La Corte di Cassazione, con un’ordinanza della Prima Sezione Civile, ha approfondito i criteri di attribuzione e quantificazione dell’assegno divorzile. La decisione, che annulla la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, richiama i giudici di merito all’applicazione rigorosa dei principi dettati dall’art. 5, co. 6, della l. n. 898/1970 e dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenza n. 18287/2018).
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Corte di Cassazione-Sez. I Civ.-Ord. n. 30537 del 27-11-2024
La questione giuridica
La vicenda giudiziaria ha origine dalla domanda di un ex coniuge del riconoscimento di un assegno divorzile. La Corte d’Appello di Venezia, confermando la decisione del Tribunale, aveva negato il contributo economico, ritenendo che non vi fossero squilibri patrimoniali incisivi tra le parti. La Cassazione ha tuttavia accolto il ricorso presentato da quest’ultima, sottolineando carenze istruttorie e motivazionali nelle sentenze di merito e imponendo un nuovo esame alla luce dei principi giuridici richiamati.
La normativa di riferimento e il ruolo dell’assegno divorzile
La Corte di Cassazione ha più volte sottolineato come l’assegno divorzile debba garantire un riequilibrio delle disparità economiche tra i coniugi, tenendo conto del contributo fornito alla vita familiare. Questo principio, già chiarito dalle Sezioni Unite nel 2018 e dagli arresti giurisprudenziali intervenuti successivamente, supera l’idea che l’assegno debba essere parametrato al tenore di vita matrimoniale, concentrandosi invece sugli effetti delle dinamiche patrimoniali durante il matrimonio.
Nel caso specifico, la moglie aveva sostenuto di aver contribuito significativamente alla formazione del patrimonio dell’ex marito, collaborando anche nella sua attività professionale, ma si era vista respingere la richiesta di assegno divorzile sia in primo grado che in appello. I giudici di merito avevano giudicato sufficienti i mezzi economici della donna per garantirle l’autosufficienza e avevano rigettato le sue richieste istruttorie.
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I punti critici della decisione d’appello
La Corte di Cassazione ha riscontrato diverse criticità nella sentenza della Corte d’Appello, a partire dall’errata applicazione dell’art. 5, co. 6 della l. n. 898/1970. La valutazione dei giudici si era limitata a considerare le condizioni economiche attuali delle parti, senza esaminare il contributo fornito dalla moglie durante il matrimonio e il suo impatto sul patrimonio familiare.
Un altro elemento censurato riguarda la mancata ammissione di prove orali, richieste dall’ex coniuge per avvalorare il suo contributo alla formazione del patrimonio del marito. La Corte d’Appello aveva richiamato la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative tra coniugi, ma la Corte di Cassazione ha ribadito che tale presunzione può essere superata con prove contrarie. Questo principio, consolidato in giurisprudenza (Corte di Cass., Sez. I Civ, sent. n. 20904/2020), impone al giudice di considerare se le prestazioni lavorative siano state rese per affectionis causae o nell’ambito di un rapporto che generi diritti patrimoniali.
La decisione d’appello è stata giudicata carente anche sul piano motivazionale. L’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. impone che la sentenza esponga chiaramente il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione. Nel caso in esame, la Corte d’Appello si era limitata a dichiarare esaustiva la consulenza tecnica d’ufficio, senza rispondere alle osservazioni avanzate dalla ricorrente.
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Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
La gestione delle prove documentali
Un punto focale dell’ordinanza riguarda la visura camerale prodotta dalla ricorrente per dimostrare la partecipazione dell’ex marito in una società estera. Questo documento, presentato in primo grado durante un procedimento cautelare, era stato dichiarato tardivo dalla Corte d’Appello. I giudici della I Sez. Civ. hanno invece osservato che, nel rito camerale, è possibile produrre nuovi documenti purché sia garantito il contraddittorio, come previsto dall’art. 4, co. 15, della legge n. 898/1970.
La Corte di Cassazione ha inoltre rilevato che la decisione della Corte d’Appello di respingere la richiesta di integrazione della CTU era priva di una motivazione adeguata. Le osservazioni tecniche sollevate dalla moglie riguardavano elementi rilevanti per la valutazione delle condizioni economiche delle parti, come la partecipazione societaria dell’ex coniuge e il potenziale valore patrimoniale di tale investimento.
Il ruolo della motivazione
Uno degli aspetti centrali dell’ordinanza riguarda il valore della motivazione nelle decisioni giudiziarie. La Corte di Cassazione ha richiamato l’art. 111 Cost., che impone la chiarezza e trasparenza delle motivazioni come garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio nel processo.
Conclusioni
In accoglimento del ricorso, la Corte di Cassazione ha richiesto ai giudici di merito di applicare i criteri previsti dall’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970, tenendo conto del contributo fornito dalla moglie durante il matrimonio e valutando adeguatamente le prove già prodotte.