La Sezione Seconda civile, con ordinanza n. 7757 del 2024, ha deciso di assegnare il ricorso alla Prima Presidente per considerare l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite riguardo la traduzione della procura in italiano e dell’attività certificativa, indipendentemente dalla modalità di autenticazione, ai fini della validità dell’atto. Tale quesito solleva ulteriori interrogativi su: 1) il ruolo del giudice in presenza di competenza nella lingua straniera della procura; 2) la possibilità di concedere un termine per la traduzione; 3) la nomina di un esperto da parte del giudice per effettuare la traduzione.
Corte di Cassazione-Sez. II civ.-ord. int. n. 7757 del 22-03-2024
La vicenda
Un soggetto, identificato come erede universale, ha avviato un’azione legale presso il Tribunale di Chiavari per contestare l’autenticità e la completezza dell’inventario dell’eredità, redatto da un notaio su richiesta di una Provincia Religiosa.
Il Tribunale ha respinto la richiesta dell’attore e la Corte d’appello ha giustificato la sua decisione sull’ammissibilità della querela di falso, sottolineando che le presunte imprecisioni nell’inventario e il mancato accertamento di altri beni non influivano sulla genuinità del documento.
Infine, la Corte d’appello ha concluso che l’attore non avesse un interesse legittimo a causa di una precedente sentenza che non aveva riconosciuto la sua qualità di erede.
Per questi motivi, il ricorrente ha formulato un ricorso per cassazione basato su cinque motivi.
Questione principale: validità dell’atto
La Suprema Corte ha introdotto l’analisi preliminare sulla questione principale sollevata dalla parte ricorrente riguardo la nullità della procura speciale rilasciata da una delle al suo difensore. L’obiezione aveva come punto nevralgico di contestazione l’assenza di traduzione della procura nella lingua italiana e la mancata verifica dell’identità del soggetto che ha conferito la procura.
La procura speciale è stata ottenuta dal controricorrente presso un notaio pubblico dello Stato della Florida: il documento è stato redatto in lingua inglese e conteneva un’attestazione di rilascio davanti al notaio.
La Suprema Corte ha sottolineato che, secondo l’art. 12 della L. 31 maggio 1995, n. 218, le procure alle liti utilizzate in un procedimento giudiziario in Italia, anche se ottenute all’estero, sono disciplinate dalla legge processuale civile italiana. Tuttavia, per quanto riguarda l’utilizzo di atti pubblici o scritture private autenticate, la validità del mandato deve essere valutata in base alla legge del luogo in cui è stato redatto l’atto. Sotto questo aspetto il diritto straniero deve riconoscere tali istituti in conformità ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano, quali la dichiarazione del pubblico ufficiale sulla firma avvenuta in sua presenza e la verifica preventiva dell’identità del sottoscrittore.
Inoltre, i giudici di legittimità hanno sottolineato l’importanza che l’atto redatto all’estero rispetti, sia nella forma che nell’efficacia, gli standard richiesti dalla legge italiana, secondo le formalità della lex loci, evidenziando che la procura alle liti è soggetta alla disciplina presente nel codice di procedura civile.
La procura alle liti, anche se rilasciata all’estero, deve rispettare la forma prescritta dall’art. 83 c.p.c., ossia deve essere considerata come un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, secondo i requisiti stabiliti dagli artt. 2699 e 2703 c.c.
Nello specifico, la giurisprudenza ha adottato l’interpretazione che le procure rilasciate all’estero debbano essere equivalenti, sia nella forma che nell’efficacia, a quelle richieste dalla legge processuale italiana. Pertanto, tali procure devono contenere gli elementi essenziali dell’autenticazione, come la verifica dell’identità del sottoscrittore e la firma apposta di fronte a un pubblico ufficiale.
Contesto normativo
Le disposizioni che disciplinano la legalizzazione degli atti pubblici e delle scritture private autenticate redatte all’estero sono principalmente stabilite dall’art. 33 del DPR n. 445 del 2000, che ha recepito le norme prima contenute nell’art. 17 della Legge n. 18 del 1968.
