
L’ordinanza della Cassazione n. 13598/2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), offre un’occasione di rimeditazione dogmatica sui limiti che incontra la potestà legislativa nazionale nel configurare istituti presuntivi – quali le società di comodo – allorché questi incidano su posizioni giuridiche soggettive armonizzate a livello sovranazionale, specificamente il diritto alla detrazione IVA.
Il Supremo Collegio, nel risolvere la controversia, ha statuito l’inapplicabilità della disciplina domestica recata dall’art. 30 della L. n. 724/1994, ravvisandone un insanabile contrasto con i principi del diritto UE, segnatamente con la Direttiva 2006/112/CE, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ne discende, quale corollario ermeneutico, la necessità di una disapplicazione della norma interna da parte del giudice nazionale, con significative ricadute sulla tutela del contribuente e sulla coerenza sistematica dell’ordinamento tributario multilivello.
La presente disamina si prefigge di esplorare le implicazioni di tale decisum della Corte di Cassazione, ponendo in luce le tensioni normative e i principi di gerarchia delle fonti che ne governano la soluzione.
Il caso
L’origine della controversia è da rinvenirsi in un avviso di recupero di un credito IVA, contestato ad una società a responsabilità limitata per plurime annualità d’imposta. L’Amministrazione finanziaria aveva proceduto al disconoscimento del suddetto credito sulla scorta dell’applicazione della disciplina limitativa prevista per le entità qualificate “di comodo” ai sensi dell’art. 30 della Legge n. 724 del 1994, posto il mancato superamento del c.d. “test di operatività”.
Consiglio: il volume “Come cancellare i debiti fiscali”, a cura di Leonarda d’Alonzo, offre ai professionisti e ai contribuenti , imprese e privati, soluzioni difensive, anche alternative a quelle tradizionali, al fine di risolvere la situazione compromessa.
Come cancellare i debiti fiscali
Il presente volume vuole offrire ai professionisti ed ai contribuenti, imprese e privati, soluzioni difensive, anche alternative a quelle tradizionali, al fine di risolvere la situazione compromessa.
Sono raccolti tutti gli strumenti utili per una efficace difesa in ogni fase, dall’avvio dell’attività imprenditoriale o professionale al primo accertamento/atto impositivo, sino ai rimedi estremi post decadenza dalle ordinarie azioni difensive.
Il lavoro, aggiornato alle ultime novità legislative e giurisprudenziali nazionali ed europee, analizza le contestazioni più frequenti, i vizi degli atti impositivi, del fermo amministrativo, dell’ipoteca e dei pignoramenti esattoriali e le relative soluzioni, attraverso il coordinamento della normativa speciale esattoriale alle previsioni amministrative, agli istituti civilistici, nonché alle norme penali (ad es. la sospensione disposta dal PM a seguito di denuncia per usura).
Al professionista viene offerto un quadro completo del suo perimetro d’azione, con l’indicazione puntuale delle circolari, dei provvedimenti e risposte della P.A., e dei vademecum e linee guida dei tribunali.
Leonarda D’Alonzo
Avvocato, già Giudice Onorario presso il tribunale di Ferrara e Giudice dell’Esecuzione in esecuzioni mobiliari, esecuzioni esattoriali mobiliari e immobiliari e opposizione all’esecuzione nella fase cautelare.
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Leonarda D’Alonzo, 2025, Maggioli Editore
44.00 €
41.80 €

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La contribuente, esperendo i rimedi giurisdizionali, vedeva accolte le proprie ragioni sia in prime cure sia innanzi alla Commissione Tributaria Regionale, la quale perveniva all’annullamento integrale degli atti impositivi.
Avverso la pronuncia di secondo grado, l’Agenzia delle Entrate presentava ricorso per Cassazione, articolando tre distinti motivi di doglianza:
- Con il primo motivo, l’Ufficio lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della L. n. 724/1994, dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 110 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR). Si contestava, in particolare, l’erroneità dei criteri di stima di taluni cespiti immobiliari ai fini della verifica di operatività, asserendo la necessità di riferirsi al valore fiscalmente riconosciuto anziché a quello meramente civilistico, non oggetto di rivalutazione ai fini impositivi.
- Il secondo motivo di gravame investiva la sentenza della Commissione regionale per aver erroneamente escluso dalla valutazione della condizione di “società di comodo” un bene immobile, sebbene iscritto tra le rimanenze, in quanto inagibile e, pertanto, non produttivo di reddito locativo.
- Con la terza censura, l’Agenzia delle Entrate deduceva un vizio afferente alla coerenza logico-giuridica della statuizione impugnata e alla violazione di norme procedimentali. Si osservava come la Commissione territoriale, pur avendo riconosciuto la potenziale disponibilità di un’unità immobiliare in capo ai soci, avesse omesso di trarne le dovute conseguenze, sia in termini di rinnovazione del test di operatività sia con riguardo alla possibilità di un annullamento soltanto parziale dell’atto accertativo.
