Emendatio e Mutatio Libelli: la parola finale delle Sezioni Unite sulla modificazione delle domande ex art 183 cpc

Con la sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno chiarito la portata precettiva di uno degli “snodi” fondamentali del processo civile: l’emendatio e mutatio libelli nonché i margini di ammissibilità della modifica di domande, eccezioni e conclusioni ex art. 183 c.p.c..

Emendatio e Mutatio Libelli: significato e contrasto giurisprudenziale

Sul punto, in linea generale, vige il principio più che consolidato secondo il quale sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice “emendatio libelli”, ravvisabile quando non si incide nè sulla causa petendi (ma solo sull’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto), nè sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere).

Al contrario sono assolutamente inammissibili quelle modificazione della domanda che costituiscono “mutatio libelli”, ravvisabile quando si avanza una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, così ponendo al giudice un nuovo tema d’indagine e spostando i termini della controversia.

La situazione, apparentemente univoca, ha generato nella realtà una situazione ben più complessa, atteso che finora, in molti singoli casi, pur non contravvenendo espressamente al descritto principio, si è giunti a ritenere sostanzialmente ammissibili anche domande che presentavano invece mutamenti in ordine ai suddetti elementi modificativi.

C’è, in altre parole, un contrasto in tale crocevia processuale più consistente di quanto non appaia ad un primo esame della giurisprudenza.

Art 183 cpc: non esiste un divieto di domande nuove

In primo luogo, la Suprema Corte ha pertanto voluto operare una ricognizione della struttura dell’udienza di comparizione, disciplinata dall’art. 183 c.p.c.: secondo la Cassazione, la non ammissibilità della proposizione di domande nuove nel corso dell’udienza di cui alla citata norma, considerando come “nuove” le domande che differiscono da quella iniziale anche solo per uno degli elementi identificativi sul piano oggettivo, è solo una consolidata ma immotivata convinzione.

Nell’art. 183 c.p.c. non si rinviene infatti alcun esplicito divieto di domande nuove (come invece, ad esempio, nell’art. 345 c.p.c.). Non solo: l’art. 189 c.p.c., in tema di rimessione della causa al collegio – laddove afferma che il giudice istruttore invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183 c.p.c.” – lascia intendere che in realtà le parti possono cambiare le domande e conclusioni avanzate nell’atto introduttivo, anche in modo apprezzabile.

Effettuata tale precisazione, la Suprema Corte ha pertanto proceduto a definire i tre tipi di domande previste dall’art. 183 c.p.c.:

  • Domande nuove: pur non riscontrandosi un espresso divieto, la Corte le ha ritenute implicitamente vietate ad eccezione di quelle che per l’attore rappresentano una reazione alle opzioni difensive del convenuto.
  • Domande precisate: sono invece le stesse domande introduttive che non hanno subito modificazioni ma semplici precisazioni, finalizzate a definirle, puntualizzarle, circostanziarle meglio.
  • Domande modificate: è stato giustamente rilevato che la norma non prevede alcun limite né quantitativo né qualitativo alla modificazione ammessa.

Ne deriva che, per le Sezioni Unite, la modificazione delle domande ex art. 183 c.p.c. è ammissibile senza limiti, anche con riferimento al petitum e alla causa petendi.

E tale circostanza si evincerebbe non solo dalla previsione di ben tre termini, per formularle, replicare ad esse e provarle, ma anche perché trattandosi di udienza di prima comparizione, la trattazione della causa non è ancora sostanzialmente iniziata e, conseguentemente, una modifica anche incisiva della domanda non arrecherebbe alcun pregiudizio all’ordinato svolgimento del processo.

Peraltro, da tale interpretazione non deriverebbe una degenerazione del processo, giacchè la domanda modificata deve pur sempre riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque essere a questa collegata o posta in alternativa.

E nemmeno si rischierebbe un allungamento dei tempi processuali, atteso che la domanda modificata sostituisce la domanda iniziale e non si aggiunge ad essa, interviene nella fase iniziale del giudizio e non comporta tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183 c.p.c.

Neppure può ritenersi che una simile interpretazione possa “sorprendere” la controparte ovvero mortificarne le potenzialità difensive: “l’eventuale modifica avviene sempre in riferimento di connessione alla medesima vicenda sostanziale in relazione alla quale la parte è stata chiamata in giudizio; la parte sa che una simile modifica potrebbe intervenire, sicché non si trova rispetto ad essa come dinanzi alla domanda iniziale” e, infine, “alla suddetta parte è in ogni caso assegnato un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio“.

Il principio di diritto delle Sezioni Unite

In conclusione, le Sezioni Unite hanno pertanto enunciato il seguente principio di diritto:

La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che perciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali

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(Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015)

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