Responsabilità per esercizio di attività pericolose esercitate dalla P.A. ex art. 2050 cc. Compatibilità con clausola penale

in Giuricivile, 2018, 2 (ISSN 2532-201X)

La normativa

L’art. 2050 c.c. dispone che chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno.

La responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, ignota al codice del 1865, è una figura di responsabilità di natura extra-contrattuale, derivante da fatto illecito, su cui si fonda la risarcibilità del danno, sia patrimoniale che non patrimoniale[1].

Tale ipotesi è stata tipizzata dal legislatore che, per questa via, l’ha isolata (insieme alle altre ipotesi di cui agli artt. 2047-2054c.c.) dall’area della atipicità dei fatti illeciti fonte di responsabilità extra-contrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.; ciò in quanto, nell’ipotesi in esame è fortemente mitigato l’onere probatorio posto a carico del soggetto danneggiato, sussistendo una forma di responsabilità oggettiva fondata, dunque, sul nesso ci causalità materiale.

Ne consegue che il danneggiato non dovrà, ai fini risarcitori, dare prova del comportamento, dell’evento lesivo e del nesso causale tra questi intercorrente, nonché dell’elemento soggettivo – dolo o colpa – con cui il danneggiante ha agito; infatti, la responsabilità civile sussisterà in capo a quest’ultimo in forza della sola causalità materiale, salva la possibilità di articolare prova liberatoria.

La nozione di attività pericolosa, al di fuori del quadro tipico delle attività espressamente qualificate tali (come nel caso del TULPS rd. N.773/1931), va riscontrata alla luce del caso concreto, dovendo accertarsi che il pericolo sia insisto nell’attività o nei mezzi adoperati e che, dunque, l’espletamento dell’attività comporti la rilevante possibilità del verificarsi del danno in ragione di una spiccata potenzialità offensiva.

La natura della responsabilità

In ordine alla natura giuridica di tale forma di responsabilità civile è opportuno precisare che vari sono stati gli orientamenti prospettati, data la peculiarità della fattispecie: secondo un primo orientamento giurisprudenziale e dottrinale [2] si tratterebbe di una responsabilità oggettiva “pura” e, cioè, fondata esclusivamente sul nesso di causalità materiale, prescindendosi del tutto dall’indagine circa l’elemento soggettivo.

Secondo altro orientamento, invece, si tratterebbe di una responsabilità oggettiva (che deve essere) comunque corroborata da colpa del danneggiante che, nella specie, si presume[3].

Dall’impostazione di fondo che si accoglie, ne deriva la fondamentale conseguenza dell’individuazione di  un diverso contenuto della prova liberatoria volta:

  • nel primo caso, a dimostrare la sussistenza del caso fortuito, come tale imprevedibile, che spezza il nesso di derivazione causale;
  • mentre nel secondo caso è tesa a sottrarre il fatto al dominio volitivo del danneggiante – profilo che, nella specie, rileva;

Pertanto, in base a tale secondo orientamento, che sembra essere quello prevalente, è esclusa la responsabilità allorché il danneggiante provi di aver adottato le cautele normalmente adeguate rispetto all’attività.

Inoltre, giova osservare che nel solco di tale dibattito si collocano talune previsioni normative di carattere eccezionale che configurano la prova in modo atipico, escludendo anche il fortuito. Il riferimento è

  • all’art. 965 cod. nav.
  • In tema di navigazione aerea (che impone al danneggiante il risarcimento dei danno pur se derivanti da forza maggiore);
  • nonché l’art. 15, l.n.62/1860 e s.m. in tema di impianti nucleari.

L’operatività nei confronti della P.A.

La norma di cui all’art. 2050 c.c. trova spazio operativo anche con riferimento allo svolgimento di attività pericolose da parte della P.A., come l’attività edilizia o le attività di escavazione.

