
Con la sentenza n. 14063 del 27 maggio 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), la Corte di Cassazione affronta un tema rilevante in materia di imposta di successione. Al centro della decisione vi è il caso di un soggetto designato come erede in un testamento, poi revocato da disposizioni successive. La Suprema Corte chiarisce che la revoca del testamento ha effetto retroattivo: annulla la vocazione ereditaria iniziale e priva di efficacia anche un’eventuale accettazione implicita. Di conseguenza, viene meno il presupposto per l’imposizione tributaria. La pronuncia offre spunti importanti per distinguere tra la figura civilistica dell’erede e quella tributaria del “chiamato all’eredità”.
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Riccardo Mazzon
Avvocato Cassazionista del Foro di Venezia. Ha svolto funzioni di vice-procuratore onorario presso la Procura di Venezia negli anni dal 1994 al 1996. È stato docente in lezioni accademiche presso l’Università di Trieste, in corsi approfonditi di temi e scritture giuridiche indirizzati alla preparazione per i Concorsi Pubblici. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche.
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Riccardo Mazzon, 2025, Maggioli Editore
84.00 €
79.80 €

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Riccardo Mazzon
Avvocato Cassazionista del Foro di Venezia. Ha svolto funzioni di vice-procuratore onorario presso la Procura di Venezia negli anni dal 1994 al 1996. È stato docente in lezioni accademiche presso l’Università di Trieste, in corsi approfonditi di temi e scritture giuridiche indirizzati alla preparazione per i Concorsi Pubblici. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche.
Il caso
L’origine della controversia
Il caso nasce da un avviso di liquidazione notificato dall’Agenzia delle Entrate, con cui veniva contestata al contribuente l’imposta di successione per l’eredità di una signora. Quest’ultimo era stato nominato erede universale con un testamento pubblicato il 29 gennaio 2020 e aveva successivamente presentato la dichiarazione di successione il 16 giugno dello stesso anno.
La contestazione del contribuente
Il contribuente impugnava l’avviso, sostenendo di non aver mai accettato l’eredità e di essere, pertanto, un mero “chiamato”. Inoltre, faceva valere la successiva pubblicazione di due testamenti olografi, entrambi posteriori a quello del 2019, nei quali veniva designato erede un altro soggetto.
Le pronunce di merito
La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso del contribuente. La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado, al contrario, accoglieva l’appello, ritenendo che, tra più testamenti, fosse valido l’ultimo in ordine temporale. Secondo la Corte regionale, il de cuius aveva inizialmente redatto un testamento olografo in favore del contribuente il 18 aprile 2019, ma successivamente erano stati pubblicati altri due testamenti olografi che nominavano un terzo soggetto, il quale aveva accettato l’eredità in modo pieno il 4 settembre 2020, presentando la relativa dichiarazione di successione.
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Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate in Cassazione
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione articolando diverse doglianze:
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Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 43 del D.Lgs. n. 346/1990: secondo l’Ufficio, l’imposta di successione deve applicarsi ai trasferimenti testamentari anche se il testamento è oggetto di impugnazione. Inoltre, la presentazione della dichiarazione di successione costituirebbe, di per sé, un atto di accettazione.
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Violazione dell’art. 295 c.p.c. e dell’art. 39, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992: in via subordinata, l’Agenzia sosteneva che il giudizio avrebbe dovuto essere sospeso in attesa della definizione della causa civile sulla validità del secondo testamento.
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Omesso esame circa un fatto decisivo: secondo l’Ufficio, la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso che il contribuente avesse assunto la qualità di erede, nonostante avesse compiuto atti dispositivi sui beni ereditari, avesse avviato cause civili relative alla validità dei testamenti successivi, e avesse posto in essere transazioni e cessioni di credito.
Le difese del contribuente
Il contribuente, nel controricorso, sollevava preliminarmente un’eccezione di inammissibilità per violazione dell’art. 366 c.p.c., ritenendo che il ricorso dell’Agenzia fosse carente di specificità e chiarezza. Nel merito, ribadiva la propria tesi: il primo testamento era stato revocato da atti successivi e, dunque, non era efficace a fondare una chiamata ereditaria valida ai fini impositivi.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14063 del 27 maggio 2025, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Ha trattato congiuntamente il primo e il terzo motivo di ricorso e ha dichiarato assorbito il secondo. Al centro della decisione, la revocabilità del testamento ai fini dell’imposta di successione e le implicazioni sulla soggettività passiva del chiamato.
