Nozione di “credito condizionato”: alle Sezioni Unite

La I Sezione Civile della Corte di Cassazione, tramite l’Ordinanza Interlocutoria n. 2931 del 05 febbraio 2025, ha rimesso la questione dei crediti condizionati in sede di liquidazione giudiziale (già fallimento) alle Sezioni Unite. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “Le tutele del nuovo sovraindebitamento. Come uscire dal debito”, aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali. 

I quesiti insorti

Nella vicenda esaminata dal collegio della prima Sezione Civile, che ha rimesso un ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, sono emersi i seguenti quesiti:

  • se la domanda di risoluzione del contratto proposta verso il contraente poi fallito debba o meno essere trasferita in sede fallimentare insieme alle domande risarcitorie o restitutorie conseguenti alla risoluzione;
  • in ipotesi di risposta positiva, quali conseguenze derivino dall’omessa riproposizione della domanda in sede fallimentare e se il trasferimento debba avvenire pur quando l’azione di risoluzione contrattuale sia stata promossa anche dal contraente poi fallito e sia stata proseguita dal curatore in sede ordinaria;
  • in caso di risposta negativa, e dunque se la domanda di risoluzione debba rimanere pendente dinanzi al giudice ordinario, quando debba essere proposta la domanda di ammissione del credito allo stato passivo e se tale credito possa essere assimilato ai crediti condizionali o debbano adottarsi altri rimedi processuali, anche per evitare il possibile contrasto fra giudicato endofallimentare e giudicato ex art. 2909 c.c.

La domanda di risoluzione e l’art. 72, comma 5, l. fall.

L’art. 72 l. fall. relativa agli “Effetti del fallimento nei rapporti giuridici preesistenti”, nei primi quattro commi disciplina la sorte dei contratti ancora pendenti alla data di dichiarazione del fallimento, che restano sospesi fino a quando il curatore non eserciti, su autorizzazione del comitato dei creditori, la scelta di subentrarvi ovvero di sciogliersene. Il quinto comma dell’articolo 72 l. fall. esclude che il curatore possa esercitare la facoltà di scelta di subentrare o meno nel contratto quando, prima del fallimento, la parte adempiente ne abbia chiesto la risoluzione verso la parte inadempiente poi fallita. L’azione “spiega i suoi effetti nei confronti del curatore”, salva l’efficacia della trascrizione della domanda. L’art. 72, 5° comma, l. fall., nel disciplinare il “raccordo” fra il giudizio anteriormente instaurato e quello di accertamento del passivo, stabilisce che “se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al capo V”, cioè mediante l’insinuazione al passivo. L’ipotesi opposta è quella in cui il contraente intenda ottenere solo la pronuncia di risoluzione del contratto, e in tal caso nessuna domanda deve essere proposta in sede fallimentare.

Consiglio: per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “Le tutele del nuovo sovraindebitamento. Come uscire dal debito”, aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali. 

Le tutele del nuovo sovraindebitamento. Come uscire dal debito

Le tutele del nuovo sovraindebitamento. Come uscire dal debito

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Monica Mandico
Avvocato cassazionista, Founder di Mandico&Partners. Gestore della crisi, curatore, liquidatore e amministratore giudiziario. È presidente di Assoadvisor e coordinatrice della Commissione COA Napoli “Sovrain- debitamento ed esdebitazione”. Già componente della Commissione per la nomina degli esperti indipendenti della composizione negoziata presso la CCIAA di Napoli. Esperta in crisi d’impresa e procedure di sovraindebitamento e presidente di enti di promozione sociale. Autrice di numerose pubblicazioni, dirige la Collana “Soluzioni per la gestione del debito” di Maggioli Editore, ed è docente di corsi di alta formazione e master accreditati presso Università e ordini professionali.

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Il corrispondente articolo del CCII

La disposizione è stata riprodotta nell’art. 172, comma 5, CCII. La dottrina ne ha rimarcato la “continuità” con l’art. 72 l.fall., affermando, in ordine alla previsione del quinto comma, che l’azione di risoluzione promossa prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, e nei casi previsti debitamente trascritta, spiega i suoi effetti anche verso il curatore e che se il contraente intende ottenere non solo la pronuncia di risoluzione per inadempimento, ma anche la restituzione di una somma o di un bene ovvero il risarcimento del danno, la domanda deve essere proposta secondo le disposizioni sull’accertamento del passivo. Nella Relazione illustrativa all’art. 172, comma 5, CCII è riportato che, “poiché il giudice delegato, nel corso dell’accertamento del passivo deve poter conoscere con pienezza dei suoi poteri della domanda di ammissione, verificandone la fondatezza sia in rapporto al petitum che alla causa petendi, ne consegue che la controparte in bonis avrà interesse a coltivare l’azione di risoluzione introdotta prima dell’apertura della liquidazione giudiziale solo in presenza di un interesse giuridico, attuale e concreto, diverso da quello all’accoglimento della domanda restitutoria o di ammissione al passivo del credito”.

