Riflessi sul contratto dell’illiceità penale: i reati contratto e i reati in contratto

in Giuricivile, 2019, 10 (ISSN 2532-201X)

Alla luce di quanto è emerso dall’orientamento prevalente della dottrina, nonché dalle pronunce giurisprudenziali, si può affermare che la distinzione tra reato contratto e reato in contratto attiene all’individuazione dei rapporti tra norme di comportamento e norme di validità contrattuale; in particolare tale distinzione concerne la verifica delle ipotesi in cui un contratto stipulato in violazione di norme penali debba considerarsi posto in essere in violazione di norme imperative, e quindi sia strutturalmente nullo[1].

Differenti sono le ipotesi in cui, invece, la violazione della norma renda comunque il contratto efficace, ancorché annullabile[2].

Prima di entrare nel merito della distinzione tra la categoria dei reati-contratto e quella dei reati in contratto, è opportuno spiegare cosa sono le norme imperative di comportamento e le norme imperative di validità.

La distinzione tra norme imperative di comportamento e norme imperative di validità

Il problema della distinzione tra norme imperative di comportamento e norme di validità non si pone nei casi di nullità strutturale ed in quelli di nullità testuale del contratto, disciplinati rispettivamente dai commi secondo e terzo dell’articolo 1418 del Codice Civile. Il problema attiene invece alla nullità virtuale, ovverosia quella prevista dall’art. 1418 Cod. Civ., che  secondo la dottrina ha tre presupposti[3]. Il primo presupposto è che il contratto si ponga in contrasto con una norma imperativa, ovverosia con una norma posta a tutela di un interesse pubblico o generale e quindi non derogabile da parte dei singoli.

Anche le norme per la cui violazione il nostro ordinamento giuridico prevede la sanzione dell’annullabilità del contratto sono norme imperative, e quindi inderogabili, e tuttavia in tali casi, in considerazione della valenza pregnante che assume l’interesse del contraente, la sorte del contratto viene rimessa al contraente medesimo.

Il secondo presupposto attiene al caso in cui la legge non disponga diversamente; la legge dispone diversamente in tutti i casi in cui, pur essendo in presenza della violazione di una norma imperativa, ne viene tuttavia espressamente esclusa la sanzione della nullità.

Il terzo presupposto riguarda il caso in cui la norma imperativa, da una parte, abbia ad oggetto il contratto, cioè riguardi la struttura o il contenuto del contratto (vietandolo o imponendogli requisiti necessari), e non solo il comportamento delle parti contraenti; dall’altra che nulla dica sugli effetti che dalla sua violazione discendano sulla validità del negozio, atteso che, diversamente, si tratterebbe di un’ipotesi di nullità testuale, esclusa quindi dal problema che attiene alla distinzione tra norme imperative di comportamento e norme imperative di validità.

Dalla violazione di una norma di validità del contratto è tradizionalmente distinta la violazione di una norma di comportamento da parte dei contraenti, che può attenere alla fase precontrattuale o a quella esecutiva e in entrambi i casi è esclusa l’invalidità del contratto[4].

Sono norme imperative che hanno ad oggetto un comportamento inter alia anche le norme penali che incriminano la condotta violenta, fraudolenta o profittatoria tenuta da una delle parti nella conclusione del contratto, come per esempio le norme sui reati di truffa, usura, circonvenzione di incapaci, estorsione[5]. In tema di contratto stipulato in violazione di norme penali, la dottrina continua a proporre lo schema tradizionale che discrimina le ipotesi in cui la norma penale vieti il comportamento tenuto da una delle parti nella conclusione del contratto, da quelle in cui la disposizione penale vieti il comportamento di tutte le parti e, quindi, direttamente il contratto. Nel primo caso, si parla di reati in contratto; tali fattispecie non riguardano l’accordo in quanto tali, bensì il comportamento di una parte, poiché non sono reati plurisoggettivi e nemmeno impropri; il contraente non punito infatti non è coagente, bensì vittima. Diversamente, nel caso di reati in contratto, la norma imperativa penale non ha ad oggetto il contratto e pertanto la sua violazione non rende nullo il negozio giuridico ai sensi dell’art. 1418 Cod. Civ., comma primo; la disciplina civilistica prevede non la nullità, ma l’annullabilità del contratto per vizio del consenso (violenza, dolo, errore) oppure per incapacità legale o naturale della parte.

Spesso la legge stabilisce regole di comportamento, alle quali i contraenti devono attenersi nella fase che precede la stipulazione di un contratto. Oltre all’obbligo generale di comportarsi secondo buona fede, possono essere previsti obblighi specifici di informazione. Qualora tali regole non vengano osservate, è controverso se la successiva conclusione del contratto precluda o meno al contraente l’azione del risarcimento del danno per violazione di quegli obblighi prodromici di buona fede nella fase di svolgimento delle trattative; a riguardo la parte maggioritaria della dottrina sostiene che in questo caso non è preclusa al contraente l’azione del risarcimento del danno per violazione degli obblighi di buona fede.

Il problema è quindi quello di stabilire se la violazione delle regole di comportamento, che presiedono alla condotta prenegoziale, siano altresì regole di validità, nel senso che la violazione della regola di comportamento determini la nullità del successivo contratto.

