La Suprema Corte di Cassazione, V sezione civile, con ordinanza n.23570/2024, ha stabilito che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, di cui all’art. 1, comma 1, lett. m) D. lgs. n.74/2000 (come modificato dall’art. 21-bis D.lgs. n. 87/2024), può essere depositata anche nel giudizio per Cassazione contro la sentenza tributaria d’appello fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. Pertanto, ne deriva che, se i fatti non sussistono secondo il giudizio penale, producendo la sentenza medesima efficacia nell’ambito del giudizio tributario, l’esistenza dei fatti posti a fondamento della pretesa fiscale dovranno ritenersi inesistenti anche in sede tributaria.
Corte di Cassazione- Sez. V civ- ord. n. 23570 del 03-09.2024
La vicenda
A seguito di indagine svoltasi tra gli anni 2012 e 2013 effettuata su delega della Procura della Repubblica, la GdF denunciava Tizio, titolare della ditta individuale Alfa, per il reato di cui all’art. 8 D.lgs. n. 74/2000, per aver emesso un certo numero di fatture relative ad operazioni inesistenti nei confronti di tre operatori commerciali. Nel dettaglio, emergeva che Tizio avesse emesso n.31 fatture nei confronti di Caio (ricorrente in atti).
Dalle risultanze delle indagini scaturiva un PVC che dava origine, a carico di plurimi soggetti tra cui il contribuente Caio, un procedimento penale presso il Tribunale competente.
Ancora, sulla base del citato PVC, l’Agenzia delle Entrate seguitava a recuperare le imposte evase (IRPEF – IVA) emettendo avvisi di accertamento nei confronti di Caio, nei quali sosteneva che il contribuente, assieme a Tizio, avesse simulato la fornitura di servizi e mano d’opera per abbattere la base imponibile dei redditi dichiarati e detrarre (indebitamente) l’IVA dovuta all’Erario.
Il destinatario di tali avvisi proponeva ricorso in relazione agli anni di imposta 2006, 2007, 2008 e 2009.
La Corte di Giustizia tributario di primo grado accoglieva il ricorso.
Avverso tale sentenza, tempestivamente, proponeva appello l’Ufficio insistendo sulla legittimità dell’avviso e la bontà del proprio operato.
La Corte di Giustizia di secondo grado, riformando integralmente la pronuncia di primo grado, accoglieva il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Nel mentre, il procedimento penale si definiva con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste ex art. 530, comma 2, c.p.p.
Il contribuente, quindi, depositando memoria difensiva in vista dell’adunanza camerale ed allegando la sentenza di assoluzione del giudizio penale munita di attestazione di passaggio in giudicato, adiva alla Corte di Cassazione.
Motivi di ricorso per Cassazione
Il ricorrente proponeva ricorso per la cassazione della sentenza tributaria di appello affidando a due motivi la specificazione delle motivazioni eccepite.
Cosi, procedendo in ordine:
- con il primo motivo, il ricorrente contestava la violazione e/o falsa applicazione degli 115 c.p.c. nonché 2697,2729, 2728 e 2727 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., in quanto la sentenza di prime cure avrebbe violato una serie di principi e norme applicabili al processo tributario e mutuati nel processo civile, attraverso l’art. 1, comma 2, D.lgs. n. 546/1992;
- con il secondo motivo, il ricorrente eccepiva la violazione degli 36 e 61 D.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 18 disp. att. c.p.c. (oltre che dell’art. 111, comma 6, Cost.), in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la sentenza impugnata, senza adeguata motivazione, raggiunto una conclusione opposta rispetto a quella del giudice di primo grado senza adeguatamente valutare le prove contrarie offerte dal contribuente.
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Conclusioni della Corte
I motivi di impugnazione eccepiti dal ricorrente, giusto assorbimento del secondo motivo, sono stati accolti dalla Corte.
Nel dettaglio, partendo dall’ inquadramento del D.lgs. n. 87/2024, che ha introdotto nel corpo del D.lgs. n. 74/2000 l’art. 21-bis rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, il Collegio ribadisce che la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e in relazione ai medesimi fatti, ha efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.
Prosegue la Cassazione stabilendo, inoltre, che tale “tale ius supervenies si applica anche ai casi (come quello per cui è causa) in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato D.lgs. n.87/2024 purché, alla data di entrata in vigore del decreto in oggetto, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria di appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti anche penalmente, dai quali egli risulti essere stato formalmente assolto”.
Conclude affermando che, “spiegando la sentenza di assoluzione efficacia di giudicato nell’ambito del presente giudizio con riferimento all’esistenza dei fatti posti a base delle riprese fiscali, deve ritenersi, anche con riferimento al giudizio tributario, che tali fatti non sussistono, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere cassata”.
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