Nel presente documento viene approfondita la tematica relativa agli effetti della ratifica della gestione di affari operata dall’interessato, tra i quali, in prospettiva de iure condendo, quello riguardante il riconoscimento, in capo al gestore, di un diritto di partecipazione agli utili dell’affare da egli condotto. Inoltre, viene affrontato il problema relativo al regime di opponibilità delle eccezioni, sia di quelle che il gestore può opporre al terzo contraente, sia di quelle che quest’ultimo può opporre all’interessato.
La ratifica della gestione di affari: riconoscimento, al gestore, in prospettiva de iure condendo, di un diritto di partecipazione agli utili derivanti dall’affare
Gli artt. 2028 – 2032 c.c. disciplinano, nell’ambito delle obbligazioni, la gestione di affari, intendendosi con questa l’attività che un soggetto (gestore) pone in essere nell’interesse di un altro (appunto, “interessato”), pur non essendo a ciò obbligato.
L’elemento principale dell’attività sopra citata risiede nel fatto che il gestore deve sapere trattarsi di atti finalizzati all’ampliamento della sfera giuridica non sua, bensì dell’interessato. L’art. 2028 c.c. richiede, infatti, che il gestore assuma “scientemente” la gestione dell’affare altrui. Pertanto, se ne dovrebbe dedurre che qualsiasi attività intrapresa nella convinzione che questa vada a beneficiare la “propria” sfera giuridica, e non quella di un terzo, esuli dalla fattispecie della gestione di affari, in quanto in tal caso verrebbe a mancare il presupposto essenziale di quest’ultima, e cioè, per l’appunto, la consapevolezza della “altruità” dell’affare.
Ai sensi dell’art. 1324 c.c., “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”.
La gestione di affari nasce indubbiamente come “atto unilaterale”, e non come “contratto”, dal momento che alla base c’è soltanto l’iniziativa autonoma del gestore, il quale decide, nell’assenza di qualsivoglia obbligo negoziale nei riguardi dell’interessato, di intraprendere un’attività a vantaggio di quest’ultimo.
Tuttavia, l’art. 2030 c.c. stabilisce che “il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato”. Egli, pertanto, nonostante l’iniziale assenza di un vincolo contrattuale nei confronti dell’interessato, assume comunque, per il solo fatto di aver iniziato la gestione, la veste di “obbligato contrattuale”, e, segnatamente, la qualità di “mandatario”.
Di conseguenza, per effetto dell’art. 1324 c.c., alla gestione di affari risultano applicabili le norme in materia di contratti.
Ciò posto, l’art. 1325 c.c. prevede, tra i requisiti del contratto, la “causa”, intesa quale funzione economico – sociale del medesimo, e l’art. 1425 c.c. qualifica come nullo il contratto in cui manchi uno dei requisiti suddetti, tra i quali, appunto, la “causa”.
Abbiamo detto che, nel caso della gestione di affari, la causa risiede nell’arricchire un altro soggetto.
Di conseguenza, l’attività gestoria posta in essere nella errata convinzione che la medesima vada a beneficiare sé stessi (ossia il gestore), anziché un altro soggetto (ossia l’interessato), dovrebbe qualificarsi come “nulla” ex art. 1425 c.c.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 2032 c.c., “la ratifica dell’interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato, anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio”. Anche ove risulti accertato che il gestore, al momento in cui ha iniziato l’attività, credeva di gestire un affare “proprio”, la successiva ratifica da parte dell’interessato conferisce comunque all’attività gestoria la dignità di contratto valido a tutti gli effetti, contratto che assume la veste del mandato.
Ci si chiede se la nullità iniziale del contratto, data dal fatto che l’attività è stata posta in essere dal gestore credendo trattarsi di un affare “proprio”, possa essere considerarsi come convalidata dalla successiva ratifica da parte dell’interessato. L’art. 1429 c.c. prevede che “il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente”. In tal caso, la “legge” di cui parla l’art. 1429 c.c. è la norma contenuta nell’art. 2032 c.c., il quale prevede che la nullità iniziale sopra citata possa essere sanata, ossia convalidata, dalla ratifica apposta dall’interessato. Di conseguenza, appare pienamente lecito che il gestore rimanga soggetto, a seguito della ratifica, alle stesse obbligazioni del mandatario.
