Mancata registrazione contratto di locazione e conseguenze: quadro normativo e interpretazioni

in Giuricivile 2017, 5 (ISSN 2532-201X), Nota a Cass., sez. III civile, sentenza n. 10498 del 28/04/2017

Con la sentenza n. 10498 del 28 aprile 2017, la Cassazione si è interrogata circa la sorte del contratto di locazione non registrato, al fine di comprenderne le conseguenze sul piano civilistico in relazione alle sanzioni previste in sede tributario-fiscale.

Il pronunciamento affronta con rigore sistemico la complessa materia a fronte delle differenti disposizioni che, sotto vari punti di vista, regolamentano la questione.

Inoltre, offre anche lo spunto per una quadro attualizzato della Giurisprudenza di merito, di legittimità e costituzionale.

Infatti, a fronte dei vari interventi in materia fiscale circa l’obbligo di registrazione, l’interprete è stato più volte chiamato ad interrogarsi alla reale e completa portata sia dell’inadempimento, sia di un adempimento tardivo.

Nel caso all’esame della Suprema Corte, risulta che il locatore, dopo aver agito contro il locatario per far dichiarare l’illegittimità del recesso anticipato esercitato da quest’ultimo, ha, solo nel corso del processo, provveduto alla registrazione del contratto.

A prescindere dagli aspetti relativi al recesso che qui non interessano, giova osservare che i giudici di merito – tanto di primo che di secondo grado – avevano ritenuto che l’adempimento, sebbene tardivo rispetto ai termini indicati dalle norme fiscali, avesse integrato la condicio iuris di efficacia dello stesso, con effetti ex tunc ai sensi dell’art. 1360 c.c.

La normativa di riferimento

L’intervento della Corte di Cassazione si fa apprezzare per la sua completezza e chiarezza.

Il Supremo Collegio prende le mosse dalla corposa normativa di riferimento, come integrata e modificata nel corso del tempo.

In particolare, viene posta l’attenzione sulle seguenti disposizioni:

1. Artt. 2, lett. a) e b) e art. 3 lett. a) DPR 131/1986, e relative disposizioni della Tariffa: tali norme prescrivono la registrazione delle locazioni stipulate sia in forma scritta che in forma orale.

Quanto al termine, l’art. 17, comma 1 DPR cit. (come modificato dall’art. 68 L 342/2000), l’adempimento deve avvenire entro 30 giorni dalla data dell’atto o dalla sua esecuzione (se contratto orale).

La registrazione, ex art. 18 DPR cit., attesta l’esistenza e la data certa dell’atto.

2. Art. 17, comma 5 DPR 131/1986, che ammette la registrazione tardiva.

3. Art. 13 D. Lgs. 472/1997 in tema di c.d. ravvedimento operoso.

4. Art. 20 DPR 131/1986, di introduzione del principio di autonomia dell’interpretazione fiscale del contratto rispetto a quella civilistica del medesimo; principio ribadito anche nell’art. 10, comma 3 L 212/2000 (c.d. Statuto dei lavoratori).

5. Art. 13, comma 1 L 431/1998, con il quale viene prescritta la sanzione della nullità per ogni pattuizione determinante un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, cui consegue la proponibilità da parte del conduttore dell’azione di ripetizione delle somme pagate in surplus.
A seguito della novella di cui alla L 208/2015, si è previsto a carico del locatore l’obbligo di provvedere alla registrazione entro 30 giorni.

La Corte Costituzionale, con ord. 242/2004, ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione a tale disposizione poiché non era stata offerta dal rimettente una interpretazione adeguatrice del testo di legge, pur a fronte di plurime e antitetiche interpretazioni variamente offerte circa la natura e gli effetti della registrazione.

6. Art. 41ter, comma 2 DPR 600/1973, che, in tema di imposte sui redditi, introduce la presunzione (iuris tantum) secondo cui, in caso di omessa registrazione, il rapporto si presume esistente anche per i quattro periodi di imposto antecedenti l’accertamento del medesimo

7. Art. 1, comma 346 L 311/2004, che prevede letteralmente che “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.

Tale norma, anche per la sua immediata ed evidente rilevanza, è stata oggetto di ben tre pronunciamenti da parte della Corte Costituzionale.

