
La disciplina dei contratti a termine, da anni oggetto di riforme e aggiustamenti, si conferma uno dei pilastri normativi più dinamici del diritto del lavoro italiano. A regolare il settore resta il D.Lgs. 81/2015, ma è con il Decreto Lavoro del 2023 e il Decreto Milleproroghe 2025 che si è cercato di correggere le rigidità introdotte dal cosiddetto Decreto Dignità del 2018, ritenute eccessivamente penalizzanti per le imprese e poco aderenti alla realtà occupazionale.
La nuova disciplina punta a una maggiore flessibilità controllata, mantenendo il principio di tutela del lavoratore, ma allargando le maglie normative, in particolare per quanto riguarda le causali necessarie per prorogare o rinnovare un contratto a termine oltre i 12 mesi. L’obiettivo è quello di bilanciare l’esigenza di stabilità occupazionale con la necessità di adattamento dei rapporti di lavoro a contesti produttivi in continua evoluzione. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, abbiamo organizzato il corso di formazione “Corso avanzato di diritto del lavoro – Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni”.
La riforma del 2023: Decreto Lavoro e Decreto Milleproroghe 2025
Il Decreto Lavoro (D.L. 48/2023, convertito in L. 85/2023), recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, è intervenuto su tre fronti fondamentali della disciplina dei contratti a termine:
- il regime delle causali;
- le proroghe e i rinnovi;
- la computabilità dei contratti stipulati prima del 5 maggio 2023.
Inoltre, lo stesso decreto ha rivisitato anche le regole relative alla somministrazione a tempo indeterminato, introducendo criteri più favorevoli per il calcolo dei limiti numerici dei lavoratori somministrati.
A completare il quadro, è intervenuta la Circolare n. 9 del 9 ottobre 2023 del Ministero del Lavoro, che ha fornito chiarimenti interpretativi su alcuni aspetti applicativi delle nuove norme.
La durata e i limiti dei contratti a termine
Un contratto a termine può essere stipulato senza causale per una durata massima di 12 mesi (art. 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015). Oltre questo limite, è necessario indicare una causale per proseguire (o rinnovare) il rapporto di lavoro, fermo restando il limite massimo complessivo di 24 mesi tra le stesse parti (salvo diversa previsione del contratto collettivo).
È inoltre confermata la possibilità, già prevista dall’ordinamento, di stipulare un contratto assistito (della durata massima di 12 mesi), presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, anche in caso di superamento dei 24 mesi.
In mancanza dei presupposti di legge o in caso di superamento dei limiti temporali, il contratto si trasforma automaticamente a tempo indeterminato a partire dalla data in cui viene superato il termine non legittimo.
Potrebbero interessarti anche:
Le nuove causali dopo la riforma
La novità più significativa del 2023 riguarda il regime delle causali che consentono la stipula o il rinnovo di un contratto oltre i 12 mesi. Il nuovo articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015, nella versione aggiornata dal D.L. 48/2023, prevede oggi che un contratto possa durare oltre i 12 mesi, ma non oltre i 24, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
- a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs. 81/2015;
b) in assenza della lettera a), per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti, fino al 31 dicembre 2025 (prorogato dal D.L. Milleproroghe 2025);
b-bis) per la sostituzione di altri lavoratori.
Lettera a) – Causali previste dalla contrattazione collettiva
La disciplina valorizza pienamente il ruolo della contrattazione collettiva in tutte le sue articolazioni – nazionale, territoriale e aziendale – riconoscendo la possibilità di modulare le causali giustificative del contratto a termine in funzione delle specifiche esigenze dell’organizzazione aziendale.
Affinché tali accordi siano giuridicamente legittimi, è necessario che i soggetti sottoscrittori siano organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, oppure le rispettive rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o la rappresentanza sindacale unitaria (RSU) ad esse riconducibili.
In capo al datore di lavoro grava l’onere di dimostrare la sussistenza del requisito di rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie.
