Responsabilità medica: gli oneri probatori del medico convenuto

Nei giudizi di accertamento della responsabilità, è onere del medico convenuto provare di avere posto in essere una condotta diligente.

L’accertamento della diligenza è, infatti, assorbito da quello della colpa e, in tema di responsabilità medica, non può ragionevolmente essere ascritto in capo all’attore l’onere probatorio circa la sussistenza di una condotta colposa del professionista sanitario [1].

Questo è il principio statuito dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione, nella sentenza 9 novembre 2017, n. 26517.

Il caso in esame

Gli eredi avevano convenuto in giudizio il medico dermatologo che aveva avuto in cura il loro de cuius, deceduto a causa di una malattia tumorale, rilevando che il professionista sanitario non si fosse prontamente avveduto della natura maligna della patologia (rilasciando, addirittura, un referto istopatologico escludente la presenza di neoplasie) e che questa, non tempestivamente diagnosticata e curata, avesse condotto a un progressivo peggioramento delle condizioni di salute e alla morte del congiunto[2].

Contestando la condotta gravemente imperita e imprudente del sanitario[3], avevano chiesto la condanna al risarcimento dei danni.

Il medico, costituendosi in giudizio, aveva contestato ogni addebito e aveva disconosciuto la paternità del referto allegato dagli attori.

Il giudice di prime cure condannava il dermatologo e la Corte d’Appello confermava la pronuncia, ritenendo che la storia clinica del paziente e la sintomatologia sarebbero dovuti essere elementi tali da indurre lo specialista a disporre ed effettuare accertamenti più approfonditi e che quest’ultimo, in virtù del generale principio di ripartizione dell’onere probatorio, avrebbe dovuto provare di aver eseguito, o quantomeno consigliato, l’esame diagnostico, per caducare l’obiettata carenza di diligenza.

Il dermatologo proponeva ricorso per Cassazione, adducendo due motivi, segnatamente, l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, in relazione al nesso eziologico tra la propria condotta e il decesso del paziente, e, ai fini che qui più interessano, la violazione di quanto puntualmente disposto dall’art. 2697 c.c., in tema di ripartizione dell’onere probatorio [4].

La decisione della Cassazione

In punto di accertamento del nesso di causalità tra la condotta negligente ascritta in capo al medico specialista e la morte del paziente, la Corte territoriale non era stata elusiva.

Aveva infatti dedotto che l’esame diagnostico, negligentemente non disposto ed effettuato, avrebbe permesso un accertamento più tempestivo della malattia e che l’asserito successivo intervento di altri professionisti sanitari non avrebbe potuto, in ogni caso, implicare “alcuna riduzione dell’obbligo risarcitorio dell’appellante”, stante la previsione dell’art. 2055 c.c.

Conseguentemente la Cassazione riteneva infondato il motivo di ricorso.

Con riferimento all’asserita violazione del principio generale sotteso al riparto dell’onere della prova, il medico specialista deduceva, in particolare, che gli attori “avrebbero dovuto dimostrare che, al momento in cui il paziente si fece visitare […] vi fosse una lesione «ragionevolmente interpretabile come anticamera di una situazione patologica» tumorale”, circostanza che, contrariamente, non era stata positivamente dedotta in giudizio.

La Corte di legittimità non ha tuttavia ritenuto meritevole di accoglimento questa censura.

La valutazione circa la corretta interpretazione di una determinata sintomatologia, infatti, è operazione del tutto equipollente all’accertamento di profili di negligenza relativamente alla condotta posta in essere dal professionista sanitario.

Atteso che l’operazione accertativa della diligenza della condotta del medico formi “oggetto dell’accertamento della colpa” e che, al contempo, non possa ragionevolmente ascriversi in capo all’attore – danneggiato l’onere di provare “la colpa del medico”, ne deriva che debba essere necessariamente il professionista convenuto a dover “provare di aver tenuto una condotta diligente” [5].

La Cassazione conclude che, in tema di responsabilità medica, gli attori – danneggiati devono unicamente ritenersi gravati dall’onere “di allegare la colpa del convenuto”, persistendo in capo a quest’ultimo la prova della “propria assenza di colpa” [6].

Responsabilità civile del medico e onere probatorio alla luce della riforma Gelli-Bianco

La conclusione alla quale giunge la Terza Sezione della Cassazione è fondamentalmente mutuata da quell’orientamento [7], invero, ormai non recente, in base al quale la responsabilità della struttura ospedaliera e quella del medico dipendente trovino fondamento comune nell’esecuzione, diligente o negligente, della prestazione professionale, derivandone dall’accertamento del carattere di quest’ultima una qualificazione “contrattuale” della responsabilità di entrambi[8].

