La Corte di Cassazione, con una sentenza pubblicata il 2 dicembre 2024, ha ridefinito alcuni quesiti in materia di responsabilità condominiale, approfondendo i principi che regolano la manutenzione del lastrico solare e il risarcimento per danni materiali e patrimoniali.
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Il fatto
La questione giuridica nasce a seguito della denuncia di una proprietaria di un appartamento situato all’ultimo piano di un condominio, che lamentava le infiltrazioni provenienti dalla terrazza sovrastante. Quest’ultima, oltre a essere di proprietà esclusiva, fungeva da lastrico solare per l’intero edificio. La proprietaria aveva citato in giudizio il condominio e il titolare della terrazza, richiedendo sia la riparazione delle cause delle infiltrazioni sia il risarcimento per i danni materiali subiti e per l’inutilizzabilità dell’immobile, diventato inabitabile.
Le decisioni di merito
Il Tribunale, in primo grado, aveva parzialmente accolto la domanda, disponendo un risarcimento di €12.400, ma rigettando altre richieste, come quella relativa al danno da mancato utilizzo dell’immobile. In appello, invece, la Corte territoriale aveva riformato la decisione, affermando che il regolamento condominiale attribuiva al proprietario della terrazza l’intera responsabilità della manutenzione, escludendo qualsiasi coinvolgimento del condominio.
Funzione del lastrico solare e presunzione di condominialità
Uno dei nodi centrali della sentenza della II Sez. Civile riguarda la natura giuridica del lastrico solare. Secondo l’art. 1117 c.c., il lastrico solare è considerato una parte comune dell’edificio, salvo che un titolo specifico non ne disponga diversamente. La Corte d’Appello aveva ritenuto che il regolamento condominiale potesse rappresentare un titolo sufficiente per attribuire al proprietario della terrazza tutte le spese di manutenzione e le responsabilità derivanti dai danni. La Suprema Corte, invece, ha rigettato questa interpretazione, chiarendo che un regolamento interno, pur vincolante tra i condomini, non può modificare il regime di condominialità previsto dalla legge senza un titolo chiaro ed esplicito. Il titolo, infatti, deve essere allegato al primo atto di acquisto trascritto e accettato formalmente dai condomini. In assenza di tale requisito, il lastrico solare resta una parte comune, con tutte le implicazioni che ne derivano in termini di obblighi di manutenzione e responsabilità.
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Obbligo di eliminare le cause del danno
Un altro elemento emergente dalla sentenza riguarda la persistenza delle infiltrazioni: la proprietaria dell’appartamento aveva sostenuto che, nonostante gli interventi eseguiti dai convenuti, il problema non fosse stato risolto e le infiltrazioni continuassero a causare danni. La Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile la richiesta di risarcimento relativa a questi danni successivi, affermando che si trattava di una domanda nuova proposta per la prima volta in appello. La Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso sul punto, stabilendo che la richiesta era una naturale prosecuzione di quella avanzata in primo grado, in quanto collegata agli effetti del mancato intervento risolutivo. L’assunto sottolinea il principio secondo cui chi è responsabile di un danno deve non solo intervenire per eliminarne le cause, ma anche garantire che tali interventi siano efficaci e per l’effetto, l’inefficacia dei lavori rappresenta una fonte autonoma di responsabilità, che si somma a quella originaria per il danno iniziale.
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Manuale di sopravvivenza in condominio
La cronaca e le cause pendenti in tribunale ci raccontano che la vita in condominio è spesso fonte di discussioni. L’abuso degli spazi comuni, la suddivisione delle spese, la revoca dell’amministratore, che non risponde mai al telefono, ma anche la convivenza con l’odore di soffritto e il cane del vicino, le spese personali o condominiali?
Uno sguardo all’indice ci consente di riconoscere i casi in cui ognuno di noi, almeno una volta nella propria esperienza, si è imbattuto.
Questa pratica guida, che nasce dalla lunga esperienza in trincea nel mondo del condominio dell’Autore, non solo come avvocato, ma anche come giornalista, è scritta in modo chiaro e comprensibile a tutti, professionisti e non, amministratori e condòmini, per fornire la chiave per risolvere i problemi più ricorrenti.
