È ricorrente nell’ambito del rapporto di lavoro la questione sul corretto inquadramento del lavoratore. Ogni lavoratore, nell’espletamento delle proprie mansioni, deve attenersi generalmente ai criteri indicati nel proprio contratto di lavoro, che indicano le mansioni che deve svolgere, cui viene connesso il grado di retribuzione.
La definizione delle mansioni che un lavoratore subordinato deve svolgere deriva, nella maggior parte dei casi, dalle declaratorie contrattuali presenti nei Contratti Collettivi Nazionali, che sono accordi che operano in ambito nazionale, siglati tra le maggiori organizzazioni sindacali dei lavoratori, e quelli dei lavoratori di una determinata categoria, con successivo deposito presso il C.N.E.L.
Nello svolgimento del rapporto di lavoro, è possibile che il lavoratore venga adibito ad altre mansioni dal suo datore di lavoro o da un responsabile gerarchicamente superiore: quali sono i criteri per cui può definirsi effettivo il riconoscimento delle mansioni superiori? In che modo il lavoratore può far valere le proprie ragioni nei confronti del datore di lavoro? Su quale parte grava l’onere della prova?
Il Contratto Collettivo Nazionale
Per l’inquadramento del rapporto di lavoro, è fondamentale fare riferimento al Contratto Collettivo Nazionale (C.C.N.L.). Ai sensi dell’art. 2077 c.c., “I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”
Pertanto, i contratti collettivi nazionali assurgono a criterio guida dei contratti individuali di lavoro, i quali possono talvolta differire da esso, ma in questo caso vige il divieto di reformatio in peius, essendo possibile solamente la previsione di ulteriori condizioni più favorevoli al lavoratore, come il riconoscimento di bonus, superminimi e/o altro.
L’obiettivo principale del C.C.N.L, pertanto, è quello di determinare le modalità e i contenuti dei contratti individuali di lavoro, disciplinandone anche gli aspetti economici, normativi e disciplinari.
L’applicazione del C.C.N.L. rappresenta uno strumento di garanzia sia per il datore di lavoro, che per il lavoratore, poiché la determinazione del contenuto del contratto è esemplificativamente esposta in esso, e viene lasciato poco spazio all’arbitrio delle parti, evitando così il rischio di una disciplina diversa tra le stesse categorie di lavoratori in aziende diverse, soprattutto relativamente alla garanzia di diritti fondamentali quali la paga base, ferie e/o permessi.
L’esistenza del C.C.N.L. fa sì che esista un riferimento certo, oggettivo ed imparziale sulla normativa applicabile nel periodo del rapporto di lavoro della validità del contratto, anche nel caso di instaurazione di controversie.
Le declaratorie
In ogni C.C.N.L. sono presenti le c.d. declaratorie, che afferiscono al corretto inquadramento del lavoratore e a cui vengono poi connesse le tabelle retributive.
La tradizionale distinzione opera per livelli, parte da quelli più alti, cui sono affidati ruoli di ampia autonomia e responsabilità e con una retribuzione più elevata, per poi scalare fino a mansioni nelle quali si opera con grado di autonomia molto limitato e per lo svolgimento di compiti di elementare natura, cui ovviamente è legata una retribuzione più bassa.
Il codice civile traccia la linea di demarcazione delle categorie di lavoratori: l’art. 2095[1], difatti, al comma 1, distingue i lavoratori in dirigenti, quadri, impiegati ed operai. Successivamente, al comma 2, rimanda per la disciplina a delle leggi speciali la determinazione dei requisiti di appartenenza alle categorie.
La distinzione operata dal codice civile, tuttavia, non tiene conto dell’evoluzione tecnologico-industriale e può sembrare un po’ anacronistica, infatti attualmente la linea di demarcazione tra impiegati (tradizionalmente colletti bianchi) e operai (colletti blu) non è più così netta e radicale come qualche decennio fa.
Basti pensare che oggi frequentemente un lavoratore inquadrato come operaio non svolge più mansioni meramente fisiche: non di rado, un operaio esegue compiti assimilabili a quelli di concetto, come per l’impiegato, in quanto la sua postazione può trovarsi, tranquillamente, dinanzi ad un apparato informatico dal quale far partire il lavoro delle macchine, per le quali sono necessarie ovviamente adeguate competenze acquisite nel corso dell’esperienza lavorativa e con un importante carico di responsabilità.
