
La questione trattata trae spunto dalla notifica di un’ordinanza ingiunzione da parte dell’INPS, avente ad oggetto l’irrogazione della sanzione amministrativa di Euro 20.000,00 per la violazione dell’art. 2, comma 1-bis, del D.L. 463/1983, convertito con modificazioni dalla L. 638/1983, relativa all’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali relative all’anno 2011.
Sul punto, costituisce approdo giurisprudenziale ormai consolidato quello secondo cui all’illecito dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali si applica il termine di decadenza previsto dall’art. 14 della L. 689/1981, con la conseguenza che, in caso di omessa contestazione della violazione entro il termine di novanta giorni, l’Ente Previdenziale decade dall’esercizio della potestà sanzionatoria (indi la nullità degli eventuali atti di contestazione degli illeciti notificati).
Una questione ancora aperta, tuttavia, riguarda le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, per le quali l’art. 9 del D.lgs. 8/2016 detta una specifica disciplina in ordine alle le modalità operative con cui viene raccordato il passaggio degli atti dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa (competente a seguito della depenalizzazione ad effettuare le contestazioni delle violazioni), stante il cambio del tipo di rilevanza giuridica (da penale ad amministrativa) attribuito agli illeciti in questione.
L’ultima parola spetta adesso alla Cassazione, chiamata a pronunciarsi, a seguito di ricorso proposto dall’Ente Previdenziale, sulla natura decadenziale, o meno, del termine per la contestazione dell’illecito anche per le violazioni commesse anteriormente alla depenalizzazione.
Normativa di riferimento
Art. 2, comma 1-bis D.L. 463/1983 “L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.
Art. 14 legge 689/1981 “La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.
Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento.
Quando gli atti relativi alla violazione sono trasmessi all’autorità competente con provvedimento dell’autorità giudiziaria, i termini di cui al comma precedente decorrono dalla data della ricezione.
Per la forma della contestazione immediata o della notificazione si applicano le disposizioni previste dalle leggi vigenti. In ogni caso la notificazione può essere effettuata, con le modalità previste dal codice di procedura civile, anche da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione. Quando la notificazione non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, si osservano le modalità previste dall’ articolo 137, terzo comma, del medesimo codice.
Per i residenti all’estero, qualora la residenza, la dimora o il domicilio non siano noti, la notifica non è obbligatoria e resta salva la facoltà del pagamento in misura ridotta sino alla scadenza del termine previsto nel secondo comma dell’articolo 22 per il giudizio di opposizione.
L’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto”.
Art. 6 D.lgs. 8/2016 “Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689”.
Art. 9 D.lgs. 8/2016 “Nei casi previsti dall’articolo 8, comma 1, l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data.
Se l’azione penale non è stata ancora esercitata, la trasmissione degli atti è disposta direttamente dal pubblico ministero che, in caso di procedimento già iscritto, annota la trasmissione nel registro delle notizie di reato. Se il reato risulta estinto per qualsiasi causa, il pubblico ministero richiede l’archiviazione a norma del codice di procedura penale; la richiesta ed il decreto del giudice che la accoglie possono avere ad oggetto anche elenchi cumulativi di procedimenti.
Se l’azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale, sentenza inappellabile perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti a norma del comma 1. Quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
L’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosettanta giorni dalla ricezione degli atti.
Entro sessanta giorni dalla notificazione degli estremi della violazione l’interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta, pari alla metà della sanzione, oltre alle spese del procedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Il pagamento determina l’estinzione del procedimento”.
L’omesso versamento delle ritenute previdenziali
Com’è noto, il datore di lavoro deve operare le ritenute previdenziali ed assistenziali sulla retribuzione spettante ai lavoratori dipendenti, costituenti parte integrante della retribuzione stessa.
Il datore di lavoro, infatti, è gravato sia dall’obbligo di retribuire i propri dipendenti, che di versare i relativi contributi previdenziali ed assistenziali, una quota dei quali è trattenuta direttamente dalla retribuzione spettante agli stessi.