  • Con ord. n. 420/2007, per la paventata condizione all’esercizio della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. ad adempimenti fiscali quali la registrazione, è stata rigettata la questione poiché, al contrario di quanto prospettato dal rimettente, tale disposizione “eleva la norma tributario al rango di norma imperativa”, con conseguente applicazione dell’art. 1418 c.c.
  • Con ord. nn. 389/2008 e 110/2009 sono state rigettate altrettante questioni poiché non vi sarebbero (o, quanto meno, non sarebbero stati individuati i) motivi di irragionevolezza intrinseca della norma circa le differenti ripercussioni sulle parti e per l’interesse pubblico.

8. Art. 3 D. Lgs. 23/2011, per il quale la durata legale del contratto di locazione ad uso abitativo è (rectius, era) sostituita in quattro anni dal momento della registrazione tardiva, con canone pari al triplo della rendita catastale.

Tale disposizione, tuttavia, è stata dichiarata incostituzionale – per eccesso di delega – dal Giudice delle Leggi con sent. n. 50/2014.

9. Art. 1, commi 634-640 L 190/2014, che ha ampliato i termini temporali di applicabilità del ravvedimento operoso.

La posizione della giurisprudenza

Innanzi ad un tale quadro normativo, senza dubbio complesso per gli innumerevoli interventi legislativi non sempre coordinati, i giudici sono stati chiamati più volte a prendere posizione in ordine alle conseguenze civilistiche dell’adempimento apparentemente solo fiscale.

In principio, si è sostenuto che le norme fiscali, benché inderogabili, non avessero carattere imperativo poiché non preposte alla tutela di interessi generali, bensì settoriali (si cfr. Cass. 12327/1999).

Inoltre, si è sempre riconosciuto il principio di non interferenza tra gli ambiti fiscali e civili, come anche espressamente affermato della citate disposizioni di legge.

Nel tempo, tuttavia, anche a fronte di sempre maggiori casi di elusione ed abuso del diritto per scopi unicamente fiscali, la posizione della Giurisprudenza è via via mutata, facendosi portatrice dell’esigenza, variamente tutelata, di evitare operazioni meramente fraudolente.

Per fare ciò si è ricorsi al noto principio della causa in concreto del negozio giuridico, quest’ultimo composto anche da più atti o contratti.

Ove, in altri termini, la causa concreta (unica) sia quella di ottenere un indebito vantaggio fiscale, si è in una ipotesi di mancanza della stessa, sanzionabile dunque con la nullità del negozio (in termini, Cass. nn. 20398/2005 e 20816/2005).

D’altro canto, tale orientamento non è stato del tutto omogeneo nel tempo, rinvenendosi pronunce che limitano le sanzioni, in caso di abuso, al campo fiscale (Cass. 4785/2007).

La Corte non manca inoltre di sottolineare come la posizione del Legislatore in tema di rapporti tra normativa fiscale e civilista sia mutata, partendo dalla non interferenza canonizzata sul finire degli anni ’90 sino a giungere, con posizione opposta, alle dirette conseguenze di cui all’art. 1, comma 346 L 311/2004.

Ad ogni buon conto, al fine di dotare la sanzione della nullità di un necessario (e sufficiente) sostrato argomentativo, la Giurisprudenza ha dovuto ed è ricorsa a vari istituti giuridici, tra cui la condicio iuris, il cui avveramento successivo alla conclusione del contratto avrebbe effetto retroattivo ai sensi dell’art. 1360 comma 1 c.c., come sostenuto dai giudici di merito nel caso de quo.

Altri, invece, valorizzando le pronunce della Corte Costituzionale appena citate, hanno ritenuto che la norma fiscale abbia introdotto una norma sostanziale, la cui violazione conduce ad una nullità ex art. 1418 c.c., sanabile però, con effetti ex nunc.

Altri ancora, infine, giusta l’art. 1423 c.c., non ammettono alcuna sanatoria o convalida dell’atto radicalmente nullo per violazione della norma sostanziale fiscale.

La dottrina

Da ultimo, la Suprema Corte non ha tralasciato di considerare nemmeno le principali posizioni assunte dalla Dottrina sull’argomento, richiamando le critiche mosse alla prevista nullità per ragioni non relative ad un vizio genetico, bensì a comportamenti successivi alla formazione del contratto, con ciò ponendosi la sanzione contro ai tipici principi del nostro ordinamento.