Luca Santarelli
Avvocato cassazionista, giornalista pubblicista, politico e appassionato d’arte. Da sempre cultore del diritto condominiale che ritiene materia da studiare non solo sotto il punto di vista giuridico. Già autore di monografie, dal 2001 firma rubriche nel quotidiano la Nazione del gruppo QN e dal 2022 tiene rubriche radiofoniche per Radio Toscana. Relatore a numerosi convegni nel territorio nazionale, isole comprese.
Il danno da mancato godimento dell’immobile
La sentenza argomenta anche il riconoscimento del danno da mancato utilizzo dell’immobile. La Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta di risarcimento, sostenendo che la proprietaria non avesse dimostrato la perdita di concrete opportunità economiche, come richieste di locazione o vendita compromesse dalle condizioni dell’appartamento. La Corte di Cassazione ha ribaltato questo consolidamento, richiamando una sentenza recente delle Sezioni Unite (n. 33645/2022), che introduce il concetto di danno presunto o normale. Tale principio, infatti, consente di quantificare il danno da mancato godimento di un immobile anche in assenza di prove specifiche, basandosi sul valore locativo del bene e sulla perdita del diritto di godimento, sia personale che economico. Secondo la Suprema Corte, il danno patrimoniale derivante dall’inutilizzabilità di un immobile può essere dedotto dalla normale capacità reddituale del bene, senza necessità di dimostrare singoli episodi di mancato utilizzo.
Il precedente giurisprudenziale delle Sezioni Unite
Il danno presunto, o “danno in re ipsa”, nasce con riferimento a situazioni di occupazione sine titulo, in cui un soggetto viene privato della disponibilità di un bene di sua proprietà. In questi casi, la giurisprudenza ha tradizionalmente riconosciuto un danno non tanto per la mancata percezione di un reddito specifico, ma per la perdita stessa del diritto di godimento del bene, considerato come una lesione immediata del diritto di proprietà. Le Sezioni Unite, con la pronuncia del 2022, hanno ridefinito il concetto di “danno in re ipsa”, sostituendolo con quello di “danno presunto” o “danno normale”. Nel caso analizzato, la Corte di Cassazione ha applicato questi principi a una situazione diversa, quella di un immobile divenuto inabitabile a causa di infiltrazioni. Secondo i ricorrenti, il danno derivava non solo dai costi materiali necessari per il ripristino dell’immobile, ma anche dalla perdita della possibilità di utilizzarlo, sia per uso personale che per scopi economici, come la locazione. Richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, i giudici hanno affermato che il danno da perdita del godimento può essere dedotto anche in via presuntiva. Infatti, la mancata disponibilità dell’immobile è un fatto sufficiente a configurare un danno, poiché il proprietario è privato della possibilità di esercitare pienamente il proprio diritto di proprietà.
Irritualità della procura alle liti
La sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato anche alcune questioni procedurali: tra queste, spicca l’irritualità della procura alle liti rilasciata dal condominio, che non rispettava le modalità previste dall’art. 83 c.p.c. per i giudizi instaurati prima delle modifiche introdotte nel 2009 – errore formale che ha contribuito a invalidare alcune delle difese del condominio. Un’altra questione procedurale riguarda la presunta introduzione di nuove domande in appello. La Corte di Cassazione ha stabilito che le richieste avanzate dalla proprietaria non rappresentavano domande nuove, ma un’estensione logica delle questioni già sollevate in primo grado.
Conclusioni
Il richiamo delle Sezioni Unite sul concetto di danno presunto evidenzia un’evoluzione significativa nella tutela del diritto di proprietà, spostando il focus dal danno materiale quantificabile al pregiudizio legato alla perdita del pieno godimento di un bene. L’orientamento avallato dai giudici della II sez. civ. amplia la protezione per i proprietari, consentendo che il danno sia riconosciuto anche in assenza di prove documentali specifiche, utilizzando presunzioni fondate su circostanze di fatto evidenti, come l’inabitabilità di un immobile: il valore locativo del bene diventa così un parametro chiave per la quantificazione del danno.