Al momento della corresponsione della retribuzione egli è altresì tenuto ad accantonare le somme necessarie al fine di poter adempiere al predetto obbligo contributivo; e ciò anche se questo dovesse comportare l’impossibilità di pagare gli stipendi nel loro intero ammontare.
Orbene, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali, fattispecie originariamente sanzionata penalmente, nel 2016 è stata oggetto di parziale depenalizzazione da parte del legislatore, che, con il D.lgs. 8/2016 (c.d. per l’appunto “legge di depenalizzazione”), ha modificato l’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, prevedendo che, se l’omesso versamento delle ritenute non dovesse essere superiore a euro 10.000,00 annui, dovrà essere irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra euro 10.000,00 ed euro 50.000,00, mentre, se l’omessa contribuzione dovesse superare la predetta soglia, la fattispecie continuerà ad assumere rilevanza penale, essendo prevista in tale ipotesi la reclusione fino a tre anni e una multa fino ad euro 1.032,00.
Peraltro, con riferimento alla sola ipotesi in cui l’omessa contribuzione dovesse essere inferiore ad euro 10.000,00 e dunque la violazione dovesse avere rilevanza dal punto di vista amministrativo, la sopra richiamata disposizione fa espressamente salva la possibilità per il datore di lavoro di provvedere al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
Qualora il datore di lavoro dovesse provvedere al versamento entro il suddetto termine dalla contestazione, infatti, non sarà né punibile, né assoggettabile all’irrogazione della relativa sanzione amministrativa.
Il paradosso generato dalla sopra richiamata disposizione (che per tale ragione è stata oggetto di modifica da parte del legislatore, per quanto di seguito si dirà) era che, anche a fronte di un’omessa contribuzione per un importo minimo (persino poche centinaia di euro), la sanzione amministrativa irrogata non avrebbe potuto essere inferiore ad euro 10.000,00.
Tale situazione determinava non solo la manifesta sproporzionalità ed irragionevolezza della sanzione con riferimento alle ipotesi in cui l’omessa contribuzione contestata fosse stata esigua, ma anche un’irragionevole disparità di trattamento conseguente all’impossibilità di graduare in modo equo la sanzione in relazione alla diversa gravità della violazione.
Ed infatti, come rilevato dal Tribunale di Verbania con ordinanza del 13 ottobre 2022, con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 6, D.lgs. 8/2016 (che ha sostituito l’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, convertito con modificazioni dalla legge 638/1983) in riferimento all’art. 3 della Costituzione, “nella fissazione di un minimo e di un massimo della sanzione amministrativa tra euro 10.000 ed euro 50.000, il legislatore avrebbe determinato un’irragionevole disparità di trattamento per i trasgressori per omessi versamenti contributivi sotto la soglia di rilevanza penale di euro 10.000 che, pur violando con diversa gravità il precetto normativo, non vedrebbero la determinazione della sanzione graduata in relazione alla diversa gravità.
La norma censurata consentirebbe, infatti, in caso di violazione del precetto normativo nel suo massimo valore sotto soglia, l’applicazione di una sanzione amministrativa che, nella previsione massima pari ad euro 50.000, rappresenta il quintuplo della violazione, mentre al trasgressore, per una minima omissione, sarebbe irrogata una sanzione di importo che potrebbe essere anche il centuplo della violazione, ossia della ritenuta non versata” (cfr. Tribunale di Verbania, ordinanza del 13 ottobre 2022).
A seguire, per le medesime ragioni, sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale per il possibile contrasto con l’art. 3 della Costituzione anche da altri giudici di merito, tra cui ad esempio dal Tribunale di Brescia (con ordinanza del 16 febbraio 2023).
Tale circostanza, verosimilmente unitamente anche all’elevato numero di ricorsi avverso gli avvisi di addebito notificati dall’INPS, ha indotto il legislatore ad intervenire sulla questione, modificando la sopra richiamata diposizione. E ciò prima ancora che intervenisse una pronuncia da parte della Corte Costituzionale in ordine alla questione di legittimità sollevata dai Giudici di Merito cui si è fatto riferimento sopra.