Questa particolare situazione, talvolta, può innescare controversie per il riconoscimento della mansione superiore, poiché, spesso le declaratorie si prestano ad interpretazioni discordanti poiché sono disciplinati in maniera generale i compiti da svolgere, essendo attualmente sottile e labile la linea di demarcazione tra le categorie,
A volte, nelle declaratorie il discrimen tra un livello ed un altro è l’esercizio in autonomia di compiti o l’assunzione di responsabilità, in un determinato grado nell’espletamento delle proprie mansioni: non è assolutamente agevole individuare il livello dinanzi ad un criterio che può prestarsi a diverse interpretazioni.
Addirittura è frequente l’inquadramento allo stesso livello contrattuale sia per gli impiegati che per gli operai, pur essendo appartenenti ad una categoria legale diversa, risultando davvero difficile denotare una differenza e, soprattutto, provare lo svolgimento di una mansione piuttosto che l’altra, pensando anche al fatto che appartenendo allo stesso livello, il grado di retribuzione sia lo stesso.
Pertanto, il ruolo del C.C.N.L., e soprattutto delle declaratorie, assume rilievo fondamentale se riesce a disciplinare in maniera precisa e chiara le effettive mansioni del lavoratore: da esso deve emergere un vero e proprio criterio guida, capaci di tracciare il profilo professionale del lavoratore, indicandone le caratteristiche generali, ed a cui vanno aggiunte quelle eventualmente soggettive o del lavoratore o della prestazione lavorativa.
È possibile anche che esse contengano determinati presupposti come il possesso di titoli di studio o abilitazioni specifiche. Ad esempio, per ruoli dirigenziali o di quadri, può essere richiesta la laurea, per determinati livelli, capacità acquisite con esperienza maturata in quella determinata mansione o partecipazione a corsi di formazione. Per ogni livello di inquadramento contrattuale, corrisponde poi il grado di retribuzione per ognuno di esse.
Nel momento della sottoscrizione del contratto, il datore di lavoro attribuisce determinati compiti, che corrispondono al livello di appartenenza, e vanno espressi nel contratto in maniera chiara, ed all’inquadramento è connessa la retribuzione del lavoratore, che si desume dalle tabelle indicate nei CCNL.
Talvolta può capitare che non via sia una esplicita descrizione del ruolo del lavoratore nel CCNL: in quel caso si può applicare l’inquadramento analogicamente a mansioni simili e promiscue.
Tuttavia, resta sempre una disciplina in continua evoluzione, soprattutto per il pervenire, nelle more della validità del CCNL, nuove e ulteriori tecnologie o nuovi ruoli non delineati, e pertanto emerge la labilità delle caratteristiche dei livelli contrattuali e frequentemente si innescano azioni giudiziarie per riconoscimento del livello superiore da parte dei lavoratori.
Lo jus variandi
È frequente, nell’ambito dello svolgimento dell’attività del lavoratore, la modifica delle mansioni in base alle esigenze dell’azienda.
Tale disciplina è stata profondamente innovata dal d.lgs. n. 81 del 15 giugno 2015 (Jobs Act), che ha riscritto l’art. 2103 c.c.[2]
Il concetto che emerge da questa modifica è lavoratore va adibito a mansioni per le quali è stato assunto ovvero a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a quelle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
Tale assegnazione risulta possibile anche unilateralmente, purché il datore di lavoro rispetti la corrispondenza al livello e alla categoria di inquadramento di quelle ultime effettivamente svolte, avuto riguardo alle declaratorie ed ai profili professionali del contratto collettivo.
In caso di “modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore”[3], il datore di lavoro può assegnare a quest’ultimo mansioni appartenenti anche ad un livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.
Gli obblighi del datore di lavoro sono quelli di fornire adeguata formazione dal lavoratore, mantenere il trattamento retributivo, comunicare per iscritto la modifica della mansione, conservare il livello di inquadramento e della retribuzione
I contenziosi sul riconoscimento del livello contrattuale superiore, anche in base alla nuova disciplina delineata dall’art. 2103 c.c., sono divenuti molto comuni in quanto il potere del datore di lavoro si è molto esteso e talvolta non viene applicato conformemente ai disposti legislativi.
L’onere della prova
Per il lavoratore che voglia intraprendere un giudizio nei confronti del proprio datore di lavoro, circa il riconoscimento di una mansione di livello superiore, è importante fornire adeguate allegazioni probatorie nella propria memoria di costituzione al fine di fornire un quadro chiaro al giudice circa quanto effettivamente svolto.
La giurisprudenza, infatti, è concorde nel ritenere che il lavoratore che rivendichi un inquadramento superiore debba allegare e offrire “la prova della gradazione e intensità dell’attività corrispondente al modello contrattuale invocato”, sotto il profilo della propria responsabilità, autonomia, complessità delle mansioni ed eventuale coordinamento gerarchico di altri dipendenti.[4]
Costituisce orientamento consolidato il criterio trifasico secondo cui “il procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell‘individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda” [5]
Su tale scorta, risulta orientamento prevalente in giurisprudenza, che il lavoratore deve dimostrare in maniera prevalente e non episodica le mansioni superiori svolte e rivendicate.[6]
Lo svolgimento di mansioni superiori, pertanto, non deve essere un semplice e sporadico avvenimento, ma una continua e duratura assegnazione, che ne caratterizzi appunto l’appartenenza al livello superiore.
