Riscossione contributi Cassa Forense, Sezioni Unite: riforme 2012-2014 compatibili con l’art. 6 CEDU

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza n. 31908/2025, si sono pronunciate sulla compatibilità tra le riforme intervenute nella riscossione coattiva mediante ruolo (in particolare, le leggi n. 228/2012 e n. 190/2014) e i principi del “giusto processo” sanciti dall’art. 6 CEDU. La questione, rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria n. 24043/2024 (della quale avevamo parlato qui), era emersa all’interno di un contenzioso tra la Cassa Forense e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, nel quale l’ente previdenziale lamentava che le modifiche normative sopravvenute avessero inciso sulle regole del giudizio in corso, alterando l’equilibrio processuale e precludendo la possibilità di ottenere tutela rispetto alla presunta mala gestio dell’esattore.

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I fatti di causa

Come anticipato, alla vicenda oggetto della decisione delle Sezioni Unite avevamo già dedicato un approfondito commento che puoi leggere cliccando qui. Tuttavia, per meglio comprendere l’esito della sentenza, ricapitoliamo insieme i fatti di causa.

La vicenda ha origine nel 2010, quando la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense otteneva un decreto ingiuntivo per circa 22,8 milioni di euro, corrispondenti a contributi iscritti a ruolo dal 1996 al 2008 e solo parzialmente riscossi dall’allora concessionario Equitalia Polis. Quest’ultima proponeva opposizione e, nel corso del giudizio, subentrava prima Equitalia Sud e poi l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, in seguito alla riorganizzazione del sistema nazionale di riscossione.

Il Tribunale rigettava l’opposizione, ma la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 2020, accoglieva l’appello dell’esattore, revocando il decreto ingiuntivo. Secondo il giudice di secondo grado, la disciplina sopravvenuta – in particolare l’art. 1, commi 527-529, l. 228/2012 per i ruoli fino al 1999 e l’art. 1, commi 682-684, l. 190/2014 per quelli successivi – conduceva al discarico automatico e alla caducazione degli effetti delle precedenti decadenze, escludendo quindi la responsabilità dell’agente.

La Cassa Forense presentava ricorso in Cassazione articolato in sette motivi, focalizzando parte delle censure sulla violazione degli artt. 6 CEDU e 117 Cost. per avere il legislatore inciso retroattivamente su giudizi pendenti, in cui la controparte è un ente pubblico. La Prima Sezione Civile, con ordinanza interlocutoria n. 24043/2024, rimetteva la questione alle Sezioni Unite per verificare se l’intero quadro normativo fosse compatibile con i principi del giusto processo.

Il perimetro del giudizio di legittimità: tra retroattività legislativa e art. 6 CEDU

Nella ricostruzione delle Sezioni Unite, l’art. 6 CEDU rileva quando l’intervento normativo sopravvenuto incide sui giudizi in corso in modo tale da alterare la parità delle parti o interferire indebitamente sull’esito del processo. La giurisprudenza della Corte Costituzionale, a tal proposito, ha chiarito che la retroattività legislativa non è di per sé incompatibile con la Convenzione, purché ricorrano motivi imperativi di interesse generale e non si determinino “vulnus” sproporzionati ai diritti delle parti.

Ciò impone di verificare:

  • se vi siano indizi di uso distorto della funzione legislativa;

  • se l’intervento normativo sia prevedibile e inserito in un percorso riformatore coerente;

  • se alle parti resti una “ragionevole possibilità di preservare le proprie ragioni”.

Nel caso concreto, la Cassa Forense sosteneva che le leggi del 2012 e del 2014 avessero annullato o svuotato gli obblighi dell’agente della riscossione, eliminando decadenze già maturate e precludendo la prova della mala gestio.

Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno rilevato che tale ricostruzione non cogliesse la natura e la funzione dell’intervento legislativo poiché tali interventi si collocavano in un’evoluzione normativa già da tempo in atto e non erano diretti a incidere sui giudizi pendenti.

La continuità del percorso riformatore e l’assenza di “sorprese legislative”

La Suprema Corte ha evidenziato come il sistema della riscossione tramite ruolo è stato oggetto, sin dal 1999, di un continuo processo di riforma, caratterizzato da proroghe, riassetti organizzativi e revisione dei meccanismi di discarico.

