La configurazione di una società in house alla luce del Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (d.lgs. n. 175 del 2016)

Il d.lgs. n. 175 del 2016 ha introdotto una serie di disposizioni mediante le quali vengono specificati i requisiti e gli aspetti di gestione caratterizzanti le c.d. “società in house.

Gli artt. 2 e 16 del Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica intendono fornire una rinnovata concezione degli enti affidatari di un pubblico servizio sulla base degli apprezzabili sviluppi in tema di affidamento diretto in house providing.

L’evoluzione giurisprudenziale, per quanto incerta e problematica su alcuni punti, ha in precedenza collocato le società in house nel genus degli enti con partecipazione pubblica totalitaria.

La possibilità per i soggetti pubblici di svolgere un controllo qualificato sulla società ha costituito, secondo le Corti nazionali e comunitarie, uno dei tratti distintivi dell’ente.

È stata richiesta, inoltre, la prevalente destinazione delle attività sociali a servizio delle pubbliche amministrazioni partecipanti.

Tale contesto è rimasto immutato con l’introduzione della disciplina in esame la quale, tuttavia, non ha mancato di effettuare alcune rilevanti precisazioni in merito.

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I requisiti per la costituzione delle società in house

In primo luogo, il nuovo dettato normativo sembrerebbe regolare l’ipotesi per la quale è costituita una società in house anche se questa non soddisfa tutti e tre i requisiti enucleati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.

Dovrebbero, infatti, sussistere in maniera congiunta:

  • l’assetto proprietario a capo della pubblica amministrazione,
  • la gestione e il controllo “analogo” dei soci,
  • la destinazione delle attività sociali.

Ai sensi dell’art. 2 del T.U. verrebbe, invece, a configurarsi una società in house che si contraddistingue per il solo fatto di essere controllata da una o più amministrazioni.

Nei suoi confronti sarebbe escluso l’affidamento diretto di un contratto pubblico, trattandosi di eventualità destinata al solo genere di società in house corrispondente all’art. 16 del T.U. che, peraltro, ricalca i criteri giurisprudenziali di cui sopra.

Un parallelismo tra le due categorie descritte agli artt. 2 e 16 potrebbe, tuttavia, rinvenirsi in ordine al regime di responsabilità degli amministratori ex art. 12 del Testo Unico.

La predetta norma, senza effettuare distinzione alcuna sui “tipi” di società in house, dispone che “i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”.

L’assetto proprietario

Con riferimento all’assetto proprietario delle società in house, bisogna osservare come l’art. 16 del Testo Unico precluda la partecipazione di capitali privati, salvo quella che è prescritta dalla legge e che non determina una influenza rilevante sulla gestione.

Sorge, quindi, il dubbio se alla previsione del divieto debba attribuirsi una portata rigorosamente formale o, all’opposto, sia ammissibile la partecipazione del privato che rivela una natura sostanzialmente pubblica.

Non può ignorarsi, ad esempio, l’eventualità che l’ente di diritto privato partecipante sia controllato da una o più amministrazioni.

Tra i due possibili approcci ermeneutici sembra, però, doversi aderire a quello nella cui ottica rileva la natura sostanziale (e non formale) della partecipazione di capitali privati.

Non è un caso che l’art. 2, lettera “c” del T.U. assicuri il controllo analogo della società in house anche da persona diversa dall’amministrazione partecipante, ma, a sua volta controllata da quest’ultima in egual modo.

Sciolto tale interrogativo, occorre, poi, effettuare qualche ulteriore considerazione in merito alla valutazione dell’assetto proprietario nella sua concretezza.

La giurisprudenza ha rappresentato più volte la necessità che lo statuto di una società in house sia formulato in maniera tale da precludere la potenziale e futura partecipazione di capitali privati anche dopo l’affidamento diretto di un contratto pubblico.

Non basterebbe, al predetto fine, la semplice osservanza della condizione di totale partecipazione pubblica all’atto di ricevere l’incarico.

Potrebbe quindi sostenersi, in mancanza di indicazione alcuna nel testo normativo, che sia opportuno apporre nello statuto una o più clausole contenenti il divieto assoluto di trasferimento delle partecipazioni ovvero il divieto di cessione delle stesse a soggetti diversi da pubbliche amministrazioni.

In tal caso, devono comunque essere rispettati i criteri e i limiti enucleati dal Codice Civile in relazione alla eventuale legittimazione di clausole che ostacolano la libera circolazione delle partecipazioni.

L’organizzazione delle società in house

Per quel concerne l’aspetto organizzativo delle società in house, deve riportarsi il disposto dell’art. 16 del T.U. che, garantendo un controllo “analogo” dei soci sull’ente, autorizza la deroga di alcune regole dettate dal Codice Civile:

  • “a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’articolo 2380-bis e dell’articolo 2409-novies del codice civile;
  • b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell’articolo 2468, terzo comma, del codice civile;
  • c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all’articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile”.

Per controllo “analogo” si deve fare, invece, riferimento all’art. 5, quinto comma del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui è possibile esercitare, relativamente al caso concreto, un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative del soggetto controllato.

È, pertanto, previsto (per via del richiamo al d.lgs. n. 50/2016 compiuto all’art. 16, ultimo comma T.U.) che le diverse amministrazioni controllanti la società in house dispongano della facoltà di decidere sulla nomina di un amministratore nonché di esprimere un’influenza dell’ente non limitata allo svolgimento del proprio rapporto di servizio.

Le decisioni del gruppo dei soci controllanti non possono essere orientate a criteri di maggioranza, bensì, devono seguire modalità che tengano conto dell’opinione espressa da ogni singolo socio.

Da ultimo, il trattamento di favore dinanzi indicato deve valere anche per gli enti di diritto privato che sono sottoposti a controllo analogo (dunque, qualificato nei termini di cui sopra) da parte di una o più amministrazioni.

Deve menzionarsi, altresì, la possibilità che all’interno della società in house convivano soci che partecipano e soci che non partecipano al controllo congiunto.

Maggiori dubbi sussistono, invece, qualora si inseriscano nella indicata gestione soci privati che non sono soggetti a controllo analogo, bensì, a controllo semplice da parte di una pubblica amministrazione.

Relativamente a tale ipotesi, sembrerebbe che agli enti di diritto privato sia permessa una gestione della società in house che, tuttavia, non assurge alle influenze peculiari del c.d. controllo analogo.

La destinazione dell’attività societaria

La destinazione dell’attività societaria a servizio delle pubbliche amministrazioni è stata, infine, ulteriormente specificata per il tramite dell’art. 16, terzo comma T.U.

La predetta norma identifica nell’80% del fatturato sociale il limite minimo al perseguimento dell’attività pubblica, potendo tale quota raggiungere anche l’intero ove lo statuto lo preveda.

La parte residua di fatturato, agevolando l’instaurazione di rapporti e dinamiche di tipo privatistico, è, tuttavia, legata all’attività principale in quanto strumentale al raggiungimento di economie di scala e, in generale, al conseguimento di una maggiore efficienza.

Il mancato rispetto del limite quantitativo di cui al terzo comma dell’art. 16 costituisce grave irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 del Codice Civile e dell’articolo 15 del Testo Unico.

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