Il richiamo al livello aziendale assume particolare rilievo, poiché consente di declinare l’intervento sindacale in modo aderente alle peculiarità operative e organizzative dell’impresa. Al contrario, i soggetti privi del prescritto requisito di rappresentatività non possono legittimamente intervenire nella regolazione delle materie demandate alla contrattazione collettiva.
Lettera b) – Causali “contrattate” fino al 31 dicembre 2025
Il legislatore ha introdotto la possibilità, in assenza delle previsioni di cui alla lettera a) dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, che siano le parti del contratto individuale a individuare le condizioni giustificative dell’apposizione del termine, purché riconducibili a esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva.
La proroga introdotta dal Decreto Milleproroghe 2025
Il Decreto Milleproroghe 2025 (art. 14, comma 3, D.L. n. 202/2024) ha esteso sino al 31 dicembre 2025 la possibilità per le parti individuali di apporre un termine superiore ai 12 mesi anche in assenza di causali “collettive”, purché sussistano esigenze tecniche, organizzative o produttive. La proroga risponde all’esigenza di compensare i ritardi nell’adeguamento della contrattazione collettiva alle nuove disposizioni normative e tiene conto del ruolo significativo che il contratto a termine continua a rivestire nel mercato del lavoro italiano, in particolare per l’avvio di nuovi rapporti di lavoro.
Flessibilità e rischi interpretativi
Questo nuovo assetto normativo, in apparenza più flessibile, impone però un’attenta riflessione sotto il profilo interpretativo e applicativo, in particolare per quanto riguarda il rischio di contenzioso. La maggiore libertà concessa alle parti non esonera, infatti, dall’onere di assicurare coerenza, specificità e verificabilità alle motivazioni addotte per proroghe o rinnovi oltre il dodicesimo mese. È proprio su questi aspetti che si è concentrato storicamente l’intervento giurisprudenziale.
L’esperienza del precedente regime causale
Nel precedente regime causale, introdotto dal d.lgs. n. 368/2001, si era consolidata l’interpretazione secondo cui solo esigenze temporanee e non permanenti potessero legittimare l’apposizione del termine. Tuttavia, la giurisprudenza non mancava di riconoscere la validità anche di esigenze oggettive non arbitrarie, superando una lettura eccessivamente restrittiva della “temporaneità”.
L’impostazione “acausale” e i limiti di durata
Il quadro attuale si caratterizza, almeno nella fase iniziale, per un’impostazione “acausale”, in cui la tutela contro l’abuso è affidata ai limiti massimi di durata complessiva e al numero di proroghe consentite, come stabilito dai commi 2 e 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 81/2015.
In tale contesto, il controllo giudiziale dovrebbe concentrarsi sulla verifica concreta delle motivazioni addotte per proroghe e rinnovi e sulla loro coerenza con la prosecuzione del rapporto. Di conseguenza, una volta individuata contrattualmente una determinata esigenza giustificativa per il superamento della soglia dei 12 mesi, il datore di lavoro è tenuto ad assegnare al lavoratore mansioni coerenti con tale esigenza.
Centralità della specificità della causale
L’esperienza maturata sotto il d.lgs. n. 368/2001 ha evidenziato che il contenzioso non verteva tanto sulla natura astratta della causale, quanto sulla sua specificità e concreta sussistenza. La Corte di cassazione ha costantemente affermato che le esigenze devono essere indicate in modo circostanziato e puntuale, per garantirne verificabilità, trasparenza e immodificabilità nel corso del rapporto.
Forma scritta e lacune normative
Sotto il profilo formale, l’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015 impone la forma scritta per la causale nei casi di proroga o rinnovo oltre i 12 mesi. Tuttavia, la norma tace in merito al primo contratto a termine con durata eccedente i 12 mesi, omissione imputabile a un difetto di coordinamento legislativo già presente nel c.d. Decreto Dignità. In assenza di una previsione espressa, si ritiene comunque opportuno – se non necessario – formalizzare per iscritto le ragioni giustificative, al fine di evitare contestazioni in sede giudiziale.
