L’azione di risoluzione e condanna al risarcimento integrale dei danni ex art. 1453 c.c. e l’azione di recesso per la restituzione del doppio della caparra ex art. 1385 c.c. sono tra loro alternative e non cumulabili.
Tuttavia, se nella domanda introduttiva sono richieste entrambe, il giudice dovrà scegliere la domanda da esaminare in via prioritaria, potendo quindi limitare l’oggetto del giudizio alla “prima” domanda ritenuta fondata.
Incorrerà pertanto in un vizio di “ultra” o “extra” petizione ex art. 112 c.p.c. il giudice che, rilevato il cumulo tra le due azioni, abbia ritenuto semplicemente assorbita o recessiva la domanda di condanna alla restituzione del doppio della caparra ex art. 1385 c.c. in quella di risoluzione del contratto, senza assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame.
Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 8343 del 31 marzo 2017.
Il caso in esame: azione di risoluzione e recesso nella stessa domanda introduttiva
Nel caso di specie, il ricorrente aveva richiesto con la stessa domanda introduttiva oltre alla risoluzione giudiziale del contratto per grave inadempimento anche la restituzione del doppio della caparra ex art. 1385 c.p.c. e dunque, implicitamente, l’esercizio del diritto potestativo di recesso.
La Corte d’appello annullava la decisione di prime cure, fondando la ratio decidendi esclusivamente sulla autonomia delle due azioni dirette allo scioglimento del contratto e delle due azioni dirette alla condanna risarcitoria[1].
In particolare il Giudice d’appello aveva assunto che domanda di risoluzione e condanna al risarcimento integrale dei danni ex art. 1453 c.c., e domanda dichiarativa della legittimità del recesso legale ex art. 1385 c.c., comma 2, sono tra loro alternative, in quanto entrambe dirette a determinare lo scioglimento del vincolo contrattuale, ma fondate su “causa petendi” e “petitum” diversi.
La relazione di “alternatività assoluta” tra risoluzione e recesso
La Suprema Corte ha in primo luogo ribadito l’autonomia tra l’azione di risoluzione e quella di recesso.
Come chiarito, l’azione di risoluzione ha infatti natura costitutiva mentre l’altra ha natura dichiarativa.
Inoltre i fatti costitutivi della domanda di ritenzione (incameramento della caparra) ovvero di condanna al pagamento del doppio della caparra e quelli della domanda di condanna al risarcimento integrale del danno, sono diversi.
Invero, la prima azione trova fondamento nel colpevole inadempimento delle obbligazioni ex contractu, mentre, la seconda, oltre al colpevole inadempimento richiede anche la prova delle conseguenze pregiudizievoli derivate dall’inadempimento.
Tuttavia, secondo la Suprema Corte sebbene le predette azioni debbano ritenersi differenti strutturalmente e funzionalmente e dunque non cumulabili, nulla impedisce che siano formulate contestualmente nel medesimo atto introduttivo del giudizio se poste in relazione di “alternatività assoluta”.
In tal caso, sarà rimessa al giudicante la scelta della domanda da esaminare in via prioritaria, potendo egli limitare l’oggetto del giudizio alla “prima” domanda ritenuta fondata.
Una scelta che precluderebbe l’impugnazione rivolta a far valere la omessa pronuncia anche sull’altra domanda, ove in ipotesi idonea a far conseguire un bene maggiore all’attore – ovvero in relazione di “subordinazione condizionata” al mancato accoglimento della domanda che è stata indicata come prioritaria dallo stesso attore.
Il mero assorbimento dell’azione di recesso in quella di risoluzione è pronuncia extra petita
Come noto, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato[2].
Ebbene, secondo la Corte di legittimità, proprio in tale errore è incorsa la Corte d’appello nello statuire che, rilevata la contemporanea richiesta di risoluzione e restituzione del doppio della caparra, l’unica domanda proposta fosse quella di risoluzione ex art. 1453 c.c., dal momento che la domanda di condanna ex art. 1385 c.c., comma 3, doveva intendersi recessiva e di conseguenza assorbita.
La Corte territoriale si è infatti limitata alla pronuncia di una soltanto delle due domande originariamente proposte, omettendo di considerare che anche la domanda di accertamento del recesso doveva intendersi implicitamente formulata in citazione con la richiesta di condanna al pagamento del doppio della caparra ex art. 1385 c.c., che presupponeva l’accertamento ai sensi dell’art. 1455 c.c. del grave inadempimento di controparte in quanto fatto costitutivo (anche) del diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c.[3].
In particolare, alla stregua del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c., la Corte territoriale avrebbe dunque dovuto assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti.
Alla luce di quanto affermato, la Corte di legittimità cassava quindi la sentenza in relazione al motivo accolto, rinviando alla Corte di appello in diversa composizione.
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[1] Distinzione conforme ai principi espressi in materia da Cass. SS. UU. n. 553 del 14/01/2009
[2] cfr. Corte Cass. Sez U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 896 del 17/01/2014; id. Sez. 3, sentenza n. 21397 del 10/10/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 21421 del 10/10/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 16164 del 30/07/2015
[3] Conformemente a quanto statuito da Cass. SS. UU n. 553/2009 secondo cui le due azioni di risoluzione e di accertamento della legittimità del recesso, quali rimedi rispettivamente giudiziale e stragiudiziale entrambi diretti al conseguimento dello scioglimento del contratto, presentano identità della “causa petendi“, postulando entrambi i rimedi l’esistenza di un inadempimento gravemente colpevole, di un inadempimento cioè imputabile (ex art. 1218 c.c. e art. 1256 c.c.) e di non scarsa importanza (ex art. 1455 c.c.), ed essendo stata specificamente introdotta, nel caso in esame, con l’atto di citazione anche la questione inerente l’effetto risolutivo del contratto determinato a seguito dell’esercizio del diritto potestativo di recesso.