Tuttavia, l’aver creduto di gestire un affare “proprio”, quando poi si è scoperto che tale affare era di “altri” (l’interessato), potrebbe anche qualificare la fattispecie in termini di “errore”, consistito nel fatto che il gestore ha erroneamente considerato l’attività da egli intrapresa come finalizzata all’arricchimento della “propria” sfera giuridica, e non di quella di altri. L’errore, ai sensi dell’art. 1429 c.c., è causa di annullabilità del contratto, e quindi il gestore dovrebbe considerarsi legittimato a domandare l’annullamento di tutti gli atti compiuti nell’esercizio dell’attività gestoria, laddove peraltro la decisione di convalidare il vizio di annullabilità del negozio compete solo ed esclusivamente alla parte legittimata a far valere il vizio (ossia, in tal caso, al gestore), e non anche ad un terzo (che in tal caso sarebbe l’interessato).
Quindi, va bene che si richiami l’art. 2032 c.c., la quale è norma che disciplina specificamente l’errore nella gestione di affari, ma non appare fuori luogo far presente che, in base alla disciplina generale del contratto, l’errore stesso può essere convalidato solo ad opera della parte che in esso è incappata, e non anche ad opera del soggetto (controparte o terzo) che da tale errore abbia ricevuto dei benefici. In questo caso, richiamare la fattispecie del negozio nullo, il quale verrebbe poi ad essere legittimamente convalidato mediante la ratifica dell’interessato (combinato disposto degli artt. 1429 e 2032 c.c.), sicuramente non è sbagliato, ma occorre tener presente che si tratta di un caso in cui la ragione della nullità – ossia la mancanza di “causa” – deriva comunque da un “errore” di interpretazione compiuto dal gestore, e l’errore è disciplinato specificamente solo in relazione a quello che è l’annullamento del contratto.
Ci si deve tuttavia chiedere: a quali risultati porterebbe l’annullamento dell’attività compiuta dal gestore? Quest’ultimo, se domandasse l’annullamento, vedrebbe travolti gli effetti degli atti da egli compiuti, e ciò lo esporrebbe ad un’azione risarcitoria da parte dei terzi con il quale egli, nell’esercizio dell’attività gestoria, aveva sottoscritto i contratti, ritenendo (erroneamente) che tali contratti andassero a beneficio suo (e non dell’interessato). Di conseguenza, il gestore, più che l’annullamento, dovrebbe essere interessato a chiedere che i benefici degli atti da lui compiuti vengano imputati alla “propria” sfera giuridica, e non a quella dell’interessato, ragion per cui egli, anziché all’annullamento, dovrebbe mirare alla convalida degli stessi.
Peraltro, l’unico strumento con cui il gestore (Tizio) potrebbe legittimamente avanzare una pretesa del genere, sarebbe quello di far valere una norma – se esiste – in base alla quale l’aver intrapreso la gestione dell’affare al posto di colui (Caio) che avrebbe dovuto considerarsi come unico soggetto interessato a ciò, sia tale da attribuire al gestore una sorta di diritto di prelazione, vista l’inerzia dimostrata da Caio nella cura e nella tutela di un interesse che era esclusivamente suo, inerzia appunto resa manifesta dal fatto che, se non fosse stato per il gestore Tizio, Caio probabilmente quell’attività non l’avrebbe mai neanche cominciata.
Il problema, però, è che, in base alla disciplina civilistica, l’inerzia determina, a vantaggio di chi si è attivato, l’acquisizione dei diritti che sarebbero stati propri del soggetto inerte, soltanto ove si sia protratta per un certo tempo (vedi usucapione), e non anche nel caso in cui la stessa si sia manifestata per un arco di tempo limitato (nella gestione di affari, l’interessato potrebbe essere stato inerte per un periodo breve). La disciplina della gestione di affari non prevede un tempo minimo oltre il quale l’inerzia di Caio (e cioè dell’ “interessato”) debba essersi protratta, come invece accade per l’usucapione.
