Il termine anglosassone “smart working” indica una determinata tipologia di contesto lavorativo e non la prestazione lavorativa, che deve essere garantita dal lavoratore smart in modo continuativo secondo gli accordi contrattuali.
In Italia, la normativa di riferimento, che ha disciplinato questa nuova forma di lavoro, è la legge n. 81 del 22 maggio 2017.
Smart Working cos’è? Definizione e significato
L’art. 18 della citata legge, definisce lo smart working come una modalità agevolata dell’esecuzione della prestazione di lavoro concordata tra il datore e il lavoratore.
Tra le peculiarità della modalità agevolata rientra la flessibilità oraria e il luogo di lavoro. Infatti lo smart worker può lavorare da un luogo diverso dalla sede aziendale e potrà eseguire le proprie mansioni da “remoto”, ovvero da qualunque luogo che gli garantisca la possibilità di utilizzare gli strumenti lavorativi.
Smart working e telelavoro: differenze
Dalle caratteristiche già citate, risulta evidente che il lavoro smart non può essere equiparato al telelavoro, anche se la disciplina di quest’ultimo risulta abbastanza speculare. In relazione all’autonomia del lavoratore, la normativa vigente dà alle parti del rapporto la possibilità della flessibilità oraria: il lavoratore può dunque modulare i propri orari lavorativi in autonomia sebbene ciò non lo renda un lavoratore autonomo domiciliare, essendo sempre subordinato ad un datore di lavoro.
Si è detto che la caratteristica principale, che inquadra e tipizza lo smart working, è il luogo di lavoro. Il lavoratore non è obbligato a recarsi quotidianamente in un determinato luogo (sede dell’azienda) per poter svolgere le proprie mansioni, ma può fornire la propria prestazione lavorativa in un luogo diverso. In questo senso, è consentito svolgere le proprie attività in qualunque luogo che gli permetta di poter adempiere alla propria prestazione con gli strumenti forniti dal datore di lavoro.
Sul piano dei diritti del lavoratore, la normativa vigente equipara i lavoratori smart ai lavoratori che svolgono la propria attività letteralmente all’interno dei muri aziendali. Pertanto sia la retribuzione che gli obblighi contributivi del datore di lavoro per i dipendenti “interni” che per gli smart worker sono gli stessi.
I limiti dello smart working
Occorre contestualizzare con precisione lo smart working nella realtà aziendale per poter effettivamente comprendere i limiti delle parti interessate.
Con riferimento al limite del potere datoriale, vi è certamente una forte limitazione sul potere-obbligo di vigilanza del datore di lavoro, che può monitorare un operato telematico virtuale, senza poter tuttavia constatare con precisione chi sia il soggetto che sta svolgendo il lavoro.
D’altra parte, per quanto gli strumenti digitali siano efficienti, l’ambiente lavorativo smart non sempre è idoneo per il lavoratore, giacchè lo stesso include nella propria privacy dei sistemi digitali strumentali a specifiche attività non domestiche.
Il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 22 della legge 81/2017, deve inoltre garantire la sicurezza del lavoratore smart esponendogli i rischi dell’attività lavorativa e quest’ultimo dovrà cooperare a garantire le misure imposte dal datore.
In tal senso, il limite del datore di lavoro attiene proprio all’individuazione dei rischi connessi al luogo di lavoro scelto dal lavoratore smart, poiché la postazione lavorativa può variare dal domicilio domestico ad un open space. La norma ha un ampio ventaglio interpretativo, che deve adattarsi ad ogni singola casistica. Si ritiene pertanto, che per rendere effettiva la tutela della sicurezza del luogo di lavoro, lo smart worker dovrà inderogabilmente comunicare la variazione della propria postazione lavorativa, in maniera tale da poter permettere al datore di lavoro la valutazione dei rischi del luogo prescelto.
Smart working e privacy domestica
Apparentemente lo smart working è diventato la risposta alle situazioni emergenziali, che costringono i lavoratori a non potersi recare in azienda. Tuttavia, nonostante vi sia il diritto di disconnessione per lo smart worker, è evidente che l’attività lavorativa invade la privacy domestica (qualora la postazione sia domiciliare), rischiando di abbattere il confine che divide il lavoro dalla vita familiare privata.
In conclusione bisogna ritenere che la normativa italiana equipara lo smart worker (che svolge l’attività esternamente ai muri aziendali) agli altri lavoratori dipendenti, tutelandone i diritti.
E’ tuttavia necessario ribadire che la normativa presenta delle criticità, non ancora esaminate dalla giurisprudenza. A tal riguardo, le sentenze della Cassazione più interessanti sul punto (vedi, Cass. penale sentenza 27 giugno 2017 n. 45808, Cass. sez. IV, 27/03/2019, n.37763) sono focalizzate sull’obbligo del datore di lavoro di tutelare il lavoratore sul luogo di lavoro individuato come sede dell’attività produttiva sotto la direzione e gestione dello stesso.
Sicuramente le caratteristiche dello smart working rispondono all’esigenze di emergenza e straordinarietà, permettendo di non bloccare la produttività delle imprese che incentivano il lavoro agile. Ma persiste la difficoltà di tutelare il lavoratore in relazione al luogo di lavoro, considerando che l’obbligo del datore di lavoro si scontra con la tutela della privacy domestica dello smart worker.