Il contrasto giurisprudenziale

A tal proposito si era formato un contrasto in giurisprudenza. Secondo un orientamento iniziale, la contrarietà a norme imperative, considerata dall’art. 1418 Cod. Civ., comma primo, quale causa di nullità del contratto, postula, infatti, che essa attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale e che riguardino cioè la struttura o il contenuto del contratto ex art. 1418 Cod. Civ., comma secondo. I comportamenti tenuti dalle parti durante le trattative o nel corso dell’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e, in quel caso, la loro eventuale illegittimità, quale sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto, a meno che tale conseguenza di nullità non sia espressamente prevista dal legislatore[6]. Ad esempio, in materia di intermediazione finanziaria, le informazioni che devono essere preventivamente fornite dall’intermediario, non riguardano direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma soltanto elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione e non sono quindi idonee ad integrare l’ipotesi della mancanza di consenso. Tuttavia, il tradizionale principio di non interferenza delle regole di comportamento con quelle di validità del negozio è apparso contraddetto, da molteplici interventi successivi del legislatore, che assegnano rilievo al comportamento contrattuale delle parti anche ai fini della validità del contratto. A riguardo, le Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi sulla questione, hanno affermato che certamente le norme dettate dalla legge sull’intermediazione finanziaria del 1991 hanno carattere imperativo, nel senso che esse sono dettate non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato, ma anche nell’interesse generale dell’integrità dei mercati finanziari[7]. Tali obblighi s’impongono pertanto inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti. Il legislatore, tuttavia, non ha espressamente stabilito nella legge sopra citata, che il mancato rispetto delle disposizioni in essa contenute, interferisce con la fase genetica del contratto e producendo l’effetto radicale della nullità. Non si tratta certamente di uno di quei casi di nullità stabiliti dalla legge ai quali allude l’art. 1418 Cod. Civ., comma terzo. Resta però da considerare l’ipotesi che la nullità possa dipendere dall’art. 1418 Cod. Civ., comma primo, e che si possa quindi predicare la nullità virtuale del contratto perché contrario a norme imperative, tali essendo appunto le norme dettate dalla suddetta legge.

Alla luce di quanto esposto, la tradizionale distinzione apportata dalle Sezioni Unite tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto può essere così riassunta: la violazione delle norme di comportamento dei contraenti, tanto nella fase prenegoziale, quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia diversamente stabilita dalla legge, genera responsabilità e può essere causa di risoluzione del contratto, quando si traduce in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità.

Questa distinzione è fortemente radicata nei principi del Codice Civile.

Dal fondamentale dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede, immanente all’intero sistema giuridico e riconducibile al dovere di solidarietà ex art. 2 della nostra Costituzione, il Codice Civile fa discendere conseguenze diverse a seconda dei casi (per esempio l’annullamento per dolo o violenza o errore, la rescissione per lesione o la risoluzione per inadempimento, la responsabilità risarcitoria contrattuale o precontrattuale), ma questo dimostra che, sebbene l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo, la sua violazione non determina in linea di principio la nullità radicale del contratto.

Il rapporto tra contratto e reato: reati-contratto e reati in contratto

Il rapporto tra contratto e reato investe da vicino il diritto penale, poiché illumina la fondamentale classificazione tra reati naturalistici e reati tecnici, i quali si caratterizzano per l’inserimento nel concetto di reato, quale fatto umano previsto dalla legge penale, di un livello intermedio, che è dato dalla descrizione del fatto da parte di una categoria appartenente al dominio giuridico, nella specie civile[8]. Con specifico riguardo al fatto di reato, il contratto può realizzare[9]: la condotta (c.d. reati-contratto), quando l’illecito tende a concentrarsi sull’attività negoziale illecita (per esempio la corruzione, la ricettazione, la vendita di prodotti industriali con segni mendaci); una modalità della condotta (c.d. reati in contratto), quando uno dei segmenti oggettivi dell’illecito consiste nella stipulazione di un contratto (concussione, estorsione, truffa, insolvenza fraudolenta, circonvenzione di incapace) oppure in un comportamento tenuto nella fase dell’esecuzione, dove è l’inadempimento del contratto a costituire la condotta incriminata; un presupposto del fatto, quando il fatto assume rilevanza penale solo in presenza di una precedente pattuizione negoziale; un presupposto della condotta, quando la condotta incriminata si connota in relazione ad un pregresso contratto (per esempio i casi di peculato o appropriazione indebita, con riguardo all’ipotesi che l’autore del reato abbia l’uso del bene in forza del titolo contrattuale).

I reati-contratto sono la categoria più diffusa, rappresentata da tutte le fattispecie in cui il legislatore penale costruisce la condotta tipica sul negozio, il quale è di per sé incriminato, a prescindere dall’esecuzione delle prestazioni di cui è fonte. La stipulazione contrattuale è punita perché ha un oggetto illecito o non commerciabile, ovvero persegue finalità vietate[10].

I reati in contratto sono invece una categoria meno frequente rispetto ai reati-contratto. Si tratta di una tipologia di contratti diffusa principalmente nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, attraverso cui il legislatore punisce non tanto la pattuizione contrattuale, quanto il comportamento illecito tenuto da una delle parti nei confronti dell’altra, nella fase di formazione o di esecuzione del contratto. A rilevare penalmente non è più, quindi, l’oggetto del contratto che di per sé, può essere lecito e in ogni caso risulta ininfluente ai fini dell’incriminazione, ma le modalità (frode, violenza, minaccia, sfruttamento dell’altrui condizione di inferiorità o soggezione) mediante le quali il contratto viene concluso o eseguito[11].

Si può dire che entrambe le categorie abbiano una struttura empirica plurisoggettiva, ma solo la prima lo è anche in senso normativo, mentre i reati in contratto sono normalmente monosoggettivi, perché ha rilevanza penale la condotta di un solo soggetto.