Tuttavia occorre anche rilevare quanto segue: nell’usucapione, l’inerzia viene dimostrata da un soggetto che è già titolare del diritto il cui acquisto si intende usucapire, ossia chi chiede l’accertamento dell’usucapione domanda il riconoscimento di un diritto che già appartiene al titolare; invece, nella gestione di affari, l’inerzia viene dimostrata da un soggetto che non è mai stato titolare del diritto che il gestore intende acquisire, in quanto la gestione è anzi finalizzata proprio ad ottenere tale diritto per la prima volta. Quindi, mentre nell’usucapione l’inerzia consiste nel non aver esercitato un diritto che già si aveva, nella gestione di affari essa consiste nel non aver compiuto atti che avrebbero potuto garantire l’acquisizione di un diritto che prima non si aveva, ragion per cui, in questo secondo caso, il gestore potrebbe considerarsi ben legittimato a far valere tale inerzia in modo da vedersi riconosciuta, se non proprio la titolarità completa dell’affare concluso con i terzi, quanto meno una “cointeressenza” in quest’ultimo.
In tale ottica, il gestore, a seguito della ratifica apposta dall’interessato ex art. 2032 c.c., potrebbe vantare un diritto a vedersi riconosciuto da quest’ultimo una sorta di “diritto di partecipazione” ai vantaggi che l’interessato stesso ha ottenuto grazie all’attività gestoria, vantaggi che naturalmente possono anche protrarsi nel tempo. Di conseguenza, la disciplina della gestione di affari potrebbe essere modificata nel senso di prevedere che il gestore abbia diritto, oltre che al rimborso delle spese ex art. 2031 c.c., anche ai vantaggi di cui sopra.
Le eccezioni opponibili dal gestore: richiami alla disciplina dell’espromissione e del contratto a favore di terzi
In merito alla gestione di affari, nessuna disciplina viene dettata per ciò che riguarda il regime della opponibilità delle eccezioni, ossia: il gestore può opporre al terzo contraente le medesime eccezioni che anche l’interessato, ossia il titolare dell’affare, avrebbe potuto opporre?
Un riferimento utile potrebbe essere costituito dalla disciplina dell’espromissione, perché quest’ultima, ai sensi dell’art. 1272 c.c., si caratterizza per il fatto che l’espromittente assume su di sé il debito di un altro soggetto (espromesso) senza avere alcun obbligo verso quest’ultimo (“senza delegazione del debitore”), esattamente al pari del gestore, il quale intraprende l’esecuzione dell’affare senza essere obbligato verso l’interessato (art. 2028 c.c.). Ebbene, ai sensi dell’art. 1272 comma 3 c.c., l’espromittente può opporre al creditore le eccezioni che avrebbero potuto essere opposte dal debitore originario, se non sono personali a quest’ultimo e non derivano da fatti successivi all’espromissione. Si potrebbe, pertanto, ritenere che il gestore possa opporre al terzo, con gli stessi limiti previsti dall’art. 1272 c.c., le stesse eccezioni che avrebbero potuto essere opposte dall’interessato. Ciò anche in considerazione del fatto che, ex art. 2030 c.c., “il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato”. Il mandatario ha l’obbligo di tutelare le ragioni del mandante, e deve adempiere a tale obbligo eventualmente anche discostandosi dalle istruzioni ricevute dal mandante (art. 1711 c.c.), onde evitare che l’esecuzione del mandato possa rivelarsi nei confronti del mandante come fonte di danni, anziché di benefici: ebbene, il mandante potrebbe subire uno svantaggio nel caso in cui il terzo fosse legittimato a chiedergli di eseguire una prestazione quando è invece proprio il terzo stesso ad essere a sua volta debitore di qualcos’altro nei riguardi del mandante, debito costituito appunto dalle eccezioni opponibili da quest’ultimo. In quest’ottica, pertanto, il principio in base al quale il gestore può opporre al terzo contraente le medesime eccezioni che avrebbero potuto essere opposte dall’interessato, risponde all’esigenza di tutelare i diritti di quest’ultimo, il quale riveste la qualifica di “mandante”.
L’altra domanda è: il gestore può opporre al terzo contraente le eccezioni relative ai propri rapporti con l’interessato? Sembrerebbe di no, in quanto l’aver intrapreso l’esecuzione di un affare a beneficio dell’interessato, in maniera del tutto autonoma dall’esistenza di qualsivoglia obbligo nei riguardi di quest’ultimo, induce a ritenere che il gestore non possa opporre al terzo contraente le medesime eccezioni che egli avrebbe potuto opporre all’interessato stesso, poichè una simile opponibilità rischierebbe di vanificare dall’inizio quello che è il precipuo fine dell’attività gestoria, ossia l’arricchire la sfera giuridica dell’interessato.