Il meccanismo stesso della proroga dei termini per la dichiarazione di inesigibilità, che la Cassa Forense riteneva avesse inciso sulle proprie aspettative, è stato introdotto già nel 2001 e reiterato quasi annualmente. Le Sezioni Unite hanno, quindi, sottolineato come:

  • le proroghe fossero già in essere al tempo della consegna dei ruoli;
  • la Cassa avesse agito giudizialmente solo nel 2010, quando la disciplina era già da anni in continua evoluzione;
  • non fossero rinvenibili elementi di imprevedibilità idonei a generare un affidamento tutelabile.

Anche la soppressione, operata nel 2014, dell’obbligo di comunicazione annuale dello stato delle procedure (art. 19, comma 2, lett. b, d.lgs. 112/1999) è stata ricondotta a un coerente riordino del sistema, in un contesto in cui la dilatazione dei termini di inesigibilità rendeva tale adempimento di fatto privo di utilità.

La riconsiderazione del quadro alla luce del petitum sostanziale

L’ente previdenziale, poi, come osservato dalle Sezioni Unite, non aveva attivato la procedura amministrativa di discarico prevista dall’art. 20 d.lgs. n. 112/1999, scegliendo di agire in giudizio con un’azione ordinaria di responsabilità contrattuale.

In questo tipo di giudizio, infatti, non rileva la disciplina del discarico o l’eliminazione di determinati obblighi informativi, ma resta l’onere di provare l’inadempimento qualificato dell’agente, il nesso causale e il danno. Da ciò deriva che le norme contestate non avevano alterato il quadro probatorio che governava la causa, né la possibilità per l’ente previdenziale di far valere le proprie ragioni in giudizio.

La Suprema Corte, così, ha messo in luce una sorta di “asimmetria argomentativa”: la Cassa Forense aveva dedotto la violazione dell’art. 6 CEDU come se avesse promosso la procedura speciale ex art. 20, pur avendo, in realtà, optato per la via “ordinaria”, che non risente delle modifiche procedurali introdotte nel 2012 e nel 2014.

Il vaglio di compatibilità con l’art. 6 CEDU

La Sezioni Unite, quindi, sulla base di tali premesse, hanno escluso che le leggi sopravvenute avessero inciso sul giudizio in misura tale da violare i principi del giusto processo. In particolare:

  • non vi è stato un intervento legislativo “mirato” a influenzare l’esito del giudizio, bensì l’ulteriore sviluppo di un percorso riformatore già in atto;
  • le modifiche non hanno alterato il quadro probatorio proprio dell’azione ordinaria intrapresa dalla Cassa;
  • alla parte creditrice restavano comunque strumenti alternativi (azione diretta verso i debitori), idonei a preservare il diritto sostanziale;
  • la disciplina sopravvenuta era sorretta da motivi imperativi di interesse generale, connessi alla razionalizzazione di un sistema nazionale di riscossione gravato da ingenti carichi arretrati.

Il preteso sbilanciamento processuale, dunque, non trova fondamento nel caso concreto, poiché l’esito della lite dipende non già dalle norme sopravvenute, ma dall’onere probatorio proprio dell’azione scelta dalla stessa Cassa Forense.

Conclusioni ed esito in sintesi

La Sezioni Unite hanno rigettato i motivi sesto e settimo del ricorso, quelli relativi alla violazione dell’art. 6 CEDU e del diritto UE, rimettendo la causa alla Prima Sezione Civile per l’esame degli altri profili e chiarendo definitivamente che:

“l’efficacia, sulle cause in corso, delle modifiche introdotte dalle leggi n. 228 del 2012 e n. 190 del 2014 al sistema di riscossione mediante ruolo dei contributi dovuti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense – segnatamente, alle regole di discarico per inesigibilità – non si pone in contrasto con i principi di cui all’art. 6, par. 1, CEDU (quale norma interposta in relazione al parametro di cui all’art. 117, primo comma, Cost.), tanto più in una fattispecie – quale quella giunta all’esame delle Sezioni unite – in cui la Cassa creditrice, senza seguire lo schema procedimentale di cui agli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999, aveva invocato con un ordinario ricorso monitorio il credito asseritamente derivante dal mancato incasso dei contributi da parte del concessionario, sub specie di risarcimento del danno da inadempimento, da parte di quest’ultimo, del relativo mandato”.

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