Conseguenze in caso di contratto concluso in violazione delle norme penali

Ebbene rispetto ad entrambe queste categorie di reato occorre verificare se il contratto concluso in violazione delle norme penali, laddove queste nulla dispongano in ordine alle conseguenze civilistiche, sia valido ovvero nullo. Sulla questione, la tesi pan-penalistica afferma che la violazione di una qualsiasi norma penale, tanto di quella sanzionante la stipulazione di un contratto, quanto quella sanzionante il comportamento di una delle parti nella fase delle trattative o in quella dell’esecuzione, incide di per sé sulla nullità del contratto -da qualificarsi come nullità virtuale ai sensi dell’art. 1418 Cod. Civ., comma primo,- e ciò in ragione della natura imperativa dei precetti penali[12]. Di conseguenza, tanto nell’ipotesi di reati-contratto quanto in quella di reati in contratto si configurerebbe sempre e comunque il rimedio della nullità virtuale della fattispecie negoziale, quale effetto della condotta delittuosa[13].

A sostegno della tesi, si adduce l’argomentazione secondo la quale, nei casi in cui la stipulazione di un negozio giuridico costituisca effetto diretto della consumazione di un reato, si ravvisa una violazione di norme di ordine pubblico, in ragione delle esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale.

Una pronuncia delle Sezioni Unite di Cassazione, ritiene invece che, da un lato, i “reati-contratto” sono radicalmente nulli per violazione di norme imperative di validità; dall’altro che rispetto ai “reati in contratto”, ogni comportamento integrante reato deve essere riqualificato sotto il profilo civilistico, allo scopo di verificare se l’atto di autonomia privata concluso per effetto dell’illecito penale sia o meno inficiato da una specifica patologia, quale per esempio la nullità, l’annullabilità o la rescissione[14].

Le branche del diritto non sono per loro natura totalmente isolate: essendo l’ordinamento giuridico un sistema, condividono tra loro una molteplicità di interazioni e di principi. In questa simbiosi sistemica gli istituti positivi si sviluppano e si evolvono sino a formare nuove figure dotate di rilevanza giuridica.

I reati-contratto e i reati in contratto sono un esempio di quanto appena affermato, giacché si tratta di figure create dalla dottrina e volte a sanzionare nell’un caso la stipula del contratto, nell’altro la condotta tenuta dal soggetto durante la conclusione del contratto[15]. La differenza sostanziale tra le due figure risiede nel fatto che per i reati-contratto la condotta incriminata e, come tale, perseguita penalmente dall’ordinamento, è la stipula di un contratto, mentre nei reati in contratto la condotta avente rilevanza penale è quella tenuta dal soggetto attivo in corso di formazione del contratto medesimo. Per meglio precisare la distinzione tra i reati-contratto e i reati in contratto si può rilevare che i primi costituiscono la categoria più diffusa, rappresentata da tutte le fattispecie in cui il legislatore costruisce la condotta tipica sul negozio, che è incriminato di per sé, a prescindere dall’esecuzione delle prestazioni di cui è fonte[16]. La stipulazione contrattuale è punita perché ha un oggetto illecito o non commerciabile, ovvero persegue finalità vietate. Non sono reati-contratto in senso stretto le fattispecie consistenti in un mero accordo, non riconducibile ad uno schema negoziale tipico[17]. Trattasi, in particolare, dei reati associativi e del reato di cospirazione politica[18]. Si deve rilevare che la categoria dei reati-contratto è contrassegnata da alcuni requisiti fondamentali: la stipulazione di un negozio con effetti reali, l’illiceità del bene oggetto di scambio, la punibilità di tutti i contraenti o di uno soltanto di essi a seconda che si tratti di reato plurisoggettivo proprio o improprio.

I reati in contratto sono invece una categoria meno frequente, diffusa principalmente nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, attraverso la quale il legislatore punisce non tanto la pattuizione contrattuale, quanto il comportamento illecito tenuto da una delle parti nei confronti dell’altra, nella fase di formazione o di esecuzione del contratto[19]. A rilevare penalmente non è più, quindi, l’oggetto del contratto, che di per sé può essere lecito e comunque risulta ininfluente ai fini dell’incriminazione, ma le modalità mediante le quali il contratto viene concluso o eseguito[20].

Quali reati “di contratto” entrambe le categorie hanno struttura empirica plurisoggettiva, ma solo i reati-contratto lo sono anche in senso normativo, mentre i reati in contratto sono normativamente monosoggettivi, perché ha rilevanza penale la condotta di un solo soggetto[21].

Riassumendo quanto esposto, i reati-contratto incriminano la stipula di un contratto e appartengono al più generale campo dei c.d. reati accordo, all’interno dei quali si può attuare una tripartizione così schematizzabile:

  • reati associativi, in cui si stipulano dei contratti associativi in senso lato;
  • i reati di accordo, in cui si concorda di realizzare un illecito;
  • i reati-contratto, categoria che sanziona la stipula di un determinato contratto[22].

Il dato che caratterizza questi reati è l’oggetto della sanzione penale: si colpisce, infatti, tanto la violazione del divieto di stipula dell’accordo, quanto l’attuazione della prestazione concordata. In ogni caso è bene ricordare che trattasi di reati plurisoggettivi propri, in cui sono sanzionati tutti gli autori della condotta, anche in deroga all’art. 155 Cod. Pen.

I reati in contratto sono invece una categoria che si differenzia da quella sopra esaminata, poiché ciò che rileva penalmente per la configurabilità di tali reati è la condotta tenuta dal soggetto durante il processo di formazione della volontà contrattuale e nella fase esecutiva del contratto. Si tratta di reati plurisoggettivi impropri, in cui non sono sanzionati tutti coloro che partecipano all’accordo, pur sussistendo in certi casi la cooperazione del soggetto leso.

