Sezioni Unite: prescrizione azione disciplinare avvocati, quando decorre?

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con l’ordinanza n. 33569 del 22 dicembre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), tornano a fare chiarezza sul rapporto tra procedimento disciplinare forense e processo penale. La questione centrale attiene alla determinazione del dies a quo per la prescrizione dell’azione disciplinare in presenza di condotte che integrano fattispecie di reato commesse prima della riforma del 2012. Attraverso l’esame del ricorso presentato da un avvocato coinvolto in gravi frodi fiscali, la Suprema Corte riafferma la natura processuale delle norme sulla sospensione e la stabilità dei criteri di decorrenza del termine prescrizionale, garantendo la certezza del diritto nel settore della responsabilità professionale.

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Formulario commentato del nuovo processo civile

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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

 

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Il caso

La vicenda trae origine dal ricorso proposto da un professionista avverso la sentenza n. 199/2025 del Consiglio Nazionale Forense (CNF). Quest’ultimo aveva confermato la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina (CDD) di Napoli, che aveva irrogato al professionista la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per ventiquattro mesi.

Il CDD aveva contestato all’avvocato la violazione degli artt. 4, 6, 9, 19 e 23 del nuovo codice deontologico forense. Nello specifico, l’avvocato, tra il 2004 e il 2012, aveva preso parte a un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di frode fiscale e violazione di norme ambientali.

L’avvocato aveva promosso e organizzato società volte a occultare l’origine di rottami metallici, producendo false fatturazioni per ricavare ingenti profitti illeciti. Per tali fatti, l’incolpato era stato condannato dal Tribunale di Como ad anni sette di reclusione.

Il ricorrente ha adito le Sezioni Unite. Ha contestato la legittimità del procedimento disciplinare. Secondo l’avvocato, il procedimento si è svolto nonostante pendesse il processo penale. Inoltre ha sostenuto che l’azione disciplinare si era prescritta nel 2017, prima dell’avvio della contestazione.

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La decisione: il superamento della pregiudizialità penale

Il primo motivo di ricorso si fondava sull’asserita violazione degli artt. 44 e 51 del R.D.L. n. 1578/1933. Il ricorrente sosteneva che, essendo i fatti risalenti al 2012, l’azione disciplinare non potesse essere promossa, o dovesse essere necessariamente sospesa, fino al passaggio in giudicato della sentenza penale.

Le Sezioni Unite hanno tuttavia respinto tale impostazione, rammentando che la disciplina dell’art. 54 della legge n. 247 del 2012 ha natura processuale ed è dunque applicabile ai procedimenti già pendenti al momento dell’instaurazione dell’incolpazione. Tale norma ha “fortemente attenuato il regime della pregiudizialità penale”. Attualmente, vige il principio dell’autonomia delle valutazioni: il procedimento disciplinare “si svolge ed è definito con procedura e con valutazioni autonome rispetto al processo penale relativo agli stessi fatti”.

La sospensione del procedimento disciplinare è oggi una facoltà eccezionale e non più un obbligo automatico: essa può essere disposta dal giudice solo se ritenuta “indispensabile acquisire atti e notizie appartenenti al processo penale”. Nel caso in esame, la Corte ha rilevato che non sussistevano ragioni di indispensabilità e che il mancato esame di una questione puramente processuale da parte del CNF non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia ex art. 112 c.p.c., riferibile esclusivamente alle domande di merito.

Il dies a quo della prescrizione disciplinare

La questione centrale dell’ordinanza attiene alla decorrenza dei termini prescrizionali per illeciti commessi sotto il vigore della vecchia legge professionale. Il ricorrente sosteneva che il quinquennio previsto dal R.D.L. 1578/1933 fosse decorso dal momento della consumazione dei reati (giugno 2012). Le Sezioni Unite, conformandosi a un orientamento consolidato, hanno chiarito che sebbene la nuova legge n. 247/2012 preveda un termine massimo di sette anni e sei mesi, tale disciplina non opera retroattivamente per illeciti realizzati prima della sua entrata in vigore.

Tuttavia, la previgente normativa (applicabile nel caso di specie) stabilisce che quando l’illecito dipende da un reato per il quale è stata iniziata l’azione penale, l’azione disciplinare ha natura obbligatoria. Ne consegue che la prescrizione “decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale”. Poiché nel caso di specie la condanna penale era divenuta definitiva il 13 ottobre 2020 e la decisione del CDD era intervenuta pochi mesi dopo (febbraio 2021), il termine non era affatto spirato. Il periodo che va dalla commissione dell’illecito alla definitività della condanna rimane infatti del tutto irrilevante ai fini della prescrizione.

Conclusioni

Con l’ordinanza n. 33569/2025, le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso, confermando la piena legittimità della sanzione. La decisione blinda il principio del “doppio binario” e la tutela del prestigio della classe forense, impedendo che professionisti coinvolti in gravi vicende associative possano sfuggire al controllo deontologico attraverso una lettura atomistica dei termini prescrizionali. Il rigetto del ricorso ha comportato, per il ricorrente, l’obbligo del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002. Infine, la Corte ha disposto l’omissione delle generalità del ricorrente in caso di diffusione del provvedimento su riviste giuridiche, in osservanza delle norme sulla protezione dei dati personali.

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