L’art. 23 del D.L. 48/2023 (rubricato “Modifiche alla disciplina delle sanzioni amministrative in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali”), infatti, ha modificato l’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, rideterminando i limiti minimi e massimi della sanzione amministrativa che deve essere irrogata in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali (ovviamente sempre inferiori ad euro 10.000), prevedendo che deve essere irrogata una sanzione che va “da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso”.
Il secondo comma del suddetto art. 23 del D.L. 48/2023 ha altresì aggiunto che “per le violazioni riferite agli omessi versamenti delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai sensi dell’articolo 2, comma 1-bis, del citato decreto-legge n. 463 del 1983, come modificato dal comma 1 del presente articolo, per i periodi dal 1° gennaio 2023, gli estremi della violazione devono essere notificati, in deroga all’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto di violazione” (norma di fondamentale rilievo per quanto concerne la questione relativa al termine di decadenza per la contestazione della violazione, che verrà affrontata nei paragrafi successivi).
In conseguenza del predetto intervento normativo, la Corte Costituzionale, investita delle questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Verbania e dal Tribunale di Brescia di cui si è detto sopra, con ordinanza n. 199/2023, ha ritenuto le stesse ammissibili, ma, considerato che “nei giudizi a quibus, aventi tutti ad oggetto omissioni di lieve entità, l’art. 23 del D.L. n. 48 del 2023, come convertito, può trovare applicazione retroattiva per l’effetto favorevole che da esso deriva rispetto al pregresso regime sanzionatorio; e che tale ius superveniens, ponendosi nella stessa direzione delle ordinanze di rimessione, ha inciso sulla disposizione censurata apportando una significativa modifica della dosimetria sanzionatoria in termini proporzionali” (cfr. Corte Costituzionale, 03 novembre 2023, n. 199), ha disposto la restituzione degli atti ai Tribunali rimettenti per una nuova valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità sollevate, in relazione all’incidenza della modifica normativa sopravvenuta.
Termine per la contestazione della violazione
Per quanto concerne il termine entro cui deve avvenire la contestazione della violazione de quo, nonostante l’INPS avesse provato a sostenere interpretativamente l’esclusione dell’applicazione del termine di decadenza previsto dall’art. 14 della legge 689/1981 all’illecito dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali, in virtù del carattere doppiamente rafforzato di specialità del procedimento e della sanzione previsti dall’art. 3, comma 6, D.lgs. 8/2016, invero, tale circostanza è ormai pacifica, quantomeno con riferimento agli illeciti commessi posteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, e dunque a far data dal 06 febbraio 2016.
In particolare, l’art. 14 L. 689/1981, che disciplina in generale il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative, prevede che, quando possibile, la violazione deve essere contestata immediatamente al trasgressore. Invece, qualora non fosse possibile la contestazione immediata, gli estremi della violazione devono essere notificati al trasgressore entro il termine di 90 giorni dall’accertamento. Il tutto a pena di decadenza.
Il quinto comma della summenzionata disposizione, infatti, prevede che “l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto”.
Orbene, l’applicazione del predetto termine di decadenza per la contestazione della violazione anche con riferimento all’illecito dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali si ricava dal richiamo all’art. 14 L. 689/1981 contenuto all’interno dell’art. 6 D.lgs. 8/2016.
Tale disposizione, infatti, prevede che al procedimento per l’irrogazione delle sanzioni amministrative contemplate dalla legge di depenalizzazione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 689/1981; tra le quali rientra per l’appunto il sopra citato art. 14.
Invero, costituisce ormai ius receptum in Giurisprudenza il principio secondo cui “in assenza di tempestiva notifica dell’atto di accertamento, avente la duplice valenza interruttiva sia del termine di decadenza di cui all’art. 14 L. 689/1981 sia del termine prescrizionale di cui all’art. 28 L. 689/1981, l’ordinanza ingiunzione deve essere annullata in quanto il diritto di riscuotere la sanzione amministrativa da parte dell’INPS si era già estinto” (cfr. Tribunale di Arezzo, Sez. Lav., 03.08.2022 n. 166/2022).