Distinzione tra reati-contratto e reati in contratto: fattispecie concrete di applicazione

La distinzione dottrinale tra reati-contratto e reati in contratto emerge in singole fattispecie applicative, come nel caso del reato di truffa.

In questo specifico caso la figura è considerata luogo di emersione della distinzione tra reati-contratto e reati in contratto; a riguardo ritroviamo anche alcune pronunce giurisprudenziali dalle quali emerge la concezione che ha la giurisprudenza stessa sui reati-contratto e sui reati in contratto.

Si intendono per reati-contratto quelli commessi nella conclusione di un contratto e mediante i quali s’incrimina il fatto stesso della conclusione del contratto, mentre i reati in contratto sono quei reati mediante i quali viene incriminata non la conclusione in sé del contratto, ma il comportamento (violento, fraudolento e profittatorio) tenuto durante la medesima[23]. Il contratto che è lo strumento di una truffa viene infatti qualificato come reato in contratto, poiché ciò  che viene in rilievo è l’illecito perpetrato nella fase della conclusione del contratto da un contraente in danno all’altro[24].

La dottrina penalistica ha invece assunto una posizione più cauta rispetto a quella civilistica riguardo alla truffa contrattuale. Numerose voci della dottrina penalistica ritengono che l’annullabilità del contratto sia una conseguenza possibile della truffa contrattuale, ma non necessaria, essendo opportuno verificare per ogni singola ipotesi se vi sia coincidenza tra gli elementi della fattispecie concreta e quelli della fattispecie astratta descritta dalla norma civilistica[25].

Si può affermare che il riferimento all’istituto privatistico del contratto da parte del diritto penale risulta esplicito, dal momento che il contratto o un suo connotato caratterizzante è assunto come elemento normativo espresso dalla norma penale.

Le due categorie dei reati-contratto e dei reati in contratto, pur non esaurendo la molteplicità dei possibili rapporti che intercorrono tra reato e contratto, ne rappresentano forse il più significativo nucleo problematico[26]. Ciò in quanto, per la specifica posizione assunta nelle suddette fattispecie incriminatrici dalla stipulazione, che integra, in tutto o in parte, la condotta criminosa, solo nelle suddette ipotesi si pone il complesso problema dell’interferenza tra norma incriminatrice e disciplina dell’invalidità del contratto[27].

In dottrina, si sono susseguite nel tempo diverse tesi riguardo alla distinzione tra i reati-contratto e i reati in contratto. La denominazione reati-contratto si deve al nesso tra attività criminosa e attività negoziale in sé considerata, il cui compimento, nelle diverse fasi tipizzate, esaurisce il fatto criminoso (sebbene non esattamente tra reato e contratto, come comunemente si afferma, stante la parziale eterogeneità tra gli elementi della fattispecie incriminatrice e della fattispecie negoziale)[28]. Si può rilevare che l’illiceità penale del fatto attiene allo scopo pratico del contratto, in ragione di un elemento intrinseco agli interessi che l’atto mira a realizzare[29].

Secondo un orientamento comune, la legge, nei reati-contratto, punirebbe proprio la stipulazione di un contratto, per cui reato e negozio si immedesimerebbero, a prescindere dall’esecuzione delle prestazioni.

Si può mettere in evidenza che questa spiccata differenza ha conseguenze significative sulla soluzione del problema privatistico dell’incidenza dell’illiceità penale del fatto sulla validità del contratto.

Analizzando le due figure dei reati-contratto e dei reati in contratto, emerge in maniere netta la possibile convergenza tra fattispecie incriminatrici e disciplina dell’istituto privatistico: tale conseguenza genera una serie di problematiche su entrambi i versanti, quello privatistico e quello penalistico. Dal punto di vista del diritto privato, ci si chiede se gli effetti che derivano da un contratto la cui conclusione è implicata da reato possano sopravvivere; dal punto di vista del diritto penale ci si chiede se per l’esistenza dell’illecito sia necessaria la conclusione di un contratto valido ed efficace secondo le norme del diritto privato; il terzo interrogativo, espresso più recentemente, attiene ad una riflessione sul ruolo svolto reciprocamente dal diritto penale e da quello privato. Ci si domanda se davvero possa considerarsi sussistente il reato, qualora, ai sensi della legge civile ci si trovi in presenza di un atto produttivo di effetti e se, pertanto, la sfera applicativa del divieto penale possa risultare più vasta rispetto a quella dei rimedi privatistici[30].

Sebbene negli ultimi decenni, la sfera della possibile convergenza tra fattispecie incriminatrici e disciplina del contratto ha subito una progressiva espansione, stimolata anche a livello internazionale dagli interventi normativi dell’Unione Europea, si può rilevare che il fenomeno del rinvio della norma penale agli istituti del diritto privato, rimane ancora un campo inesplorato dalla dottrina penalistica.

Sia in dottrina che in giurisprudenza, si tende sempre a fornire soluzioni caso per caso in relazione a specifiche ipotesi di reato, anziché formulare criteri orientativi generalmente validi, che possono coadiuvare l’interprete nella risoluzione dei complessi problemi posti dalla possibile convergenza tra norma penale e disciplina privatistica.

Riassumendo, prendendo spunto da un recente orientamento dottrinale [31], nella categoria dei reati in contratto, il contratto è solo l’occasione della consumazione del reato e penalmente rilevante è solo la condotta di uno solo dei contraenti. Nei reati-contratto, invece, l’illiceità investe l’intero atto negoziale per due ragioni: perché il fatto criminoso è identificato con il perfezionamento della fattispecie negoziale, oppure perché la norma penale assegna rilevanza alla condotta di entrambi i contraenti. Questa distinzione ha un’indubbia efficacia descrittiva e proprio per questa ragione non può condurre a formulare una regola che sia valida per tutte le situazioni possibili, essendo necessaria una valutazione caso per caso.