Le due opzioni ermeneutiche

Il testo dell’art. 72, comma 5, l.fall. ha rivelato ambiguità sul raccordo tra il preventivo giudizio di risoluzione promosso in sede ordinaria e quello successivo da promuovere in sede fallimentare, ingenerando due tesi, quella della “divaricazione processuale” tra giudizio ordinario e giudizio fallimentare e quella della “trasmigrazione integrale” in sede fallimentare:

  • la tesi della divaricazione processuale comprime il perimetro dell’art. 72, comma 5, l.fall., riferendo la porzione che rimanda alle modalità delineate dal “capo V” alle sole istanze restitutorie e risarcitorie correlate alla istanza di risoluzione del vincolo negoziale introdotta prima del fallimento, che continua invece a far capo al giudice ordinario;
  • la tesi della trasmigrazione integrale valorizza la struttura sintattico-grammaticale della norma, reputando che la domanda da proporre “secondo le disposizioni del capo V” sia proprio quella di risoluzione che il precetto menziona dapprincipio, che va dunque “traslata” in sede concorsuale insieme a (“con”) quelle restitutorie e risarcitorie cui è strumentale, anche perché l’interpretazione opposta svuoterebbe di senso la norma, essendo pacifico che queste ultime domande debbano essere sottoposte al giudice fallimentare. In quest’ottica, non sarebbe un ostacolo il carattere costitutivo dell’azione di risoluzione, purché la domanda sia stata trascritta anteriormente al fallimento qualora abbia ad oggetto diritti reali su beni immobili ai sensi dell’art. 2652 n. 1, c.c.

 

I crediti condizionati

Rappresentano un genus difficile da definire, potendosi individuare due interpretazioni della loro nozione:

  • da un lato vi sono la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria di legittimità, secondo cui le ipotesi di credito condizionato sarebbero tassative, escludendosi ogni possibile allargamento del perimetro attraverso il ricorso all’analogia; sicché rientrano tra i crediti condizionati ex art. 96, comma 2, n. 1, l.fall. (ora art. 204 CCII), oltre a quelli sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva, solo quelli indicati nell’ultimo comma dell’art. 55 l.fall. (ora art. 154 CCII), ivi espressamente richiamati, e cioè quelli che non possono farsi valere contro il fallito se non previa escussione dell’obbligato principale (Cass. 4336/2020);
  • dall’altro lato si pongono una parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 21813/2023.) che, in base alla fattispecie esemplificativa di cui all’art. 55, comma 3, l.fall. (ora art. 154 CCII), inseriscono all’interno di tale macrocategoria anche altre tipologie di crediti, senza necessità di ricorrere allo strumento dell’analogia, vietata per le norme eccezionali, ma con una attenta attività di interpretazione estensiva.

E’ quindi introdotta una forma di condizionalità “impropria”, diversa da quella “tecnico-giuridica”, che attiene alla condizione, come elemento accidentale del negozio. La conseguenza è che dovrebbero essere “inclusi tra i crediti condizionali quelli che, pur non essendo certi, liquidi ed esigibili prima della dichiarazione di fallimento, comunque affondano le radici in atti compiuti prima della decozione e sono condizionati, anche nel loro sorgere, alla verificazione di un determinato ulteriore evento, come se si trattasse di una fattispecie a formazione progressiva o complessa prevista dalla legge per la formazione del credito. Solo una porzione della fattispecie costitutiva si è generata prima del fallimento, mentre l’esistenza del diritto dipende da un elemento ulteriore, diverso dalla volontà del soggetto, che non incide solo sull’efficacia ma proprio sulla nascita del diritto”.

 

Il credito condizionato è più ampio di quello condizionale

Su tale scia, la Cassazione (n. 21813/2023) ha affermato che la nozione di “credito condizionato” è più ampia di quella di “credito condizionale” (che “ricomprende in sé, quale parte del tutto”) e non è limitata ai soli crediti già sorti in forza di un negozio stipulato prima della dichiarazione di fallimento, pur se sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva (la cui efficacia sia quindi subordinata, per volontà delle parti, ex art. 1353 c.c. ad un evento futuro e incerto), ma include “ogni credito, preesistente, la cui ammissione al passivo fallimentare dipenda da un evento futuro e incerto realizzatosi in corso di procedura”. E così, piuttosto che “ricorrere all’analogia legis o iuris per giustificare l’ammissione con riserva” si è ampliata la stessa nozione di “credito condizionato”, che sarebbe, più genericamente, ogni credito incerto e inesigibile, per ragioni estranee alla volontà del debitore, però munito di una causa giustificatrice anteriore al fallimento.

Il contrasto

La giurisprudenza ha già ricondotto il “credito condizionato” tra i crediti sottratti alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. Sez. U. n. 3944/2023). Per il collegio occorre verificare se nella nozione di “credito condizionato” possa rientrare anche il credito (risarcitorio o restitutorio) derivante dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento chiesta prima del fallimento e ancora pendente, per iniziativa del curatore, in sede ordinaria. Ove questa soluzione dovesse essere ritenuta non praticabile, andrà stabilito se debba accedersi alla tesi secondo cui il rischio di un possibile conflitto fra giudicati potrà essere evitato sottoponendo a sospensione ex art. 295 c.p.c. la causa pendente dinanzi al giudice ordinario, o se non ricorrendo alcun rapporto di pregiudizialità/connessione fra le due cause, queste debbano procedere separatamente ed essere separatamente decise, previo necessario trasferimento in sede fallimentare della domanda di risoluzione proposta dalla creditrice in bonis. Come ulteriore alternativa, derivante dalla possibile insorgenza di un conflitto pratico -parziale fra le due pronunce, potrebbe ipotizzarsi che in simili fattispecie si accetti il rischio di un conflitto tra giudicati; conflitto che l’ordinamento in effetti tollera quando le diverse finalità dell’azione e la diversità delle regole di giudizio consentono di tenere in non cale l’eventuale “cortocircuito” tra i giudicati formati nelle rispettive sedi processuali. Il Collegio ha quindi rinviato la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

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