Altra parte della dottrina, invece, partendo proprio dalla novità dogmatica introdotta della nullità per inadempimento, ha ammesso una deroga all’art. 1423 cit., dunque prevendendo l’ammissibilità concettuale di una sanatoria ex post con effetti, però, ex nunc.

Ulteriori critiche non sottaciute si riferiscono agli effetti che il contratto spiegherebbe nei 30 giorni decorrenti dalla sottoscrizione alla mancata registrazione, in cui, comunque, l’accordo sarebbe da considerare valido ed efficace.

Anche per tale ragione, la sanatoria sarebbe ammissibile con effetti retroattivi.

Ancora, viene posto l’accento sulla tesi secondo cui, a discapito del dato letterale, si sarebbe in ipotesi di condizione legale di efficacia del contratto subordinata all’adempimento dell’obbligo tributario.

Da ultimo, la Corte, onde giungere alla decisione, aggiunge al già complesso quadro il richiamo agli arresti di cui alla sentenza n. 18213 del 17.09.2015 resa dalle Sezioni Unite, resa in tema di tardiva registrazione del patto occulto ex art. 13 L 431/1998, onde verificare se i principi di diritto ivi resi possano trovare applicazione anche per l’interpretazione dell’art. 1, comma 346 L 311/2004 circa la nullità comminata.

La decisione della Cassazione

Orbene, i Giudici di Legittimità, dovendosi districare in tale coacervo di norme e interpretazioni, partono con l’escludere che il Legislatore abbia “errato” nell’utilizzare il termine nullità e che dunque debba darsi a tale termine un differente significato rispetto a quello dogmaticamente individuato.

Diversamente, si finirebbe con l’abrogazione de facto della norma.

Ciò detto, non possono però tacersi le conseguenti difficoltà interpretative frutto della (secondo alcuni, infelice) scelta legislativa.

Infatti, proprio richiamando i noti corollari alla sanzione più radicale di invalidità, ne derivano:

  • la sua rilevabilità d’ufficio,
  • l’imprescrittibilità dell’azione,
  • l’inammissibilità della convalida
  • la legittimazione erga omnes.

Per trovare la soluzione, la Corte richiama la pronuncia della Consulta n. 420/2007 cit., e l’interpretazione da questa fornita alla norma in commento.

Quest’ultima è norma sostanziale di natura imperativa, la cui violazione comporta (e non può non comportare) la nullità ex art. 1418 c.c.

Nel sostenere ciò, la Corte Costituzionale ha ritenuto che sia tutelato l’interesse pubblico e generale affinché tutti i cittadini concorrano alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Anche per tale ragione, non possono essere avallate le interpretazioni, giurisprudenziali e dottrinali, che facevano perno, invece, sulla efficacia del contratto, così riducendo la portata della nullità, proprio perché in contrasto con quanto assunto dall’ordinanza citata.

Ebbene, non resta dunque che considerare l’ipotesi de qua per la sua peculiarità, ma comunque rientrante nello schema generale della nullità, ancorando il fatto patologico (non ad elementi intrinseci del contratto, bensì) ad una attività esterna e posteriore l’accordo.

Conseguenza di questa anomalia dogmatica è l’ammissibilità di una convalida dell’atto invalido con efficacia sanante retroattiva.

Ciò consente di mantenere stabili gli effetti per le parti.

Optando per una efficacia ex nunc, si incorrerebbe in una serie di effetti negativi a tutto svantaggio dei contraenti.

Postergando addirittura la durata dalla data di registrazione, poi, si forzerebbe la volontà delle parti, violando ex se la logica sottesa alla sanatoria.

Detta tesi risponde, inoltre, ai principi generali individuabili dall’interpretazione sistemica delle norme fiscali, tra cui il richiamato istituto del ravvedimento operoso, sempre più spesso e in vari forme utilizzato dal Legislatore per contrastare l’evasione.

In conclusione, si è ritenuta ammissibile la sanatoria ex tunc del contratto nullo tardivamente registrato, dovendo, nel caso in oggetto, correggere in tali termini la motivazione della sentenza impugnata.

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