È opportuno rilevare, in limine, che la legge 8 marzo 2017, n. 24, nota come la riforma Gelli – Bianco, come già accennato in un precedente approfondimento, deponga a favore di una netta riqualificazione in termini extracontrattuali della responsabilità del medico.

Tale intento è evidente sin dalla letteralità del testo normativo, in particolare dell’art. 7, che, rubricato “Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria”, dispone

a) al terzo comma, che “L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile”, a meno che “abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente” [9].

È, inoltre, previsto che, nella determinazione del risarcimento del danno, si debba tenere conto “della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della presente legge[10] e dell’articolo 590-sexies del codice penale[11]”;

b) al quarto comma, che “Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private[12]”, integrate[13], ove necessario, “per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo.”;

c) al quinto comma, il carattere imperativo della normativa de qua.

Con riferimento al focus di questa nota a sentenza, è lapalissiano come il mutamento radicale di qualificazione della responsabilità del medico abbia indubbi riverberi pragmatici sulla questione dell’atteggiarsi dell’onere probatorio.

Alla riconducibilità alla natura contrattuale consegue direttamente la limitazione dell’onere probatorio in capo al paziente – danneggiato in ordine alla sola sussistenza del contratto o del c.d. contatto sociale qualificato con il medico e all’aggravamento di patologie pregresse e/o all’insorgenza di nuove, con la mera allegazione dell’inadempimento idoneo ad assurgere a causa del danno contestato.

Il professionista sanitario dovrebbe, viceversa, provare la diligenza sottesa alla sua prestazione professionale e l’eventuale riconducibilità del danno a eventi estranei alla sua condotta[14].

Nell’antitetica ipotesi di qualificazione della responsabilità come extracontrattuale, si assisterebbe a un sensibile appesantimento dell’onere probatorio incombente sul paziente.

Sarebbe infatti quest’ultimo a dover fornire concretamente la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie illecita, ex art. 2043 c.c., e cioè il carattere ingiusto del danno subito, la riconducibilità causale di questo alla condotta del professionista sanitario e il dolo (o la colpa) insiti nella condotta [15].


[1] Sul punto, A. Barbarisi, L’onere della prova nella responsabilità sanitaria, in I Contratti,  n. 2/2017, Ipsoa.

[2] Per la rilevanza della condotta dal punto di vista penale, P. F. Poli, Due recenti pronunce della Cassazione in tema di responsabilità penale da omessa diagnosi di malattie oncologiche, in Diritto penale contemporaneo, 6 dicembre 2011.

[3] Per una puntuale disamina della diligenza professionale in tema di responsabilità sanitaria, S. Rossi, Diligenza e perizia dei sanitari e prova della responsabilità medica, in Responsabilità medica – Diritto e pratica clinica, Pacini Giuridica, 1 settembre 2017.

[4] Sul punto, A. Casà, Danno risarcibile, nesso causale e onere della prova nella responsabilità del sanitario per mancata acquisizione del consenso informato, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 4, 2017, 1308C.

[5] In senso conforme, Cass. Civ., Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, con nota di M. Forziati, (1-2) La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il “contatto sociale” conquista la Cassazione., in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 3, 1999, 661.

[6] Onere probatorio che, secondo quanto stabilito in sentenza, non può meramente coincidere con il disconoscimento della sottoscrizione del referto contestato. Gli ermellini, infatti, deducono profili di negligenza, a prescindere dall’esistenza o meno del suindicato referto: ove effettivamente fosse autentico, la colpa sarebbe insita nell’errore diagnostico; nell’ipotesi contraria, l’assenza di diligenza sarebbe più propriamente riconducibile all’omessa disposizione e/o effettuazione di esami diagnostici più approfonditi.

[7] V. supra nota 5.

[8] Così, S. Amari, Commento alla legge Gelli (responsabilità civile del medico), in Nel Diritto.it – Rivista telematica di diritto, neldiritto.it.

[9] Inciso, tuttora, poco chiaro nella sua reale portata. Così, A. Barbarisi, op. cit.

[10] Rubricato “Buone pratiche clinico – assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida”.

[11] Introduttivo, nel panorama ordinamentale, della fattispecie incriminatrice delle “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.

[12] Di cui al D.lgs. 7 settembre 2005, n. 209.

[13] Con la procedura testualmente previsto al primo comma dello stesso art. 138 del Codice delle assicurazioni private.

[14] Sul prevedibilità ed evitabilità del danno, Cass. Civ., 7 giugno 2011, n. 12274, con nota di M. Ronchi, Responsabilità medica e non imputabilità: la Cassazione ne delinea i limiti in relazione alle infezioni nosocomiali, in
Responsabilità Civile e Previdenza, fasc.2, 2012, 540.

[15] Ulteriori differenze tra i due regimi di responsabilità si individuano con riferimento al termine prescrizionale.

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