Presupposti e requisiti della rinuncia alla prelazione agraria

Con il patto di prelazione il promittente si obbliga a preferire il promissario rispetto ai terzi, a parità di condizioni, in caso intendesse concludere un determinato contratto[1]. Tale vincolo risulta meno intenso rispetto a quello derivante dal patto di opzione e dal contratto preliminare.

Alle parti, infatti, è lasciata la libertà di stipulare o meno il negozio, concernendo i limiti della prelazione esclusivamente la scelta del contraente. Il promittente deve consentire al prelazionario la possibilità di esercitare il proprio diritto, comunicando i propositi negoziali e le condizioni fissate oppure offerte da terzi soggetti (denuntiatio).

La prelazione, oltre che volontaria, potrebbe anche essere legale, assumendo funzione di tutela di interessi considerati prevalenti rispetto alla discrezionalità di scelta del contraente.

Quando stabilita dalla legge si caratterizza per la tutela riconosciuta al prelazionario, consistente nella possibilità di corrispondere il prezzo riportato nell’atto e divenire proprietario del bene (diritto di riscatto). Esempio di prelazione legale è quella prevista in materia di contratti agrari (art. 8, L. 590/1965)[2].

In tema di compravendita di fondi con destinazione agricola, la libertà del proprietario di scegliere i potenziali acquirenti subisce delle restrizioni dovute al diritto di prelazione riconosciuto a determinati soggetti (ad es. il coltivatore diretto confinante).

Questi vincoli sono stati ritenuti compatibili con la Costituzione, risultando tale scelta politica legislativa non irragionevole, in quanto finalizzata a riunire nella medesima persona la qualità di proprietario e di coltivatore del fondo, ovvero, nel caso del coltivatore confinante, agevolare lo sviluppo della proprietà coltivatrice mediante la riunione dei fondi confinanti[3].

La questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, legge n. 590 del 1965 e 7, legge n. 817 del 1971 in relazione all’art. 42, comma 3, Cost. è stata ritenuta manifestamente infondata, in quanto la limitazione attiene esclusivamente al momento del trasferimento e trova causa giustificativa in interessi aventi carattere generale[4].

Tipologie di rinuncia

L’avente titolo alla prelazione è libero di rinunciare (con o senza corrispettivo) trattandosi di diritto patrimoniale disponibile, suscettibile dunque di rinuncia (Cass. 28 luglio 1986, n. 4825; Cass. 4 giugno 1997, n. 4972).

La rinuncia può consistere innanzitutto nella non accettazione della proposta, dalla quale consegue la perdita di ogni beneficio riconosciuto, ivi incluso il diritto di riscatto anche nel caso in cui le condizioni reali del fondo, risultanti dal contratto definitivo, siano diverse da quelle originariamente convenute.

Una seconda tipologia la rinuncia per omesso esercizio della prelazione (silenzio serbato in seguito all’inoltro del preliminare di compravendita) che consente la possibilità di riscattare il bene ove le condizioni reali di compravendita siano diverse da quelle del preliminare pervenuto[5].

Requisiti della rinuncia

Per quanto concerne l’ipotesi della rinuncia esplicita devono essere precisati alcuni aspetti.

Ai fini della validità deve considerarsi necessario che l’avente diritto abbia avuto tempestiva e rituale conoscenza della vendita e sia stato messo nella condizione di valutare tutti gli aspetti favorevoli e sfavorevoli dell’affare, in modo tale da poter effettuare una scelta consapevole e responsabile.

Solo dopo aver preso conoscenza del bene oggetto del trasferimento, del prezzo, del nome del potenziale acquirente e delle altre pattuizioni risulta possibile valutare l’affare in termini di vantaggio e di svantaggio.

Pertanto, sembra doversi escludere l’ammissibilità di una rinuncia anteriore, essendone subordinata la validità a diritti già sorti ed integralmente noti al rinunciante. A segnare l’insorgere del diritto di prelazione è proprio la denuntiatio[6].

La rinuncia preventiva potrebbe considerarsi valida esclusivamente nel caso in cui l’avente titolo sia posto a conoscenza di tutte le condizioni necessarie per operare una scelta ragionata e consapevole, situazione che richiede comunque la presa visione del preliminare.

Invero, nell’ipotesi in cui gli aventi diritto alla prelazione non interessati al bene nutrano l’intenzione di sollevare il venditore dalla comunicazione formale, dovranno rilasciare una dichiarazione in carta semplice attestante l’avvenuta visione del contratto, del prezzo stabilito e della rinuncia all’esercizio del diritto[7].

La rinuncia può, dunque, ritenersi valida e produttiva di effetti quando può essere fornita la prova che sia successiva alla piena cognizione del rinunciante (realizzatasi per iniziativa del proprietario) di tutti i dati necessari, anche a prescindere dalla notificazione dell’accordo[8].

Parte della giurisprudenza ha anche precisato che la comunicazione e la trasmissione del preliminare perdono di funzionalità quando, in ogni modo, per iniziativa del proprietario risulta certo che l’avente diritto abbia avuto compiuta conoscenza della proposta di vendita, risultando ugualmente soddisfatta la finalità di legge.

Detto principio è stato in passato applicato dalla Cassazione, che ha ritenuto soddisfatto il risultato perseguito dalla legge nel caso in cui l’avente titolo abbia partecipato al rogito, essendosi realizzata in tal caso una conoscenza integrale ed immediata delle condizioni contrattuali (Cass. 19 gennaio 2007, n. 1192)[9].

L’efficacia della rinuncia

L’efficacia della rinuncia alla prelazione riguarda solo la specifica proposta di vendita comunicata.

In caso non si concluda la vicenda traslativa oggetto della denuntiatio, il proprietario del fondo che intenda nuovamente tentare la vendita dovrà notificare l’ulteriore preliminare, in modo tale da consentire l’esercizio del diritto di prelazione[10].

Trattandosi di un diritto avente ad oggetto beni immobili, deve ritenersi necessaria la forma scritta della rinuncia, risultando ammissibile la prova testimoniale solo quando vi sia stata la perdita incolpevole del documento che la contiene (Cass. 21 marzo 1995, n. 3241; Cass. 4 marzo 2003, n. 3166)[11].


[1] C. Massimo Bianca, diritto civile III – il contratto, 2000, p. 199.

[2] F. Caringella, L. Buffoni, Manuale di Diritto Civile, 2016, pp. 878-880.

[3] L. Garbagnati, La prelazione nell’acquisto e nell’affitto di fondi rustici: aspetti pratici, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, 2016, 1, p. 1-2.

[4] Cass. 16 marzo 1991, n. 2830, in Dir. giur. agr., 1992, p. 249.

[5] G. Moscardini, La prelazione agraria – vademecum per evitare errori nelle fasi di compravendita dei terreni, 2009, p. 85.

[6] D. Calabrese, La prelazione agraria – una costruzione attraverso la giurisprudenza della Cassazione, 2012, p. 121-122.

[7] G. Moscardini, op. cit., p. 85.

[8] L. Garbagnati, op. cit., p. 7.

[9] L. Garbagnati, M. Nicolini, C. Cantù, Contratti, prelazione e processo agrario, 2011, p. 135.

[10] D. Calabrese, op. cit., p. 122.

[11] L. Garbagnati, op. cit., p. 7.

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