L’art. 1418 Cod. Civ. quando prevede la nullità virtuale del contratto per contrarietà a norme imperative, ha come finalità  quella di sanzionare non già violazioni di carattere strutturale del contratto, intrinseche e già disciplinate nei commi successivi del medesimo articolo, bensì la violazione di norme “esterne”, non direttamente collegate all’atto la cui individuazione è sostanzialmente rimessa all’interprete. L’attenzione va immediatamente alla violazione di precetti penali; a tal proposito, è sorto in dottrina e in giurisprudenza un dibattito all’interno del quale si possono individuare tre tesi: la tesi c.d. pan-civilistica , la tesi c.d. autonomistica e la tesi c.d. intermedia o relativistica[32].

Secondo la tesi c.d. pan-civilistica si dovrebbe ritenere che le sorti del contratto rivestano una sostanziale coincidenza con quelle del reato[33].

La rilevanza della patologia negoziale nei reati-contratto

Si può evidenziare che è alquanto complessa la tematica dell’incidenza delle eventuali cause di invalidità del contratto sulla sussistenza dei reati-contratto e dei reati in contratto, poiché anche in tal caso l’esame che di essa è stato compiuto, nell’apparire radicalmente influenzato da opzioni culturali di fondo, ha condotto a risultati particolarmente contradditori e frammentari.

Soffermando l’attenzione sulla rilevanza della patologia negoziale nei reati-contratto, secondo l’orientamento pan-civilistico[34], la soluzione non può che dipendere dalla natura della causa di invalidità che inficia il negozio. Se quest’ultimo è affetto da cause di nullità o di inesistenza che perivano, secondo i canoni ermeneutici mutuati dal diritto civile, l’atto ab origine di ogni efficacia, coerenza logica esige che venga meno la possibilità di configurare in esso una fattispecie penalmente rilevante, tranne nel caso in cui non si voglia ravvisare, uti minus, nella conclusione di un contratto nullo un delitto tentato[35]. Diversamente, le cause di annullabilità di un contratto dovrebbero ritenersi del tutto irrilevanti ai fini della configurabilità del reato. L’automatismo sotteso a tale metodologia appare, per altra dottrina, palesemente erroneo perché idoneo a condurre a risultati in concreto manifestamente inaccettabili[36]. Né parimenti dotata di maggiore fondatezza appare la correlata affermazione in ordine alla irrilevanza di qualunque causa di annullabilità del contratto[37].

In conclusione, in tal senso, si potrebbe escludere rilevanza penale alla condotta non solo in caso di inesistenza dell’atto, ma anche di nullità. Il che potrebbe al più aprire la strada ad ipotesi di delitto tentato e non già consumato[38].

Tali considerazioni critiche hanno pertanto indotto un’altra corrente di pensiero a formulare una diversa teoria denominata “autonomistica”.

Secondo la tesi c.d. autonomistica le sorti del contratto non possono avere alcuna rilevanza circa la configurabilità del reato, prevalendo il diritto penale e potendosi escludere il reato solo in casi di assoluta inesistenza dell’atto[39]. I fautori di questa teoria ragionavano nell’ottica di una concezione che rivendica l’autonomia speculativa dei concetti e dei principi del diritto penale rispetto alle elaborazioni civilistiche, giungendo all’opposta conclusione elaborata dai sostenitori della teoria c.d. pan-civilistica, secondo la quale le cause di invalidità non manifestano alcuna influenza in ordine alla configurabilità del reato commesso in sede di conclusione del contratto[40]. Si può obiettare però che, se tale teoria manifesta il pregio di spostare l’attenzione sulla struttura del reato, nelle sue implicazioni oggettive e soggettive, non può non evidenziarsi come essa incorra nell’eccesso opposto rispetto alla concezione pan-civilistica[41].

Una parte autorevole della dottrina ha così proposto ed elaborato una nuova teoria, la c.d. tesi intermedia o relativistica.

La tesi intermedia o relativistica è attualmente quella dominante e, a parer mio, si potrebbe ritenere anche la più convincente.

Il motivo per il quale questa tesi è preferibile rispetto alle due precedenti è che la parte della dottrina che ha formulato la c.d. tesi intermedia o relativistica ha assunto una posizione maggiormente pragmatica, fondata sull’attento esame della struttura dei reati in contratto; in particolare si è concentrata sui tre elementi connotanti i reati appartenenti a tale categoria, e cioè il mezzo illecito attraverso il quale il reo carpisce la cooperazione della vittima, la disposizione patrimoniale e il danno di quest’ultimo.

Sulla base di tale tesi è necessario verificare caso per caso se e in che misura sulla configurabilità del reato possano incidere le vicende del contratto[42].

I fautori della tesi intermedia o relativistica hanno cercato di mediare gli estremismi delle due precedenti e opposte concezioni, partendo dalla constatazione che la particolare complessità del tema deve indurre a respingere astratti schemi dogmatici, e che, nell’accostarsi a esso, appare necessario respingere ogni soluzione aprioristica che non tenga in debito conto il peculiare atteggiarsi delle singole fattispecie penali e dell’evidente irriducibilità ad unum di concetti tra loro profondamente diversi[43].

Nell’ambito di tale tematica si può mettere in luce che, mentre in diritto civile l’esistenza della volontà negoziale delle parti costituisce di regola il requisito minimo per consentire l’efficacia, anche provvisoria, del contratto, in diritto penale, la mancanza di una tale volontà non esclude necessariamente la responsabilità penale dell’altro contraente.