La facoltà, per il soggetto che assume su di è la gestione di un affare altrui, di opporre al contraente le medesime eccezioni che egli avrebbe potuto opporre al beneficiario dell’affare, potrebbe risultare giustificata solo laddove tale gestione fosse il frutto non di un’iniziativa assunta spontaneamente, e quindi unilateralmente, assunta dal gestore, bensì di un atto di conferimento di un incarico (vedi delegazione di pagamento). Essa non appare giustificabile nel caso in cui l’assunzione del compito di gestire l’affare dipenda esclusivamente dalla volontà dell’assuntore.
Non a caso, ai sensi dell’art. 1272 comma 2 c.c., neanche l’espromittente può opporre al creditore le eccezioni che egli avrebbe potuto opporre al debitore originario (a meno che tra le parti si sia convenuto diversamente).
Rimanendo sempre sul tema dell’opponibilità delle eccezioni, ci si chiede se la gestione di affari possa essere inquadrata nell’ambito del contratto a favore di terzi, laddove lo “stipulante” sarebbe il gestore, il “promittente” sarebbe il terzo contraente, ed il “terzo beneficiario” sarebbe l’interessato. Un accostamento simile potrebbe non risultare inopportuno in quanto, nello schema di cui all’art. 1411 c.c., il terzo sembra essere un soggetto che è ignaro della stipula eseguita in suo favore, esattamente come l’interessato è ignaro del fatto che qualcun altro (ossia il gestore) sta compiendo un’attività in suo favore, tant’è che poi è prevista la successiva ratifica dell’operato del gestore.
Potrebbe accadere che poi l’interessato non ratifichi l’operato del gestore, con la conseguenza, prevista dall’art. 1411 comma 3 c.c., che la prestazione del terzo contraente rimarrebbe a beneficio esclusivo del gestore stesso (stipulante).
Applicando alla gestione di affari la disciplina del contratto a favore di terzo, ne deriverebbe l’operatività dell’art. 1413 c.c., a norma del quale “il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto”. Ciò comporterebbe che il contraente del gestore (ossia il “promittente”) non possa opporre all’interessato (e cioè, appunto, al “terzo”) le eccezioni fondate su altri rapporti tra sé stesso (ossia il contraente) ed il gestore, nel senso che il contraente, quand’anche vantasse nei confronti del gestore diritti nascenti da altri rapporti contrattuali, non potrebbe comunque opporre all’interessato le relative eccezioni.
In tal modo si uscirebbe dallo schema dell’espromissione e l’aspetto relativo all’opponibilità delle eccezioni verrebbe ad essere affrontato da una prospettiva diversa, ossia non più “quali eccezioni il gestore può opporre al contraente”, bensì “quali eccezioni il contraente può opporre all’interessato”. Ebbene, in base all’art. 1413 c.c., il contraente può opporre all’interessato soltanto le eccezioni fondate sul contratto in base al quale l’interessato stesso deriva il suo diritto, e cioè sul contratto che il gestore ha stipulato nell’interesse di quest’ultimo.
Probabilmente, al fine di garantire la piena operatività dell’istituto della gestione di affari, risulterebbe opportuno ritenere applicabili, in tema di opponibilità delle eccezioni, sia la disciplina dell’espromissione sia quella del contratto a favore di terzo.
Volume consigliato
Formulario commentato del Nuovo Processo civile 2024
Il testo, aggiornato alla giurisprudenza più recente, tra cui Cass. SS.UU. 3452/2024, che ha statuito la non obbligatorietà della mediazione per la domanda riconvenzionale, raccoglie oltre 200 formule, ciascuna corredata da norma di legge, commento, indicazione dei termini di legge o scadenze, delle preclusioni e delle massime giurisprudenziali.
Il Volume si configura come uno strumento completo e operativo di grande utilità per il Professionista che deve impostare un’efficace strategia difensiva nell’ambito del processo civile.
L’opera fornisce per ogni argomento procedurale lo schema della formula, disponibile anche online in formato editabile e stampabile.
È previsto l'aggiornamento online nei 12 mesi successivi alla pubblicazione.
Ultimo aggiornamento al Decreto PNRR-bis, D.L. 19/2024 convertito in L. 56/2024
Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.