Straining e mobbing sul posto di lavoro: differenze e tutela legale

Il nome alla condotta di straining è stato dato dal dott. Harald Ege, dottore in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, già noto perché precursore in Italia per aver introdotto, nel 1995, la definizione di mobbing. Colui che, forse prima di ogni altro, ha conferito meritevole tutela alla lesività di condotte negli ambienti lavorativi.

Le petizioni giunte al suo esame gli hanno permesso di accedere alla problematica medica di studiarla e di delineare uno schema tipo diverso da quelli noti nell’esigenza di curare anche gli effetti lesive di condotte sporadiche.

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Lo straining: nient’altro che una forma attenuata di mobbing

E’ lo studioso a descrivere il fenomeno scegliendo per la nomenclatura il verbo to strain: tendere, mettere sotto pressione, stringere. Un verbo che più di ogni altro descrive in modo non equivoco l’ aspetto riportato nell’analisi di Edge il quale ha fornito una descrizione chiara ponendo in luce in  modo immediato la tipicità della condotta mirata, ma non causale e l’effetto lesivo – anche non voluto – generato sul destinatario.

Raggiunge l’intento di far comprendere nell’immediatezza il carattere concreto, avviluppante e costringente della condotta. Questa, come già in precedenza affiorato in punto di analisi di condotte mobbizzanti,  si sviluppa -in specie- nel mondo del lavoro ed in questo ambito ha avuto la sua genesi. Si è potuto dimostrare grazie agli studi medico legali come anche una singola condotta costringente è lesiva, anche sporadica[1](in Cass. Civ.sez. lav., 19/02/18, n.3977) e seppur non ripetuta nel tempo è fattore generatore di lesioni psicosomatiche durature.

Sempre secondo H. Ege, nell’area delle condotte vessatorie, la condotta di straining emerge in modo diretto in essa è percettibile un intento discriminatorio dell’autore della condotta. E per differenziare quest’ultima condotta dalle altre, indica almeno sette parametri dai quali solo una segna la linea di demarcazione dalle altre condotte discriminanti e vessatorie che consentono di ritenere configurabile la condotta di straining  ( in Oltre il Mobbing. Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, pag. 93)

1.ambiente lavorativo (il comportamento ostile deve verificarsi sul posto di lavoro);

2.frequenza (conseguenze costanti);

  1. durata (da almeno sei mesi);
  2. azioni (attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, demansionamento o privazione di qualunque mansione, attacchi alla reputazione, violenza o minacce di violenza, fisica o sessuale);

5.dislivello di posizione (vittima in posizione di inferiorità);

  1. andamento per fasi successive (fase 1: azione ostile; fase 2: conseguenza lavorativa percepita come permanente; fase 3: conseguenze psicofisiche; fase 4: uscita dal lavoro), con raggiungimento quantomeno della seconda;
  2. intento persecutorio (scopo politico ed obiettivo discriminatorio).

Condotta di mobbing

Nel nostro ordinamento l’analisi e il contrasto sono sì frutto di questi studi medici iniziati negli anni 80, ma siccome essi sviluppano nel successivo decennio  la prima condotta attenzionata e contrastata dalla giurisprudenza laburista dai tratti lesionistica è quella denominata poi come mobbing (cd. bullismo sul posto del lavoro).

Una significativa impressione ci perviene dalla descrizione del fenomeno come simil ad un attacco di spilli appuntati provenienti da una parte e lanciati verso una parte. Mentre l’approdo ad una comprensibile definizione della fattispecie di mobbing da parte della giurisprudenziale (Cass. Civ., Sez. lavoro, 6.03. 2006, n. 4774) si attesta in un tal senso “Si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato”.

Come questa anche lo straining, nonostante il sollecito della psicologia, anche essa rimane in descritta da una norma, e con la prima è frutto di una creazione giurisprudenziale la cui fonte è appunto medico legale.

Sebbene prive entrambe di una sistemazione codicistica, il loro ambito è trattato e sviluppato adeguatamente in tale momento storico in varie leggi antidiscriminatorie la cui fonte comunitaria è indiscussa.

E’ nel medesimo periodo in cui si dà attenzione al fenomeno personalistico distorsivo che si viene a creare un perimetro normativo all’interno del quale inserire la tutela di questa fattispecie di condotta criminosa sia essa mobbing sia straining. Si sono entrambe collocate nell’alveo dell’articolo 2087 C.C., e siccome entrambe risultano altresì in contrasto con il D.lgs. 81/08 e s.m.i nel quale sono delineati gli obblighi del datore di lavoro ai fini della tutela dei lavoratori; nei casi più ripetuti o non denunciati la ricaduta è nei risvolti penalistici della condotta. Nella specie (v.Cass. Sez. V penale n. 12827/22) le condotte possono integrare il delitto di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., quando l’accertata condotta vessatoria tenuta dal datore di lavoro nei confronti di un dipendente sia consistita in plurimi atteggiamenti ostili e preordinati alla mortificazione e all’isolamento dello stesso all’interno dell’ambiente di lavoro, generando “un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, così realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612 bis c.p.”; eventi che possono consistere in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, in un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto oppure di persona legata al medesimo da relazione affettiva o, infine, nella costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita, che racchiudono e si inseriscono nella tutela risarcitoria per danno biologico morale ed esistenziale.

La matrice dei due fenomeni è comune, centrano la loro dannosità nell’efficacia annichilente e distruttiva generata da una condotta passiva o attiva vessatoria e mortificante che suscita o potrebbe suscitare come evento un fenomeno psicologico stressogeno fino al punto di indurre al suicidio.