Nello stesso senso si è espressa in maniera pressoché unanime anche la restante parte della Giurisprudenza di Merito (cfr. ex multis Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, 26.01.2024 n. 456 e 03.03.2023 n. 904; e Tribunale di Arezzo, Sezione Lavoro, 03.08.2022, n. 166).
Peraltro, l’applicabilità agli illeciti in esame dell’art. 14 della Legge 689/1981 (e del termine di decadenza dallo stesso contemplato), oltre ad essere stata confermata dalla Giurisprudenza, trova riscontro innanzitutto anche dal contenuto della Circolare INPS n. 32 del 25/02/2022, che recita: “In particolare, il provvedimento di archiviazione può essere adottato in presenza delle seguenti circostanze: omissione della contestazione o della notificazione delle violazioni a uno o più soggetti responsabili entro i termini indicati dall’articolo 14 della legge n. 689/1981; – decorso del termine di prescrizione di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione (cfr. l’articolo 28 della legge n. 89/1981)”.
Va da sé, pertanto, che l’applicabilità del termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 della Legge 689/1981 agli illeciti depenalizzati dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali è sempre stata pacifica in primis proprio per l’Ente Previdenziale (nonostante nei relativi giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione pretenda invece di asserire il contrario).
Ma vi è di più.
Con l’entrata in vigore del D.L. 48/2023 (rubricato “Modifiche alla disciplina delle sanzioni amministrative in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali”), è stato il legislatore stesso, dopo aver previsto al primo comma la rideterminazione delle sanzioni “da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso”, a precisare che “per le violazioni riferite agli omessi versamenti delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai sensi dell’articolo 2, comma 1-bis, del citato decreto-legge n. 463 del 1983, come modificato dal comma 1 del presente articolo, per i periodi dal 1° gennaio 2023, gli estremi della violazione devono essere notificati, in deroga all’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto di violazione”.
Da ciò, pertanto, a contrario, si ricava che alle violazioni commesse anteriormente al 1° gennaio 2023 si applica il termine di decadenza di 90 giorni previsto dall’art. 14 L. 689/1981, siccome richiamato dall’art. 6 D.lgs. 8/2016.
Per quanto concerne invece la decorrenza del predetto termine di decadenza, l’art. 14 L. 689/1981 prevede testualmente che lo stesso decorra dalla data dell’accertamento dell’illecito.
Sul punto, tuttavia, è più volte intervenuta la Suprema Corte, chiarendo che “l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il fatto nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita, sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione” (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 29 ottobre 2019, n. 27702).
Peraltro, è stato altresì chiarito che, in caso di contrasto, spetta al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere ad una completa conoscenza dell’illecito, individuando così il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per la contestazione dello stesso.
Ciò premesso, con specifico riferimento all’omesso versamento delle ritenute previdenziali, la Giurisprudenza è pressoché pacifica nel ritenere che la verifica da parte dell’Ente circa l’omissione contributiva da parte del datore di lavoro è immediatamente rilevabile dall’Istituto già al momento della scadenza del termine per il versamento dei contributi omessi, trattandosi di omissioni contributive alla scadenza.
La verifica dell’omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali effettuate sulle retribuzioni dei dipendenti, infatti, si risolve in un mero raffronto tra quanto dovuto dal datore di lavoro, sulla base dei flussi Dmag/Uniemens (da inviarsi telematicamente entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di competenza), e quanto effettivamente dallo stesso versato in relazione alle singole mensilità.
Va da sé, pertanto, che il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per la contestazione della violazione non può che essere individuato nel giorno successivo a quello della scadenza per il versamento dei contributi omessi.
Violazioni commesse anteriormente alla depenalizzazione
Come già accennato in premessa, una questione ancora aperta riguarda le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione.
Per tali illeciti, l’art. 9 del D.lgs. 8/2016 detta una specifica disciplina in ordine alle le modalità operative con cui viene raccordato il passaggio degli atti dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa (competente a seguito della depenalizzazione ad effettuare le contestazioni delle violazioni), stante il cambio del tipo di rilevanza giuridica (da penale ad amministrativa) attribuito agli illeciti in questione.