In contrasto con la convinzione attuale di trattare singolarmente ogni specifico caso e non adottare un orientamento comune, le vecchie tesi dottrinali -quella pan-civilistica e quella autonomistica- affrontano il problema dei rapporti fra reato e contratto sulla base di criteri uniformi.

Più precisamente, per i fautori della concezione pan-civilistica, la risposta al duplice quesito sulla reciproca incidenza tra illiceità penale del fatto e patologia del contratto era lineare quanto sommaria. Per i fautori della concezione autonomistica, la soluzione si rivelava egualmente sbrigativa nelle premesse teoriche.

Sul versante penalistico, la configurabilità del reato veniva subordinata all’idoneità del negozio a produrre effetti, dovendosi distinguere tra: nullità, come vizio radicale e insanabile, che farebbe venire meno il reato; annullabilità, che ne consentirebbe invece la sopravvivenza, stante la provvisoria efficacia dell’atto[44].

Sul versante privatistico si postulava la necessità di valutare le vicende del contratto sulla base esclusiva della relativa disciplina e si affermava la possibile persistenza degli effetti del contratto, nonostante l’illiceità penale del fatto, salvo diversa previsione normativa, come per esempio nel caso di contratto contrario a norme imperative[45].

Sul versante penalistico, la sussistenza del reato era subordinata unicamente all’esistenza dei suoi requisiti penalistici, autonomamente ricostruiti in base alla struttura della fattispecie incriminatrice e degli specifici obietti della tutela penale.

Sul versante privatistico, correlativamente, si riteneva che l’illiceità penale del fatto fosse destinata a travolgere comunque gli effetti del negozio, la cui stipulazione esaurisce (reati-contratto) oppure costituisce una componente del fatto criminoso (reati in contratto), semplicemente in virtù della natura imperativa della norma penale, considerandosi in ogni caso operanti le generiche previsioni dell’art. 1418 Cod. Civ. sul contratto illegale o illecito.

Le due teorie, quella pan-civilistica e quella autonomistica sono state confutate per due sostanziali motivazioni: occorre in primo luogo operare una distinzione tra fattispecie che incriminano la stipulazione del contratto in sé per il suo contenuto, e fattispecie che incriminano la condotta tenuta da uno dei contraenti nella conclusione dell’atto; in secondo luogo la corrispondenza o divergenza, rispetto al significato originario, dei concetti civilistici richiamati dalla norma penale non può essere in alcun modo postulata, ma deve essere invece di volta in volta concretamente appurata, verificando l’adeguatezza dei possibili significati attribuibili ai termini privatistici e delle loro conseguenze pratiche, in relazione alla struttura complessiva della fattispecie incriminatrice e ai principi e scopi propri della tutela penale[46].

In altri termini, la teoria pan-civilistica appare inaccettabile laddove, in relazione alle cause di nullità del contratto, priverebbe di tutela penale il soggetto passivo che abbia già compiuto un atto dispositivo a vantaggio del reo che, in tal modo abbia acquisito la materiale disponibilità del bene. Parimenti criticabile si atteggia la tesi autonomistica, poiché essa consentirebbe, a contrario, di punire condotte idonee a ledere il bene giuridico protetto dalla norma[47].

Nonostante le critiche mosse nei confronti di queste due teorie, si sono potuti constatare anche dei pregi per entrambe[48].

Il duplice merito da riconoscere alla concezione pan-civilistica consiste nel muovere da una visione unitaria dell’ordinamento giuridico, in cui tutela penale e civile dovrebbero coordinarsi; di agevolare l’ossequio principio di tassatività, vincolando l’elemento normativo privatistico della fattispecie incriminatrice al suo significato proprio, con tendenziale attitudine al contenimento dell’area del penalmente rilevante, nei limiti già segnati dagli altri rami dell’ordinamento. I due pregi che invece presenta la concezione autonomistica sono di cogliere le autonome ragioni della tutela penale, non più chiuse nell’asfittica prospettiva dell’Illuminismo delle origini, legittimandone l’estensione a beni meritevoli di tutela, ma incoercibili nello schema del diritto soggettivo e di ancorare l’interpretazione alla struttura del fatto di reato, che di rado coincide esattamente, nei suoi elementi costitutivi, con la fattispecie negoziale richiamata e agli specifici caratteri della responsabilità penale.

Sulla base di quanto sancito dai fautori della tesi intermedia o relativistica, occorre operare una valutazione caso per caso, in rapporto alle diverse figure di reato e alle rispettive finalità di tutela, senza attuare estensioni analogiche.

Un’ulteriore indicazione offerta da una parte autorevole della dottrina, che ha coniato la teoria relativistica o intermedia, consiste nel richiamo come essenziali criteri guida nella valutazione del rapporto tra norma penale e figure privatistiche richiamate, alla Costituzione e alla funzione del diritto penale, quest’ultima riconosciuta a sua volta sulla base del dettato costituzionale[49].

