Con la sentenza n. 18077 del 15 settembre 2015, le sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno chiarito che la pretesa punitiva esercitata dal Consiglio dell’Ordine forense in relazione agli illeciti disciplinari commessi dagli avvocati ha natura di diritto soggettivo potestativo e, di conseguenza, è soggetta al termine di prescrizione quinquennale.
Nel caso di specie, il Consiglio Nazionale Forense aveva confermato la decisione di un Consiglio dell’ordine di applicazione della sanzione disciplinare della sospensione per quattro mesi. L’avvocato sanzionato ricorreva tuttavia in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento della prescrizione: come risultava anche dalla sentenza impugnata, l’azione disciplinare innanzi al COA era infatti iniziata il 12.3.07 e la decisione depositata il 24.9.12 (oltre 5 anni dopo). Pertanto, giacchè la prescrizione applicabile al caso di specie è quella quinquennale ex art. 51 vr.d.l. 1578/33, la stessa doveva ritenersi compiuta.
Le Sezioni Unite, in primo luogo, hanno ribadito che la pretesa punitiva esercitata dal Consiglio dell’Ordine forense in relazione agli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo che, sebbene di natura pubblicistica, resta soggetto a prescrizione: deve infatti escludersi che il termine di cui all’art. 51 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 possa intendersi come un termine di decadenza, insuscettibile di interruzione o di sospensione.
Secondo la Suprema Corte, la previsione, da parte del citato art. 51 di un termine quinquennale di prescrizione, nel delimitare nel tempo l’inizio dell’azione disciplinare, “vale anche ad assicurare il rispetto dell’esigenza che il tempo dell’irrogabilità della sanzione non venga protratto in modo indefinito”: al procedimento amministrativo di inflizione della sanzione deve infatti applicarsi non già la regola dell’effetto interruttivo permanente della prescrizione sancito dall’art. 2945, 2 co., c.c., bensì quello dell’interruzione ad effetto istantaneo di cui al precedente art. 2943 c.c., con la conseguente “idoneità interruttiva anche dei successivi atti compiuti dal titolare dell’azione disciplinare in pendenza del relativo procedimento“.
Ebbene, nel caso in questione, non risulta che nell’arco temporale compreso tra l’inizio del procedimento (12.3.07) ed il deposito della decisione del COA (24.9.12) ovvero della sua notifica (22.10.12) sia intervenuto alcun atto interruttivo. Sul punto, la Cassazione ha altresì chiarito che codesto effetto interruttivo non si verifica alla data in cui la decisione è stata assunta, bensì da quella in cui è stata pubblicata poiché “è solo da tale data che la decisione viene giuridicamente in esistenza, […] divenendo in tal modo conoscibile dai destinatari“.
In conclusione, ritenendo decorso il termine di prescrizione quinquennale, le Sezioni Unite hanno pertanto accolto il ricorso dell’avvocato, cassando la sentenza impugnata e contestualmente annullando il provvedimento disciplinare della sospensione per quattro mesi dalla attività professionale inflitto dal COA.
(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 18077 del 15 settembre 2015)