Proporzionalità delle sanzioni tributarie: il contribuente può ottenere una riduzione

La recente sentenza n. 503/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Padova (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione) offre spunti significativi sul principio di proporzionalità delle sanzioni in ambito tributario. La decisione riguarda il caso di una contribuente a cui era stato contestato di essersi avvalsa di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Il Collegio ha esaminato la questione della legittimità delle sanzioni applicate e ha operato una significativa rideterminazione dell’importo, pur in presenza di una condotta negligente della ricorrente. Per un approfondimento su questi temi, segnaliamo il volume “Come cancellare i debiti fiscali”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.

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La vicenda e gli accertamenti fiscali

La vicenda trae origine da distinti ricorsi presentati da una contribuente contro avvisi di accertamento relativi alle annualità 2016, 2017 e 2018.
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Padova – aveva recuperato a tassazione importi relativi all’IVA, comprensivi di sanzioni e interessi, a seguito del disconoscimento della detrazione IVA per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

Le indagini condotte dalla Guardia di Finanza di Venezia avevano evidenziato l’utilizzo di fatture relative a forniture di capi di abbigliamento non riconducibili alle apparenti fornitrici, qualificate come “cartiere”.

Le difese della contribuente

La ricorrente sosteneva la regolarità dei pagamenti e del versamento dell’IVA, contestando la mancanza di elementi a supporto delle presunzioni dell’Ufficio. Denunciava vizi motivazionali, l’omessa allegazione degli atti richiamati e l’insussistenza di un valido supporto probatorio circa l’interposizione dei fornitori e la sua consapevolezza di un disegno evasivo. Chiedeva, inoltre, una riduzione delle sanzioni.

Le controdeduzioni dell’Ufficio e le questioni preliminari

L’Ufficio chiedeva il rigetto dei ricorsi. In via preliminare, il Collegio ha dichiarato inammissibile la questione relativa all’incompetenza della Procura Europea, sollevata tardivamente.
La Corte ha precisato che le indagini erano state condotte anche dalle Procure della Repubblica di Alessandria e Venezia, che avevano autorizzato l’uso degli elementi emersi in sede penale.

Il vizio motivazionale e la motivazione “per relationem”

La censura relativa al vizio motivazionale è stata respinta. La motivazione dell’atto tributario, basata sul processo verbale di constatazione (PVC) della Guardia di Finanza, è stata ritenuta adeguata.
La Suprema Corte ha ricordato che l’obbligo di motivazione può essere assolto anche “per relationem”.

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Operazioni soggettivamente inesistenti: oneri probatori e criteri di valutazione

La sentenza richiama la giurisprudenza sulle operazioni soggettivamente inesistenti:

  • Presuppongono l’effettività dell’acquisto, ma con fornitore reale diverso da quello in fattura.

  • L’onere della prova grava sull’Amministrazione finanziaria, che deve dimostrare la diversa identità del fornitore anche senza individuarlo, indicando elementi presuntivi come l’assenza di struttura organizzativa, locali, personale, mezzi e utenze.

  • Va provata anche la consapevolezza del destinatario, ossia che “sapeva o avrebbe dovuto sapere” che l’operazione si inseriva in una frode fiscale, secondo l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualifica professionale.

Una volta assolto questo onere, spetta al contribuente dimostrare la legittimità della detrazione e l’effettiva esecuzione dell’operazione tra i soggetti indicati in fattura. Non bastano la regolarità contabile o la tracciabilità dei pagamenti.

L’applicazione al caso concreto

Nel caso in esame, il PVC e le indagini hanno mostrato che le società emittenti le fatture non avevano sede operativa né personale, e i titolari erano irreperibili o all’estero. Questi elementi hanno portato a ritenere inesistenti le operazioni e a presumere la consapevolezza della contribuente.
La mancata verifica dell’effettiva esistenza e operatività delle controparti è stata considerata una grave violazione dei doveri di diligenza.

La decisione sulle sanzioni

La Corte ha osservato che la negligenza non esclude l’elemento soggettivo nelle sanzioni tributarie: è sufficiente la consapevolezza e volontà dell’azione, che si presume salvo prova contraria. La buona fede rileva solo in caso di errore inevitabile.

Quanto all’entità, pur applicando il principio del cumulo giuridico, il Collegio ha ritenuto sproporzionato l’importo iniziale, richiamando la giurisprudenza comunitaria. Ha pesato anche il fatto che, in caso di inesistenza soggettiva, il divieto di detrazione IVA non comporta il rimborso dell’imposta già versata.

La Corte ha rideterminato la sanzione a € 90.000,00 per la violazione più grave del 2018, elevandola a € 150.000,00 per il cumulo giuridico.

Conclusioni e rilievo della pronuncia

Il parziale accoglimento dei ricorsi, con rideterminazione della sanzione, ha comportato la compensazione delle spese e la conferma della validità degli accertamenti nel resto.

La decisione evidenzia il delicato equilibrio tra l’esigenza di contrastare le frodi fiscali e quella di garantire la proporzionalità delle sanzioni rispetto alla condotta e alla gravità della violazione. Il richiamo alla giurisprudenza UE e alla nuova disciplina del D.lgs. n. 87/2024 mostra l’attenzione crescente per questo aspetto dell’accertamento tributario.

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