il profilo della responsabilità personale del dichiarante o del tecnico (art. 483 c.p.). La Corte ha precisato che una dichiarazione falsa o inesatta non produce effetti invalidanti, ma espone chi l’ha resa a responsabilità penale (art. 483 c.p.) e civile verso l’altra parte.

L’atto, tuttavia, conserva piena efficacia traslativa: “la mendacità della dichiarazione o dell’attestazione non incide sulla validità dell’atto… l’assenza della conformità non rende l’immobile incommerciabile.

Viene così superata l’idea, radicata in parte della giurisprudenza di merito, che una difformità catastale sostanziale renda l’immobile “incommerciabile”.
Il sistema è piuttosto orientato alla circolazione sicura del bene, garantita dalla tracciabilità formale e dalla responsabilità soggettiva, senza bloccare la commerciabilità per errori catastali.

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Conformità catastale e azione ex art. 2932 c.c.

Altro aspetto significativo della decisione è quello relativo all’applicabilità del requisito della conformità catastale nei giudizi ex art. 2932 c.c.
La Corte ha chiarito, infatti, che la presenza della dichiarazione o dell’attestazione di conformità catastale costituisce una condizione dell’azione, e non un presupposto sostanziale per la validità del trasferimento giudiziale.

Ne deriva che il giudice non è tenuto a verificare la veridicità della conformità dichiarata o attestata, ma soltanto la presenza formale della menzione o dell’attestazione al momento della decisione.
L’effetto traslativo può dunque essere disposto anche in presenza di difformità non manifeste, purché sussistano le menzioni richieste dalla legge.

La “conformità catastale oggettiva” costituisce una condizione dell’azione e deve formare oggetto di accertamento da parte del giudice, che può accogliere la domanda in presenza della dichiarazione o attestazione di conformità al momento della decisione, senza alcun onere di verifica dell’effettività della coerenza catastale, salvo che si tratti di una falsità conclamata, cioè tale da essere rilevabile ictu oculi anche da un soggetto tecnicamente inesperto, caso nel quale la dichiarazione o attestazione può essere ritenuta inesistente e l’effetto traslativo è precluso.

I principi di diritto enunciati

La Corte di Cassazione ha, in conclusione, accolto il ricorso rinviando la causa alla Corte d’Appello che dovrà decidere uniformandosi ai seguenti principi di diritto:

1. La nullità ex art. 29, comma 1-bis, L. 52/1985, è formale e testuale. Essa colpisce soltanto la mancanza nell’atto della dichiarazione o dell’attestazione di conformità catastale, e non la falsità o inesattezza del loro contenuto. L’atto resta valido se tali menzioni esistono, purché la difformità non emerga in modo palese.

2. Nei giudizi di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., la conformità catastale oggettiva costituisce una condizione dell’azione, e il giudice può accogliere la domanda in presenza delle menzioni formali, senza onere di verifica tecnica, salvo il caso di falsità manifesta.

Un caso pratico per comprendere l’impatto operativo della sentenza

Per comprendere al meglio la portata della decisione, ipotizziamo insieme un caso pratico.

Immaginiamo che Tizio e Caio stipulino un preliminare di compravendita per un appartamento con cantina e posto auto.
Dopo anni, Tizio (acquirente) agisce ex art. 2932 c.c. per ottenere il trasferimento coattivo, allegando la dichiarazione di conformità catastale resa da Caio (venditore) e un’attestazione tecnica depositata successivamente.

Nel corso del giudizio emerge, tramite CTU, una difformità tra la planimetria catastale e lo stato di fatto (ad esempio, una diversa distribuzione interna dei vani).
Applicando i principi della sentenza n. 27531/2025, il giudice può comunque pronunciare la sentenza costitutiva di trasferimento, poiché:

  • la dichiarazione e l’attestazione esistono formalmente;

  • la difformità non è macroscopica;

  • la verifica di veridicità non rientra nel sindacato giudiziale.

Diversamente, se la dichiarazione fosse totalmente assente o se la falsità risultasse palese (ad esempio, l’attestazione si riferisse a un altro immobile), l’effetto traslativo sarebbe precluso.

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