Norme costituzionali e riflessi dell’illiceità penale del fatto sul contratto

Con riferimento alla tematica del rapporto tra reato e contratto, dalla nostra Costituzione possono ricavarsi due indicazioni di fondo finalizzate a orientare la risoluzione di due problematiche: quella del significato penalistico degli elementi normativi civilistici e quella della reciproca incidenza tra divieto penale e disciplina del negozio, convergenti sul medesimo fatto. Le norme costituzionali di riferimento sono quelle che delineano la fisionomia del sistema penale e quelle contenenti dati che sono determinanti al fine di valutare il rapporto tra tutela penale e tutela civile, in armonia con una visione unitaria dell’ordinamento, la quale, per essere oggettiva, deve essere ricostruita partendo dal superiore disegno costituzione. Punto di riferimento del primo profilo sopra esaminato sono i principi cardine del diritto penale, ovverosia: il principio di tassatività, il principio di colpevolezza e il principio di offensività. Sulla base del principio di colpevolezza, deve essere valutata l’incidenza del reato sulle cause di invalidità del contratto inerenti ai suoi requisiti soggettivi[50]. Sulla base del principio di offensività deve essere valutata l’idoneità della stipulazione, implicata dal fatto criminoso, a ledere l’interesse protetto dall’incriminazione. In chiave di offensività devono pertanto essere determinanti: l’incidenza sul reato di talune cause di invalidità inerenti ai requisiti oggettivi del contratto e il momento di perfezionamento dei reati-contratto e dei reati in contratto, essendo di regola la norma penale volta ad impedire, non tanto la produzione degli effetti giuridici del negozio, quanto la realizzazione della finalità pratica perseguita dalle parti nel suo contenuto materiale[51]. Il principio di tassatività deve invece sorreggere: la lettura degli elementi normativi privatistici della fattispecie incriminatrice, se impiegati nella descrizione di condotte criminose; la valutazione del rapporto tra norma incriminatrice e disciplina della figura privatistica richiamata, delimitandone la tassatività l’area dell’eventuale convergenza.

Il riferimento alla nostra Costituzione ci permette di comprendere i possibili riflessi dell’illiceità penale del fatto sul contratto.

In maniera più analitica i criteri di riferimento per la risoluzione del problema dell’incidenza dell’illiceità penale del fatto sul contratto vanno ricercati in tre aspetti[52]. In prima facie nell’unitarietà dell’ordinamento giuridico, alla luce della prospettiva costituzionale di tutela dei diritti della persona, non scindibile in regole contraddittorie per settori dell’ordinamento, ma differenziato solo sul piano degli strumenti; qualora invece la conclusione del contratto non si ponga di per sé contro l’ordinamento, il problema non può essere risolto con il mero riferimento all’esigenza di una valutazione unitaria, per la semplice ragione che la norma penale sul reato e quella civile sulla nullità del contratto non regolano il medesimo fatto. In secondo luogo nei principi di solidarietà e di uguaglianza sostanziale, che legittimano una tutela rafforzata degli interessi del contraente più debole, e la conseguente predisposizione di strumenti di difesa degli effetti negativi del contratto stipulato in condizioni di squilibrio tra le parti. Infine nel compito dello Stato di garantire le condizioni per il regolare andamento e sviluppo del mercato, esplicazione della funzione di indirizzo e coordinamento a fini sociali dell’iniziativa economica pubblica e privata, che anch’esso legittima l’intervento pubblico in materia economica, la repressione degli abusi dell’autonomia privata e delle posizioni di maggior forza contrattuale e i conseguenti rimedi a tutela di interessi collettivi o individuali.

Dalle pronunce della giurisprudenza in materia di reati-contratto e reati in contratto si può rilevare che questa ha condiviso in parte la tesi relativistica o intermedia formulata dalla dottrina, procedendo sic et simpliciter all’improvvisazione ermeneutica del singolo caso, confinata alla decisione della fattispecie concreta, e rimessa, ora alla lettera, ora alla presunta ratio della norma incriminatrice, a seconda della scelta precostituita a favore della punibilità o più raramente dell’irrilevanza penale[53].

In tema di truffa contrattuale, per esempio, non si rinvengono orientamenti in apparenza unanimi. In una recente pronuncia, la Cassazione Penale ha ritenuto essere la truffa un reato contratto, affermando il principio secondo cui: “La confisca per equivalente ex art. 322-ter Cod. Pen. e il relativo sequestro preventivo, nei cosiddetti reati-contratto, possono avere ad oggetto l’intero prezzo del reato, senza necessità di distinzione tra questo e il profitto”. In questa fattispecie concernente una truffa ai danni dello Stato, la Suprema Corte ha ritenuto esservi una totale immedesimazione del reato con il negozio giuridico.

Tale impostazione si discosta da altre due pronunce precedenti, sempre in tema di confisca per equivalente, disposta con riguardo al reato di truffa in danno di un Comune, avente ad oggetto la stipula di un contratto di leasing immobiliare in forza del quale l’ente si obbligava ad acquistare un immobile parzialmente abusivo. In queste due pronunce sopra citate si afferma che la truffa costituirebbe un tipico reato in contratto sicché non costituisce una componente del profitto del reato. Si evince pertanto che non è confiscabile il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, poiché essa trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale.

In una posizione sostanzialmente intermedia si pone un altro indirizzo secondo cui in tema di truffa contrattuale, il profitto del reato previsto dall’art. 640-bis Cod. Pen. ai fini dell’applicazione della confisca per equivalente, coincide con l’intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le caratteristiche falsamente attestate dal percettore. Il suddetto profitto del reato corrisponde invece alla maggiore quota dei fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati in fatture o relazioni ideologicamente false.

La contraddizione nel ragionamento della giurisprudenza conferma ulteriormente l’idea che la tecnica di valutazione del’illiceità risponde spesso alle esigenze di giustizia avvertite in relazione alla specificità del caso concreto e non è sorretta da un indirizzo teorico unitario.


[1] Caso in cui si configura la tipologia di un reato-contratto.

[2] Caso in cui si configura la tipologia di un reato in contratto.

[3] Ufficio del Massimario della Cass., Relazione n. 41/2014, “La nozione di profitto confiscabile nella giurisprudenza delle Sezioni Unite”, A cura di P. Silvestri.