Certificazione delle esigenze giustificative
Anche se la normativa vigente non richiede più la certificazione delle esigenze giustificative per i contratti oltre i 12 mesi, il ricorso alla procedura di certificazione disciplinata dagli artt. 75 e ss. del d.lgs. n. 276/2003 può offrire un utile presidio contro il contenzioso. La certificazione, sebbene non abbia efficacia preclusiva, ha una funzione dissuasiva e rafforza la certezza giuridica, a condizione che la commissione adita svolga il proprio ruolo con rigore, sfruttando i poteri istruttori a disposizione e garantendo adeguata assistenza alle parti.
Impugnazione e qualità dell’istruttoria
L’art. 80 del medesimo decreto consente comunque l’impugnazione del contratto certificato, sia per vizi del consenso che per difformità tra programma negoziale e sua attuazione, o per erronea qualificazione contrattuale. In definitiva, ciò che realmente incide sull’efficacia della certificazione è la qualità dell’istruttoria svolta dalla commissione certificante, più che il mero adempimento formale.
Lettera b-bis) – Sostituzione di altri lavoratori
Questa causale conserva piena validità, soprattutto laddove il datore intenda accedere a incentivi o sgravi contributivi per assunzioni in sostituzione, come previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 151/2001.
In proposito, una questione di rilievo tradizionalmente dibattuta attiene all’onere di indicazione nominativa del lavoratore assente.
Nelle realtà aziendali complesse, ove la sostituzione non si riferisca a un singolo lavoratore ma piuttosto a una funzione produttiva determinata, temporaneamente scoperta, l’apposizione del termine al contratto deve ritenersi legittima qualora la dichiarazione dell’esigenza sostitutiva sia integrata da ulteriori elementi identificativi — quali, ad esempio, l’ambito territoriale interessato, il luogo di svolgimento della prestazione, le mansioni riferibili ai lavoratori da sostituire, nonché il loro diritto alla conservazione del posto di lavoro — che rendano comunque possibile determinare il numero degli assenti, anche in assenza dell’indicazione nominativa, restando comunque imprescindibile la verificabilità effettiva del presupposto legittimante addotto.
Tale principio appare condivisibile qualora trovi applicazione a seguito di un rigoroso accertamento dell’effettiva sussistenza della necessità organizzativa dedotta in contratto. Di converso, si conferma, in via implicita, la necessità dell’indicazione nominativa del lavoratore sostituito nei casi in cui quest’ultimo risulti immediatamente identificabile.
Più in generale, al pari della clausola di apposizione del termine, anche la causale giustificativa deve risultare formalizzata per iscritto ai fini della validità del contratto stesso, a pena di conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato. Tale sanzione trova altresì applicazione nel caso in cui la causale, sebbene formalmente esplicitata, risulti in concreto insussistente, ovvero qualora il datore di lavoro non sia in grado di fornirne idonea prova.
Altri aspetti rilevanti
Ai sensi dell’art. 19, comma 2, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il limite massimo di durata dei contratti a tempo determinato tra le medesime parti è fissato in ventiquattro mesi, incluse proroghe e rinnovi. Tuttavia, tale limite opera solo qualora le prestazioni lavorative siano riconducibili a mansioni appartenenti allo stesso livello e categoria legale. Ne consegue che, in presenza di contratti relativi a mansioni diverse — purché non fittiziamente riformulate —, non vi è sommatoria dei periodi ai fini del raggiungimento del tetto massimo.
Analogamente, i periodi di interruzione tra un contratto e l’altro non rilevano ai fini del computo, così come sono escluse dal conteggio le prestazioni svolte nell’ambito di attività stagionali, per le quali l’art. 21, comma 2, del medesimo decreto legislativo prevede un regime speciale, derogatorio sia in termini di durata che di causale.