In base a queste normative, le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero devono legalizzare le firme sugli atti e documenti formati all’estero da autorità estere, affinché essi siano validi nello Stato italiano. Inoltre, per gli atti redatti in lingua straniera, è necessario allegare una traduzione in lingua italiana certificata, conforme al testo originale, da parte delle competenti rappresentanze diplomatiche o consolari o da un traduttore ufficiale.
La Corte Suprema ha precisato che, in materia di atti pubblici e delle scritture private autenticate redatte all’estero, non è sempre richiesta la legalizzazione. Ciò dipende dalla presenza di una convenzione internazionale applicabile, come nel caso della Convenzione di Bruxelles del 25 marzo 1987.
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Gli orientamenti in contrasto
Per quanto riguarda la traduzione degli atti in lingua italiana, la giurisprudenza della Corte ha considerato l’esistenza di due orientamenti.
Secondo l’orientamento maggioritario, la procura alle liti non è considerata un atto processuale in senso stretto, ma preparatorio del processo. Di conseguenza, l’obbligo di utilizzare la lingua italiana, previsto dall’art. 122, comma 1 c.p.c., non rileva, ma si applica l’art. 123 c.p.c., che prevede il potere-dovere del giudice di disporre la traduzione dei documenti relativi al processo redatti in lingua straniera attraverso un interprete.
La Corte ha chiarito che la traduzione al momento della costituzione in giudizio della parte non è obbligatoria, ma può essere disposta dal giudice se necessaria. La validità della procura alle liti è stata confermata anche in casi in cui l’atto non era redatto in lingua italiana, ma era corredato dalla “apostille” e autenticato in un paese aderente alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961.
I giudici di legittimità hanno affrontato l’argomento con una sentenza della Cassazione civile sez. II, del 2023, sent. n. 19900. In particolare, la decisione ha confermato il principio generale secondo cui gli atti preparatori del processo, tra cui le procure alle liti, possono essere redatti in lingua straniera senza necessariamente richiedere una traduzione in italiano. Tuttavia, tale orientamento ha chiarito che il giudice ha il potere discrezionale di richiedere la traduzione se la ritiene necessaria per una corretta comprensione dell’atto.
La Corte Suprema ha sottolineato che, nonostante alcuni orientamenti giurisprudenziali contrastanti, esiste un principio generale a favore dell’utilizzo della lingua italiana nei documenti giuridici. Tuttavia, questo principio non è considerato un requisito assoluto per la validità della procura alle liti, poiché il giudice può decidere discrezionalmente la richiesta di traduzione.
Per quanto riguarda l’obbligo di traduzione, le Sezioni Unite hanno stabilito con un’ordinanza del 2020, n.5592 che la mancanza di traduzione da parte di un esperto rende nullo l’atto di procura alle liti rilasciato all’estero.
Anche la pronuncia della Sesta Sezione Civile del 2018, sent. n.8174, ha affermato l’obbligo di utilizzare la lingua italiana per gli atti interni al processo, sottolineado la necessità di tradurre in italiano la procura tramite un professionista abilitato.
Una sentenza più recente della Cassazione civile sez. I, il 29 settembre 2023, n.27598 ha dichiarato la nullità della procura per mancanza di traduzione in italiano dell’attività certificativa svolta dal notaio, stabilendo l’obbligo del giudice di concedere un termine per la correzione, in linea con i principi fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza del 2022, sent. n. 37434.
La divergenza presente nella giurisprudenza della Corte ha giustificato la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, affinché possa valutare l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite Civili.
Conclusioni
In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto opportuno richiedere un chiarimento circa la traduzione in italiano della procura rilasciata all’estero e dell’attività certificativa, ottenuta attraverso legalizzazione o in base alle Convenzioni dell’Aja del 5 ottobre 1961 o di Bruxelles del 25 maggio 1987, costituisca un requisito essenziale per la validità dell’atto.
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Ultimo aggiornamento al Decreto PNRR-bis, D.L. 19/2024 convertito in L. 56/2024
Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.