Validità del contratto sottoscritto senza firma estesa ma solo con una sigla

Con la sentenza n. 23669 del 19 novembre 2015, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito se sia valido il contratto sottoscritto senza firma estesa ma con una sigla.

Nel caso di specie, era stata richiesta la nullità un contratto preliminare perché la sottoscrizione apposta in calce al medesimo risultava illeggibile e incompleta, trattandosi di mera sigla e non di firma estesa. Nonostante l’accoglimento in primo grado, la Corte d’Appello riformava la sentenza affermando che la decifrabilità della sottoscrizione non sarebbe requisito di validità dell’atto ove l’autore sia identificabile, nelle sue generalità, dal contesto dell’atto medesimo e che, pertanto, se le indicazioni precedenti la sottoscrizione consentano di individuare la provenienza dell’atto, la sigla deve considerarsi equipollente alla firma per esteso.

Avverso tale pronuncia, veniva proposto ricorso in Cassazione nel quale si sosteneva che, ai sensi dell’art. 2702 c.c., la sottoscrizione sarebbe invece un requisito essenziale per fare acquistare al documento l’efficacia probatoria e, in tal senso, il segno grafico avrebbe dovuto riportare l’indicazione del nome e cognome. Con la logica conseguenza che una scrittura privata solamente siglata, in assenza di sottoscrizione apposta secondo i criteri indicati, sarebbe sfornita della medesima.

A tal riguardo, la Suprema Corte ha in primo luogo sottolineato la rilevanza della produzione in giudizio del contratto ad opera della parte indicata nel corpo della scrittura: anche in assenza di sottoscrizione, o come nel caso in questione, in presenza soltanto di una sigla o di una firma illegibile, la produzione del documento costituirebbe equipollente della mancata sottoscrizione contestuale o della illeggibilità della firma.

Secondo la Corte di legittimità, non vi è dubbio infatti che la produzione della scrittura in giudizio e la corrispondenza tra la persona che ha prodotto la scrittura e la persona indicata nel corpo della scrittura, “siano elementi sufficienti a rendere decifrabile i segni grafici che compongono una sottoscrizione illeggibile“. Accertata dunque la riferibilità della firma al contraente sottoscrittore, sarebbe stato incongruo e non pertinente parlare di riconoscimento: esso riguarda, infatti, la propria sottoscrizione in un documento prodotto da controparte, mentre, nel caso di specie era lo stesso contraente sottoscrittore che produceva il documento e, la ricorrente contro la quale la scrittura era stata prodotta, non era abilitata da nessuna norma o principio a mettere in dubbio la firma di controparte.

Precisa infine la Suprema Corte che la produzione del contratto ad opera di chi non l’aveva sottoscritto o di chi si era limitato a siglarlo, perfeziona, sul piano sostanziale e su quello probatorio, il contratto stesso, purché la controparte del giudizio sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato, prima della produzione, il consenso prestato e l’atto sia stato prodotto al fine di invocare l’adempimento delle obbligazioni da esso scaturenti.

In conclusione, la Corte rigettava il ricorso principale, condannando la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza n. 23669 del 19 novembre 2015

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