[4] Si deve rilevare che nel primo caso rimane comunque la possibile responsabilità dell’autore che ha violato la norma di comportamento in essere, mentre nel secondo caso resta invariata la responsabilità da inadempimento di obblighi specifici e il contratto continua quindi ad essere valido, potendo al più essere risolto ai sensi dell’articolo 1453 del Codice Civile.

[5] Degli istituti sopra richiamati nel testo me ne occuperò in modo più dettagliato nel capitolo quarto.

[6] Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, Sez. I, in ItalGiureWeb.

[7] Cass. 19 dicembre 2007, n. 26724, 26725, Sez. Un., in ItalGiureWeb.

[8] F. Bellomo, in Nuovo sistema del diritto penale, I, Bari, 2010, pag. 455.

[9] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 455.

[10] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 459: “Non sono reati in contratto in senso stretto le fattispecie consistenti in un mero accordo, non riconducibile ad uno schema negoziale tipico. Trattasi, in particolare, dei reati associativi e del reato di cospirazione politica. Infatti la categoria dei reati-contratto è contrassegnata da alcuni requisiti fondamentali: la stipulazione di un negozio con effetti reali (il fatto di reato è costituito dalla convergenza della volontà dei soggetti verso una dazione in cambio di un corrispettivo), l’illiceità del bene oggetto di scambio, la punibilità di tutti i contraenti o di uno soltanto di essi a seconda che si tratti di reato plurisoggettivo proprio o improprio. Nei reati associativi l’accordo è puramente obbligatorio, ed il reato richiede per il suo perfezionamento un quid pluris, ovverosia la costituzione di un’organizzazione”.

[11] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 459.

[12] M. Rabitti, Contratto illecito e norma penale, Milano, 2000, pag. 6.

[13] M. Rabitti, op. ult. cit., pag. 6.

[14] Cass. Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in ItalGiureWeb.

[15] Più nello specifico può dirsi che si tratta di reati a concorso necessario, ovvero plurisoggettivi.

[16] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 459.

[17] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 459.

[18] Nei reati associativi l’accordo è puramente obbligatorio, ed il reato richiede per un suo perfezionamento un quid pluris, ovverosia la costituzione di un’organizzazione.

[19] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 459.

[20] Ne sono esempio i contratti conclusi con frode, violenza o minaccia, mediante lo sfruttamento dell’altrui condizione di inferiorità fisica o psichica o soggezione.

[21] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 460.

[22] R. Garofoli, in Compendio di diritto penale, col. I compendi d’autore, Roma, 2014,  pp. 344, 345.

[23] M. Rabitti, op. ult. cit., pag. 37.

[24] M. Rabitti, op. ult. cit., pag. 38.

[25] M. Rabitti, op. ult. cit., pag. 39.

[26] I. Leoncini, in Reati-contratto e reati in contratto, in Contratto e reato, a cura di A. Flamini e L. Ruggeri, Napoli, 2014,  pag. 178.

[27] I. Leoncini, op. ult. cit., pag. 178.

[28] I. Leoncini, op. ult. cit., pp. 180, 181.

[29] Si deve rilevare però che in alcuni casi la ratio dell’incriminazione attiene a un elemento estrinseco del contratto.

[30] I. Leoncini, op. ult. cit., pp. 186, 187.

[31] G. Schiavone, in Usura: pluralità di fattispecie e rimedi civilistici, in Obbligazioni e contratti., 2006, pp. 337 ss.

[32] R. Garofoli, op. ult cit., pp. 344, 345.

[33] R. Garofoli, op. ult cit., pp. 344, 345.

[34] Questo orientamento muove dal riconoscimento di una posizione di primato nella dogmatica civilistica, e dalla correlata visione meramente sanzionatoria del diritto penale.

[35] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 428.

[36] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 428.

[37] Si pensi, per esempio, al soggetto che ha concluso un contratto per effetto della minaccia o dell’inganno altrui, certamente penalmente non perseguibile.

[38] R. Garofoli, op. ult cit., pp. 344, 345.

[39] R. Garofoli, op. ult cit., pp. 344, 345.

[40] F. Bellomo, op. ult. cit., pag. 430.

[41] Tale teoria trascura del tutto, ad esempio, l’analisi civilistica in merito agli effetti giuridici dell’atto.

[42] R. Garofoli, op. ult cit., pp. 344, 345.

[43] F. Bellomo, op. ult. cit, pag. 431.

[44] I. Leoncini, op. ult. cit., pag. 189.

[45] I. Leoncini, op. ult. cit., pag. 189.

[46] I. Leoncini, op. ult. cit., pag. 190.

[47] Si pensi, nell’ipotesi della truffa, al contratto concluso dalla vittima, potenzialmente dannoso, ma sottoposto a condizione sospensiva impossibile.

[48] I. Leoncini, op. ult. cit., pp. 190, 191.

[49] I. Leoncini, op. ult. cit., pag. 206.

[50] I. Leoncini, op. ult. cit., pag. 209.

[51] I. Leoncini, op. ult. cit., pag. 208.

[52] I. Leoncini, op. ult. cit., pp. 236, 237.

[53] Sebbene la distinzione tra la categoria dei reati-contratto e quella dei reati in contratto sia stata oggetto di elaborazione dottrinale, anche la giurisprudenza si è espressa a riguardo, emanando alcune rilevanti sentenze. Al fine di comprendere meglio la posizione della giurisprudenza riguardo al tema dei reati-contratto e dei reati in contratto, dedicherò il successivo capitolo del presente elaborato ad analizzare alcune singole fattispecie.

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