L’interesse a descrivere lo straining, per come si può intendere, era pregnante anticipandosi in concreto il momento di emersione dello stato di pericolo e preannunciando i danni non essendo collegata la perfezione della punibilità alla ripetitività della condotta ( Trib. Venezia, sez. lav., 31/07/17, n. 480 ).Importante è l’impatto sul e nel mondo dei lavoratori ai quali lo studio del fenomeno è destinato. E importante deve rimanere giacchè nel quadro giurisprudenziale alcune condotte, pur nella loro potenza dannosa, non avevano una collocazione autonoma e siccome non ripetitive venivano relegate a condotte episodiche non dannose e come tale inefficaci ad essere fonte di risarcimento.

Il fenomeno attenzionato modifica la visione, allarga la tutela e la snellisce e ciò non già dal punto di vista probatorio, ma la anticipa anche dal punto di vista terapeutico prevenendone gli effetti esiziali.

Non per nulla la giurisprudenza difronte alle domande risarcitorie fa ricorso, nel rispetto della corretta distribuzione dell’onere della prova, alle presunzioni  (Per l’utilizzo delle presunzioni rispetto a quello richiesto con la domanda giudiziale cfr. Cass. Ci. sez. lav., 19/02/16, n.3291) attraverso cui rende agevole il ricorso alla tutela e rapidi i rimedi di prevenzione dell’effetto lesivo evitando la cronicizzazione degli effetti.

Cionondimeno si accusano iniziali difficoltà ad accogliere i richiami dei lavoratori quando questi (spesso) non erano corredati da condotte vessatorie ripetute nel tempo la cui dimostrazione richiedeva accurate indagini medico legali.

Era il regime probatorio ad essere complesso siccome non è possibile sindacare ogni scelta organizzativa datoriale: impossibile anche quando le scelte hanno rilievo sugli aspetti psicologici del lavoratore, anche laddove la scelta organizzativa avrebbe o si dimostrai abbia determinato modifiche nel regime delle mansioni svolte, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo (v. Trib. Trieste sez. lav., 21/12/2009 n.411)

Onere della Prova

In tema di onere della prova il giudizio è regolamentato dalle decadenze del giudizio davanti al Tribunale Ordinario sezione lavoro.

Il regime probatorio è, dunque, intriso di richieste probatoria non moto duttili.

Dalle prove regione, quelle orali le testimoniali, abbastanza difficili da acquisire affidate nella loro assunzione alla irrinunciabile competenza tecnica e alla sensibilità del giudice, dovendo farsi ricorso ai colleghi di lavoro o anche gli operatori che hanno assistito ad eventi e che di questi possano render un narrato credibile. La prova orale serve a fornire la prova delle condotte accusate e a fare la differenza è dunque la possibilità di ascoltare i testimoni ovvero, assai sporadica la possibilità di allegare e produrre compendi documentale dai quali, lo sprovveduto agente  fa emergere la sua condotta annichilente; dai quali deve emergere la condotta dequalificante, quella anche incolpevolmente demasionistica distruttiva o lesiva che spesso radica le sue cause in aspetti irrisolti spiccatamente personalistici del soggetto agente di un soggetto nei confronti di un collega anche perché il discusso fenomeno non è in monopolio dei rapporti gerarchici ma è spesso visibile e attuato, come tale allargato, all’itera area lavorativa per cui è immediatamente comprensibile come la finalità sia tendere allo svuotamento professionale e sminuizione personalistica del soggetto passivo.

Il perimetro normativo non può che essere inquadrato nelle condotte vessatorie e la tutela nell’art. 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro) che all’imprenditore tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie  a  tutelare  l’integrità  fisica e  la personalità morale dei prestatori di lavoro. L’aerea, però, è più vasta giacchè lo studio ha evidenziato come anche l’isolamento professionale non escluda la figura di straining e ciò perché si può presumere essere un programmato intento vessatorio. La norma è precettiva giacchè impone al datore di astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative “stressogene” (cd. “straining”), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di “mobbing”, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno (v.Cass. Civ sez. lav., 05/11/12, n.18927 non si rinvengono precedenti -fonte juris data 2023).

La norma citata è, come afferma datata giurisprudenza, di chiusura all’interno del sistema antinfortunistico ed è suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro (v. Cass. Civ. Sez. lav., 19/02/16, n.3291); è dunque la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 4/11/2016, n. 3291 e la recente Cass. 19.02.18, n. 3977), dopo anni dalla prima qualificazione, perseguendo l’uniforme indirizzo per il quale lo straining altro non è se non una forma attenuata di mobbing inserisce la pretesa risarcitoria sull’art. 2087 cod. civ., norma duttile alla quale una interpretazione costituzionalmente orientata la colloca come forma di tutela di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati ai sensi degli artt. 32, 41 e 2 Cost.

Il lavoratore nel caso in cui patisca la condotta lesiva vessatoria ha come rimedio quello di ricorrere al tribunale ordinario in funzione di giudice di lavoro competente (lavoro privato o privatizzato)  territorialmente nella sede in presta la sua attività lavorativa e dove in genere si realizza il danno, anche se la condotta del soggetto agente proviene da una altra sede sita in un territorio giuridicamente diverso da quello in cui si genera il danno. Al tribunale ammnistrativo per il pubblico dipendente.

Conclusioni

In conclusione, anche una sola condotta genera un danno è dunque esclusa la necessaria ripetitività nel tempo per essere soggetto passivo. Una sola anche unica condotta se ha la qualità stressogena e una immediata, esiziale ed elevata incidenza lesiva sul bene tutelato unitamente ad un elevato grado di colpa generato (per lo più) dal potere gerarchico elevato di cui gode l’autore può essere straining.

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