
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22825/2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), torna a pronunciarsi sui limiti del potere di accertamento integrativo dell’Amministrazione Finanziaria, consolidando un principio fondamentale a tutela del contribuente e della certezza dei rapporti giuridici. Per un approfondimento su questi temi, segnaliamo il volume “Come cancellare i debiti fiscali”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.
Come cancellare i debiti fiscali
Il presente volume vuole offrire ai professionisti ed ai contribuenti, imprese e privati, soluzioni difensive, anche alternative a quelle tradizionali, al fine di risolvere la situazione compromessa.
Sono raccolti tutti gli strumenti utili per una efficace difesa in ogni fase, dall’avvio dell’attività imprenditoriale o professionale al primo accertamento/atto impositivo, sino ai rimedi estremi post decadenza dalle ordinarie azioni difensive.
Il lavoro, aggiornato alle ultime novità legislative e giurisprudenziali nazionali ed europee, analizza le contestazioni più frequenti, i vizi degli atti impositivi, del fermo amministrativo, dell’ipoteca e dei pignoramenti esattoriali e le relative soluzioni, attraverso il coordinamento della normativa speciale esattoriale alle previsioni amministrative, agli istituti civilistici, nonché alle norme penali (ad es. la sospensione disposta dal PM a seguito di denuncia per usura).
Al professionista viene offerto un quadro completo del suo perimetro d’azione, con l’indicazione puntuale delle circolari, dei provvedimenti e risposte della P.A., e dei vademecum e linee guida dei tribunali.
Leonarda D’Alonzo
Avvocato, già Giudice Onorario presso il tribunale di Ferrara e Giudice dell’Esecuzione in esecuzioni mobiliari, esecuzioni esattoriali mobiliari e immobiliari e opposizione all’esecuzione nella fase cautelare.
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Leonarda D’Alonzo, 2025, Maggioli Editore
44.00 €
41.80 €

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Leonarda D’Alonzo
Avvocato, già Giudice Onorario presso il tribunale di Ferrara e Giudice dell’Esecuzione in esecuzioni mobiliari, esecuzioni esattoriali mobiliari e immobiliari e opposizione all’esecuzione nella fase cautelare.
Il caso
La controversia trae origine da un avviso di accertamento notificato nel 2014 dall’Agenzia delle Entrate alla società. Con tale atto, l’Ufficio accertava, ai fini IRES per l’anno d’imposta 2005, un maggior reddito di quasi 38 milioni di euro. La contestazione si fondava sulla presunta omessa tassazione di una sopravvenienza attiva derivante dall’utilizzo di un “Fondo rischi da scissione”, iscritto in bilancio a seguito di una precedente operazione societaria straordinaria.
Il punto nodale della vicenda, tuttavia, non risiede nella questione di merito, ma in un profilo pregiudiziale di natura procedurale. Per la medesima annualità (2005), la società era già stata sottoposta a una verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza, conclusasi con un processo verbale di constatazione e successivamente definita parzialmente tramite accertamento con adesione.
La società contribuente ha quindi impugnato il nuovo avviso di accertamento, eccependo la sua nullità per violazione del principio di unicità dell’accertamento, sancito dall’art. 2, comma 4, del D.Lgs. 218/1997. A detta della società, l’atto era illegittimo poiché non si fondava su “nuovi elementi” sopravvenuti, ma su una mera riconsiderazione di dati e documenti (i bilanci societari e l’operazione di scissione) già pienamente disponibili durante la prima verifica. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale accoglievano la tesi della contribuente, annullando l’atto. L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione.
L’interpretazione dell’art. 43, terzo comma, D.P.R. 600/1973
Il fulcro della pronuncia della Suprema Corte riguarda l’interpretazione del terzo comma dell’art. 43 del D.P.R. 600/1973, norma che disciplina l’accertamento integrativo o modificativo in aumento. Essa consente all’ufficio di emettere nuovi avvisi “sulla base della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, configurandosi come una deroga al principio generale secondo cui, una volta notificato un accertamento, il potere impositivo per quella annualità si considera esaurito in relazione agli elementi conosciuti o conoscibili.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito la portata della locuzione “nuovi elementi”. Come ribadito anche nella sentenza in esame, non costituisce nuovo elemento una diversa o più approfondita valutazione del materiale probatorio già acquisito dall’ufficio. Ammettere il contrario significherebbe legittimare un’azione accertatrice potenzialmente illimitata nel tempo, fondata su ripensamenti o differenti qualificazioni giuridiche degli stessi fatti, in contrasto con il principio di certezza del diritto e con il divieto di ne bis in idem in ambito tributario.
La nozione di “nuovi elementi” e l’onere della prova
Secondo la Cassazione, per “nuovi elementi” devono intendersi non solo quelli mai venuti a conoscenza dell’ufficio procedente, ma anche quelli che, pur essendo noti ad altro ufficio fiscale, non erano ancora in possesso di quello che ha emesso il primo atto. In ogni caso, l’Amministrazione finanziaria è gravata dall’onere di dimostrare puntualmente quali siano tali elementi, da quali documenti emergano e, soprattutto, le ragioni per cui non furono esaminati in sede di precedente accertamento.
La decisione della Corte
Applicando questi principi al caso di specie, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici hanno evidenziato come l’Amministrazione non sia stata in grado di indicare alcun documento realmente “nuovo” reperito dopo la prima verifica. Al contrario, è emerso chiaramente che l’accertamento integrativo si fondava su una mera rivalutazione degli elementi contabili e societari (l’operazione di scissione e il relativo fondo rischi) che erano già stati oggetto, sebbene per altri aspetti, del primo controllo e che erano comunque a piena disposizione degli uffici.
Il principio di diritto enunciato
La Corte ha quindi cristallizzato il seguente principio di diritto:
“L’integrazione dell’accertamento mediante l’emissione di ulteriori atti impositivi, ai sensi dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, è ammessa solo ove gli elementi posti a fondamento degli stessi siano nuovi, tali dovendosi ritenere anche quelli noti ad un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso […] tale ipotesi non ricorre in presenza di diversa, o più approfondita, valutazione del ‘materiale probatorio’ già acquisito dall’ufficio, essendo onere dell’Amministrazione finanziaria indicare quali siano i nuovi elementi che non ha potuto esaminare in occasione del precedente accertamento”.
Una volta accertata la violazione di tale principio e confermata la nullità dell’atto per ragioni procedurali, la Corte ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse i restanti motivi di ricorso, che vertevano sulla questione di merito della tassabilità del fondo rischi. Si tratta di una logica conseguenza processuale: la decisione si fondava su una ragione (la violazione del principio di unicità) autonomamente idonea a sorreggere il rigetto, rendendo superfluo l’esame delle altre censure.
Conclusioni
La sentenza n. 22825/2025 della Cassazione rafforza il principio di certezza del diritto e di leale collaborazione tra Fisco e contribuente, limitando l’accertamento integrativo ai soli fatti realmente nuovi e ignoti all’Ufficio al momento del primo controllo. Non è ammessa una riapertura fondata su semplici rivalutazioni del materiale già acquisito. L’onere di provare la sopravvenuta conoscenza di tali elementi grava interamente sull’Amministrazione, che deve motivare perché non fossero esaminabili in precedenza. La decisione riafferma la consumazione del potere accertativo, incentivando verifiche iniziali complete e scoraggiando controlli frammentari. Il potere di recupero dell’imposta resta, ma subordinato al rispetto di rigorose garanzie procedurali, a tutela del contribuente contro un’azione amministrativa illimitata e imprevedibile.