In particolare, nel disciplinare termini e modalità per il trasferimento degli atti dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa, la sopra richiamata disposizione individua un primo termine di 90 giorni entro il quale l’autorità giudiziaria deve trasmettere gli atti a quella amministrativa, ed un ulteriore termine di 90 giorni (identico a quello previsto dall’art. 14 legge 689/1981) entro cui l’autorità amministrativa, nella specie l’INPS, deve procedere alla notifica delle contestazioni.
Orbene, secondo l’interpretazione offerta dall’Ente Previdenziale, la disciplina transitoria contenuta all’interno dell’art. 9 D.lgs. 8/2016 si sovrappone, ricalcandole quasi integralmente, alle previsioni contenute nel citato art. 14 L. 689/1981.
L’unica differenza, tuttavia, è rappresentata dal mancato richiamo, da parte dell’art. 9 D.lgs. 8/2016, della previsione dell’estinzione dell’obbligazione di pagamento della somma dovuta quale conseguenza dell’inosservanza del termine fissato per la notificazione degli estremi della violazione, indi della natura decadenziale del termine per la contestazione della violazione.
Conseguentemente, sempre secondo l’interpretazione offerta dall’INPS, con riferimento alle violazioni poste in essere anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, dal superiore mancato richiamo alla natura decadenziale del termine per la contestazione delle violazioni è possibile desumere che il legislatore abbia ha inteso espressamente escludere che dalla mancata osservanza dello stesso possa scaturire, quale effetto automatico e ineludibile, l’estinzione dell’obbligazione.
Indi, il termine (sempre di 90 giorni) contemplato dall’art. 9 D.lgs. 8/2016 entro cui l’autorità amministrativa deve notificare gli estremi della violazione agli interessati non può essere considerato avente natura decadenziale, ma meramente ordinatorio.
E ciò, anche in ragione del fatto che, essendo le norme sulla decadenza (tra le quali non può che rientrare anche l’art. 14 L. 689/1981) di stretta interpretazione, non potrebbe ritenersi in alcun modo ammissibile, neppure attraverso un’esegesi estensiva e/o logico-sistematica, un’operazione ermeneutica volta ad ampliarne l’ambito di operatività.
Orbene, a parere dello scrivente, la superiore interpretazione non può assolutamente ritenersi condivisibile, con la conseguenza che anche al termine previsto dalla disciplina transitoria per la contestazione degli illeciti commessi anteriormente alla depenalizzazione deve essere riconosciuta natura di termine decadenziale.
Ed infatti, la specificazione in ordine alla natura decadenziale del termine di 90 giorni previsto dall’art. 9 del D.lgs. 8/2016 non era necessaria in quanto già coperta dal richiamo all’art. 14 L. 689/1981 operato dal citato art. 6 D.lgs. 8/2016; norma di carattere generale riferita indistintamente a tutti gli illeciti oggetto della depenalizzazione.
Peraltro, ragionando diversamente (ovvero nei termini prospettati dall’INPS) si creerebbe una illegittima ed ingiustificata disparità di trattamento tra le violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione (che sarebbero soggette allo stringente termine di contestazione di 90 giorni, pena l’estinzione dell’obbligazione), e gli illeciti commessi anteriormente (che, in quanto svincolati dalla previsione di un termine decadenziale di contestazione, sarebbero soggetti unicamente al termine prescrizionale quinquennale previsto in generale per le sanzioni amministrative dall’art. 28 L. 689/1981).
Per di più, non considerare decadenziale anche il termine previsto per la contestazione degli illeciti commessi anteriormente alla depenalizzazione significherebbe lasciare il cittadino in balìa dell’arbitrio della Pubblica Amministrazione, che potrebbe così procedere alla notifica dell’atto di contestazione anche a distanza di diversi anni dalla commissione dell’illecito.
Il tutto in manifesto contrasto con il principio di ragionevolezza, e con la necessità di garantire il rispetto dell’esigenza di certezza del cittadino, nella specifica accezione di prevedibilità temporale delle conseguenze derivanti dall’esercizio dei pubblici poteri.