Quadro normativo e presupposto d’imposta
La Corte ha richiamato la disciplina dell’imposta di successione, reintrodotta dall’art. 2, comma 47, del D.L. n. 262/2006 e regolata, per quanto compatibile, dal D.Lgs. n. 346/1990. In particolare, ha evidenziato che:
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L’art. 28 attribuisce l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione al chiamato, non solo all’erede che abbia già accettato.
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L’art. 7, comma 4, stabilisce che l’imposta va calcolata sulla base dei chiamati che non hanno rinunciato all’eredità, anche se non hanno ancora accettato.
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L’art. 43 dispone che, nelle successioni testamentarie, l’imposta si applica secondo quanto indicato nel testamento, anche se impugnato, salvo il diritto al rimborso o alla presentazione di dichiarazioni integrative in caso di modifiche o accordi.
Questa struttura normativa consente all’amministrazione di individuare celermente i soggetti passivi dell’imposta, senza attendere esiti di contenziosi o decisioni di accettazione.
Revoca del testamento: natura ed effetti
Nel caso esaminato, il testamento iniziale (18 aprile 2019) in favore del contribuente era stato successivamente revocato da due testamenti olografi (20 e 22 aprile 2019), che nominavano erede un altro soggetto.
La Corte ha ricordato che la revoca può essere:
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Espressa, ai sensi dell’art. 680 c.c.
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Tacita o implicita, ex art. 682 c.c., quando le nuove disposizioni risultano incompatibili con quelle precedenti.
In questo caso, la revoca era evidente: i testamenti successivi attribuivano specificamente i beni a un altro erede e uno di essi conteneva anche una revoca espressa.
Revoca e retroattività
La revoca del testamento è un atto unilaterale e non recettizio (artt. 587 e 679 c.c.), che comporta effetti retroattivi. In sostanza, annulla la validità giuridica delle disposizioni precedenti fin dall’apertura della successione.
La Corte ha affermato che, per effetto della revoca, il primo testamento deve considerarsi come mai esistito. Non si produce quindi alcun effetto successorio a favore del soggetto menzionato nel testamento revocato. Di conseguenza, anche un’eventuale accettazione (implicita) da parte del chiamato viene privata di efficacia: non esiste più alcun titolo legittimante alla successione.
Infondatezza della tesi erariale
La Suprema Corte ha respinto la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui la soggettività passiva sorgerebbe con la sola accettazione (anche implicita), indipendentemente dall’esistenza di testamenti successivi.
La Corte ha chiarito che la vocazione ereditaria presuppone la validità della disposizione testamentaria. Se questa è revocata, manca il presupposto stesso per considerare un soggetto erede o chiamato. Ha inoltre richiamato l’art. 681 c.c., secondo cui la revoca della revoca ha a sua volta effetto retroattivo, confermando che ogni modifica testamentaria incide dalla data della morte del testatore.
Il testamento revocato è inefficace ab origine
La Cassazione ha sancito un principio chiaro: chi figura in un testamento poi revocato non può essere considerato tra i successibili. Non può dunque divenire soggetto passivo dell’imposta di successione. La presenza di un testamento posteriore legittimo e opponibile determina la nullità giuridica del primo, privando di rilevanza anche la dichiarazione di successione eventualmente presentata dal primo nominato.
Conclusioni
La giurisprudenza ha già affermato che il chiamato che rinuncia all’eredità non è tenuto al pagamento dell’imposta, anche se ha presentato la dichiarazione, poiché la rinuncia ha efficacia retroattiva (art. 521 c.c.). Allo stesso modo, la presentazione della dichiarazione di successione legata a una chiamata all’eredità divenuta tamquam non esset (come se non fosse mai stata) a seguito di revoca non fa sorgere ex se l’obbligo tributario. La revoca fa perdere retroattivamente al primo testamento il suo valore di fatto giuridico.
Infine, la circostanza che i testamenti successivi siano stati impugnati dal primo chiamato non fa rivivere l’originaria chiamata, poiché la reviviscenza delle disposizioni revocate consegue solo al passaggio in giudicato della sentenza che annulla il testamento contenente la revocazione. In tale evenienza, opera l’art. 43 D.Lgs. n. 346/1990, che prevede l’obbligo di dichiarazioni integrative o il diritto al rimborso a seconda del mutamento della devoluzione ereditaria.
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