Il ricorso del lavoratore deve, pertanto, indicare elementi precisi, ed idonei a qualificare la domanda con opportune allegazioni probatorie, e non generici riferimenti alla declaratoria contrattuale: il rischio che si corre è quello di una nullità del ricorso con rigetto allo stato degli atti, rappresentando queste carenze un vizio insanabile del ricorso.[7]
Il lavoratore non deve semplicemente limitarsi a richiamare in maniera generica i compiti che avrebbe svolto o un eventuale automatismo di passaggio di livello per mansioni fungibili e promiscue, ma deve necessariamente allegare elementi che forniscano al giudice l’evidenza di un criterio qualitativo dimostrando, in maniera specifica, continuativa e dettagliata, i compiti che ha effettivamente svolto nel corso del periodo contestato.
L’occasionalità non può avere quella forza tale da attribuire al lavoratore le mansioni superiori.
Difatti: dal lavoratore deve essere provata la prevalenza qualitativa e quantitativa delle superiori mansioni rispetto a quelle proprie del livello di inquadramento, attribuendosi decisivo valore alle mansioni c.d. “caratterizzanti”, e cioè a quelle più specifiche sul piano professionale, purché non sporadiche o occasionali”[8]
La Corte di Cassazione, in una pronuncia molto importante, che ha indirizzato le corti di merito circa l’onere di allegazione probatoria, si è espressa in questi termini: “Al lavoratore che agisca in giudizio per ottenere il riconoscimento del diritto alla cosiddetta promozione automatica ex art. 2103 c.c. incombe l’onere di allegare e provare gli elementi posti a fondamento della domanda, cioè di aver svolto, in via continuativa e prevalente, per il periodo previsto dalle norme collettive o dallo stesso art. 2103 c.c., mansioni riconducibili al superiore inquadramento rivendicato“.[9]
Quindi, per il riconoscimento del diritto rivendicato, grava sul lavoratore instante l’onere di fornire in giudizio prove tali da provare l’effettivo svolgimento di attività lavorative rientranti nel livello superiore, che abbiano il carattere di prevalenza e continuità.
È necessario, inoltre, che le allegazioni del lavoratore non si limitino ad una mera descrizione dei compiti svolti, ma che esse dimostrino la concretezza di quanto effettuato, e che tale espletamento deve anche essere stato “pieno”, cioè tale da comportare un grado di responsabilità e autonomia a carico del lavoratore compatibile con la qualifica superiore.[10]
Risulta pertanto opportuno che il lavoratore, prima di intraprendere il giudizio per il riconoscimento della mansione di livello superiore, faccia una valutazione obiettiva sui compiti effettivamente svolti, avendo innanzitutto premura di confrontarli alle declaratorie contrattuali e soprattutto valutando se dispone di adeguati elementi probatori che possano dimostrare il diritto vantato.
[1] Art. 2095 c.c.: “I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai
Le leggi speciali, in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell’impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie”.
[2] Art. 2103 c.c.: “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.
Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.
Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi”.
[3] Ad esempio la soppressione del reparto e/o del posto cui è adibito il lavoratore.
[4] “Onere della prova in materia di domanda di qualifica superiore”, Nota a sentenza 28.03.2017 Trib.Brindisi, Targa e Sacco, 2017, articolo pubblicato su www.diritto24.ilsole24ore.com, URL http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoLavoro/2017-04-10/onere-prova-materia-domanda-qualifica-superiore-165935.php
[5] (cfr. fra le tante Cass. 26593/2018, 10961/2018, 8142/2018, 21329/2017, 18943/2016, 6174/2016, 8589/2015, 11037/2006);” (v. Cassazione sezione lav. n. 30580/2019).
[6] Recentemente, Trib. di Milano, sez. lav., n. 199/2020; v.anche Cass. n. 8529/2006 e Cass. n. 2537/2000
[7] Tribunale di Brindisi, sez. lavoro, 28/03/2017
[8] Ex multis Trib. Milano, 197/2020; Milano, 53/2020; Roma, 11327/2019; Foggia, 5125/2019
[9] Cass. sez. Lavoro, 18418/2013
[10] Cass. Sez. Lav., 18943/2016; Cass. Sez. lav. 4791/2004; V. Tribunale Bari sez. lav., n. 227/20;