Un’ulteriore ipotesi di rilievo riguarda i contratti di somministrazione a termine. L’art. 34, comma 2, D.Lgs. 81/2015 dispone che, ai fini del computo dei 24 mesi, si sommano anche i periodi di missione svolti presso lo stesso utilizzatore per lo svolgimento di mansioni equivalenti, salvo che non si tratti di attività stagionali.
Resta impregiudicato il potere dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro di accertare eventuali condotte elusive del limite legale, specie nei casi in cui il frazionamento artificioso dei contratti, il ricorso reiterato a qualificazioni differenti di mansioni o l’utilizzo strumentale della somministrazione appaiano finalizzati ad evitare la stabilizzazione del rapporto. In tali casi, la giurisprudenza e la prassi amministrativa convergono nel ritenere applicabile la sanzione della conversione del contratto a tempo indeterminato, ex art. 19, comma 2, ultima parte, e art. 21, comma 1.
L’importanza della specificazione delle causali
Resta però centrale un punto: le causali individuate dalle parti non possono essere vaghe o generiche, è necessario indicare in modo puntuale le circostanze che giustificano la stipula, la proroga o il rinnovo del contratto a termine.
Una causale generica o tautologica espone il datore di lavoro al rischio di trasformazione automatica del contratto in contratto a tempo indeterminato.
Conclusioni
Il quadro normativo attuale, delineato dalla riforma del 2023 e successivamente integrato con la proroga del 2025, disegna un sistema in cui la flessibilità contrattuale, pur incentivata dal legislatore, non può mai tradursi in una disponibilità arbitraria del tempo determinato. La struttura del contratto a termine, per quanto alleggerita sotto il profilo formale in talune ipotesi, conserva la sua natura di eccezione rispetto alla regola del tempo indeterminato, e richiede, pertanto, un impianto applicativo improntato a rigore, coerenza e verificabilità.
In particolare, la disciplina delle causali — per quanto temporaneamente rimessa anche all’autonomia delle parti individuali — non consente generalizzazioni, semplificazioni eccessive o formule standardizzate. L’esigenza giustificativa deve emergere in modo specifico, essere concretamente riconducibile all’organizzazione aziendale e riflettersi coerentemente nelle mansioni affidate al lavoratore. In assenza di tale coerenza tra forma e sostanza, lo strumento del termine perde legittimità e si espone alle conseguenze sanzionatorie previste dall’ordinamento.
La scelta di affidare alla contrattazione collettiva — nazionale, territoriale e aziendale — un ruolo centrale nell’individuazione delle ipotesi legittimanti rappresenta un’apertura interessante, ma solo nella misura in cui i soggetti abilitati siano realmente rappresentativi, attrezzati e responsabili nel bilanciamento tra esigenze datoriali e tutele del lavoro. A tal fine, risulta determinante anche la trasparenza dei meccanismi di certificazione, laddove utilizzati, e la qualità dell’attività svolta dalle commissioni preposte.
L’esperienza applicativa mostra come la tenuta del sistema non dipenda tanto dalla quantità delle norme, quanto dalla qualità della loro attuazione: ciò che conta, in ultima analisi, è che il termine sia giustificato, documentato e giuridicamente fondato. Il contratto a termine, per non trasformarsi in uno strumento opaco di gestione del lavoro, deve poter resistere a un vaglio di trasparenza, congruità e coerenza con le finalità dichiarate.
Formazione in materia
Norme, tecnologie e organizzazione del lavoro stanno cambiando: il “Corso avanzato di diritto del lavoro”, a cura di Federico Torzo, intende esaminare, con taglio operativo, le principali novità e criticità nella gestione del rapporto di lavoro privato. Questo percorso aiuta a orientarsi tra i principali temi critici, offrendo strumenti concreti per affrontare le scelte contrattuali, organizzative e gestionali in ambito giuslavoristico. <<<scopri di più e iscriviti qui>>>