L’orientamento ad oggi maggioritario in Giurisprudenza
Orbene, con riferimento alla questione affrontata nel paragrafo precedente, le argomentazioni esposte dallo scrivente sono state fatte proprie dalla Corte d’Appello di Catania che, con la sentenza n. 1012/2024 pubblicata in data 22 novembre 2024, ha rigettato l’appello proposto dall’INPS, affermando che non sussistono ragioni per cui il richiamo all’art. 14 L. 689/1981 operato dall’art. 6 D.lgs. 8/2016 non debba ritenersi riferito anche agli illeciti commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, e dunque al termine di 90 giorni previsto dalla disciplina transitoria introdotta dall’art. 9 D.lgs. 8/2016.
Con la conseguenza che anche tale termine deve essere considerato di natura decadenziale.
In particolare, il Giudice d’Appello ha chiarito che “contrariamente a quanto sostenuto dall’Inps, non vi sono ragioni per ritenere “inapplicabile” l’art. 14, inserito nella II sezione del capo I della legge 689/1981 e quindi espressamente richiamato dall’art. 6 cit., atteso che l’art. 9 d.lgs. 8/2016 detta un’identica disciplina dei termini di notificazione della contestazione, fissando quale dies a quo della loro decorrenza quello della “ricezione degli atti” trasmessi dall’autorità giudiziaria a seguito della sopravvenuta depenalizzazione dell’illecito già commesso e non prevede una deroga espressa alla sanzione della decadenza di cui alla norma generale.
Le due disposizioni normative, art. 14 legge 689/1981 e art. 9 comma 4 d.lgs. 8/2016, sono tra loro pienamente compatibili e si pongono in relazione di complementarità, per cui la norma generale integra quella speciale, laddove quest’ultima nulla dispone in ordine alle conseguenze del mancato rispetto dei termini di contestazione delle infrazioni. Ricostruito in questi termini il rapporto tra le due disposizioni normative, in virtù del richiamo espresso di cui all’art. 6 cit., ne consegue che deve ritenersi infondata l’allegata violazione del divieto di interpretazione analogica della previsione di decadenza” (cfr. Corte d’Appello di Catania, Sezione Lavoro, 22 novembre 2024 n. 1012).
Si legge ulteriormente nella sentenza, “tale interpretazione trova poi conferma anche nei principi generali dell’ordinamento e in particolare nel principio di ragionevolezza, che è immanente nell’ordinamento giudiziario (declinato anche nei principi costituzionali di ragionevole durata del procedimento e diritto di difesa), non potendo ammettersi che il datore di lavoro rimanga assoggettato sine die all’eventualità della contestazione che dà inizio al procedimento per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità amministrativa, anche tenuto conto che il dies a quo del termine di prescrizione dell’illecito, nel caso di fatti già sanzionati penalmente e successivamente depenalizzati, non coincide con quello in cui la violazione è stata commessa, bensì con quello nel quale gli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria pervengono alla competente autorità amministrativa (cfr. Cass. sentenze n. 19897/2018 e n. 2526/2023)” (cfr. Corte d’Appello di Catania, Sezione Lavoro, 22 novembre 2024 n. 1012).
Nella sopra richiamata sentenza la Corte d’Appello ha richiamato un’interpretazione che, sebbene non univoca (essendosi registrati orientamenti anche di senso contrario), risulta condivisa da quello che attualmente costituisce l’orientamento maggioritario nella Giurisprudenza di Merito, essendosi pronunciati nello stesso senso anche altre Corti Territoriali, tra cui Corte d’Appello di Torino n.89/2023 e 188/2024; Corte d’Appello di Genova n. 215/2023; e Corte d’Appello di Salerno n. 530/2023.
Tuttavia, appare invero doveroso segnalare che la superiore sentenza d’appello è stata oggetto di impugnazione da parte dell’INPS, sicché la questione è attualmente sub-iudice innanzi alla Suprema Corte.
L’ultima parola in ordine alla natura decadenziale, o meno, del termine per la contestazione delle violazioni afferenti all’omesso versamento delle ritenute previdenziali commesse anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, pertanto, spetta adesso alla Cassazione.
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