Rigetto delle censure dell’Amministrazione finanziaria
La Corte di Cassazione ha integralmente disatteso le doglianze sollevate dall’Agenzia delle Entrate, ritenendole giuridicamente infondate. L’ordinanza si fonda su un rilievo preliminare e assorbente: l’incompatibilità manifesta dell’art. 30 della L. n. 724/1994 con i principi inderogabili del diritto dell’Unione Europea, in particolare con gli articoli 9, par. 1, e 167 della Direttiva 2006/112/CE in materia di IVA.
La giurisprudenza di legittimità e il ruolo della Corte UE
Nel suo ragionamento, la Suprema Corte richiama non solo precedenti nazionali (Cass. ord. n. 24442/2024; Cass. sent. n. 22249/2024), ma soprattutto la sentenza della Corte di Giustizia del 7 marzo 2024 nella causa C-341/22. Da questa pronuncia emerge un principio chiaro: subordinare il diritto alla detrazione IVA al superamento di test presuntivi di operatività è contrario alla normativa unionale.
Il principio di primato e l’obbligo di disapplicazione
La conseguenza di tale antinomia normativa è netta. Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare l’art. 30 della L. n. 724/1994 qualora esso ostacoli l’esercizio del diritto alla detrazione. Tale diritto trova fondamento nella condizione sostanziale dell’esercizio effettivo di un’attività economica, come previsto dall’art. 9 della Direttiva.
Contrasto tra presunzioni nazionali e principi unionisti
Il legislatore nazionale non può introdurre, tramite presunzioni assolute di inattività o inefficienza, ulteriori condizioni per accedere alla detrazione IVA. Il raggiungimento di soglie minime di redditività o la coerenza tra ricavi e valore patrimoniale non costituiscono requisiti ammessi dal diritto europeo. Tali presunzioni, astratte e automatiche, rischiano di eludere il principio di neutralità dell’imposta.
Il limite all’antielusione: necessità di accertamento concreto
La Cassazione chiarisce che le finalità antielusive degli Stati membri, per quanto legittime, non giustificano misure che comprimano diritti fondamentali come la detrazione IVA. Una presunzione di elusione non può basarsi su indici quantitativi astratti, ma richiede un accertamento specifico e documentato di pratiche abusive.
Correzione della motivazione in appello: rilievo nomofilattico
Un profilo tecnico significativo è rappresentato dalla correzione della motivazione della sentenza d’appello. Sebbene il dispositivo sia stato confermato, la Corte ha voluto ribadire che il fondamento giuridico del rigetto non va cercato in una valutazione delle scelte gestionali del contribuente, ma nel contrasto tra diritto interno e diritto UE.
Obbligo dei giudici di merito: disapplicazione d’ufficio
La pronuncia assume valore di indirizzo per il contenzioso tributario futuro. I giudici di merito sono tenuti a disapplicare d’ufficio l’art. 30 della L. n. 724/1994 quando venga invocato per escludere il diritto alla detrazione, in assenza di prova concreta di frodi o abusi. Le presunzioni legali di “non operatività” non sono più sufficienti.
Rilevanza pratica per il contenzioso
In questo contesto giuridico, l’Amministrazione finanziaria non potrà più fondare le proprie pretese esclusivamente su parametri presuntivi come la stima dei valori immobiliari o la mancata produttività temporanea di alcuni beni. Tali argomentazioni devono cedere di fronte al principio di prevalenza del diritto unionale e all’obbligo di valutare in concreto l’attività economica svolta.
Conclusione
L’ordinanza in esame si colloca nel solco di un progressivo e necessario allineamento dell’ordinamento impositivo nazionale ai dettami dell’ordinamento dell’Unione Europea. Il Supremo Collegio, con la sua pronuncia, non si limita a risolvere la singola fattispecie, ma offre una chiave di lettura che trascende il caso concreto, riaffermando con vigore il primato del diritto unionale e il conseguente dovere del giudice interno di fungere da primo garante della sua effettività, anche attraverso lo strumento della disapplicazione della norma nazionale incompatibile.
La tutela del diritto alla detrazione IVA, quale elemento cardine per assicurare la neutralità dell’imposizione sui consumi, ne esce rafforzata, ponendo un argine a meccanismi presuntivi che, pur astrattamente ispirati a finalità antielusive, rischiano di tradursi in ingiustificate compressioni dei diritti dei contribuenti che operano nel rispetto della legalità.
La statuizione sulla compensazione delle spese di lite, motivata alla luce dei recenti approdi della giurisprudenza di Lussemburgo, costituisce un ulteriore segnale della pervasività dell’influenza del diritto e della giurisprudenza europei.