Ciò posto, devono considerarsi le modulazioni, cui l’operatività della norma va incontro, nei confronti della P.A. data la natura peculiare di soggetto pubblico e dei fini – pubblicistici – che la stessa persegue nell’esercizio della propria attività. A tale proposito deve, infatti, sottolinearsi come non sia operante la presunzione di colpa (o, meglio, la responsabilità oggettiva corroborata da presunzione di colpa) nel caso in cui l’attività pericolosa posta in essere dalla P.A. sia svolta in vista del soddisfacimento di imprescindibili esigenze della collettività[4].

Tuttavia, tale principio generale necessita di talune precisazioni: infatti, è esclusa l’operatività dell’art. 2050 c.c. – ricadendosi nell’area operativa della norma di cui all’art. 2043 c.c. – laddove, nell’ipotesi descritta, l’attività posta in essere, pur se pericolosa, non presenti connotati di pericolosità eccedenti il livello normale di rischio[5].

Tale temperamento incidente sull’operatività dell’art. 2050 c.c. nei confronti della P.A., trova la sua ragion d’essere nella finalità pubblicistica che questa persegue con la sua attività. Diversamente, opererà la forma di responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. laddove il danno sia derivato dallo svolgimento di attività pericolose la cui pericolosità ecceda il normale livello di rischio, sì da richiedere peculiari cautele, nel corso del suo svolgimento e laddove all’amministrazione sia nota tale esigenza (ed a fronte della quale è rimasta inerte).

È opportuno ricordare che, laddove il danno sia derivato da un’attività pericolosa svolta in forza di un provvedimento amministrativo illegittimo, tale (riscontrata) illegittimità rappresenterà indice presuntivo della colpa dell’amministrazione, risultando comunque mitigato l’onere probatorio gravante sul soggetto danneggiato.

La compatibilità con la clausola penale

Così delimitati i contorni della responsabilità extracontrattuale della p.a., derivante da svolgimento di attività pericolosa, è opportuno fare riferimento all’aspetto specifico della compatibilità della clausola penale con tale ipotesi risarcitoria; la questione attiene alla configurabilità della clausola penale di cui all’art. 1382 c.c., che ha funzione di liquidazione forfettaria ed anticipata del danno, a favore della P.A..

Al riguardo, può anticiparsi la soluzione prospettata in via giurisprudenziale, che è orientata in senso affermativo; tuttavia, non è di secondaria importanza ricostruire il percorso argomentativo posto alla base di tale soluzione.

L’art. 1382 c.c. dispone che la clausola con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore; e che la stessa è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.

Strumentale alla soluzione della questione in esame è l’analisi della natura giuridica da attribuire alla clausola penale: clausola inserita in uno schema contrattuale o contratto autonomo.

A questo proposito deve affermarsi che: dal punto di vista formale, si tratta di una clausola contrattuale; mentre, dal punto di vista sostanziale è dotata di autonomia. Ciò in quanto la clausola penale non è collegata al contratto in sé considerato quanto, piuttosto, alle obbligazioni da questo scaturenti potendo, pertanto, le suddette obbligazioni avere la loro fonte sia nel contratto che nel fatto illecito (ben potendo, la clausola penale, operare anche in quest’ambito).

Ne discende che il “risarcimento” cui fa riferimento l’art. 1382 c.c. potrà essere il risarcimento di un danno extracontrattuale, quale quello fonte di responsabilità ex art. 2050 c.c.. In tale ipotesi, l’estensione dell’ambito di operatività della clausola penale all’area extracontrattuale, non dovrà comunque porsi in contrasto con la previsione di cui all’art. 1229 c.c..

Sul punto si rileva che autorevole dottrina (CAPOZZI) [6] ha prospettato l’operatività dell’art. cit. anche con riferimento alle clausole di esonero da responsabilità aquiliana, osservandosi che sono nulle quelle che riguardano fatti lesivi della persona, mentre sono valide quelle che si riferiscono  ad eventi pregiudizievoli alle cose o al patrimonio.

Per quanto concerne, inoltre, il quantum” risarcibile, nella misura in cui l’art. 2056, in tema di valutazione dei danni in ambito extracontrattuale, non richiama l’art. 1225 c.c. operante, invece, in sede contrattuale, con la conseguenza che sarà risarcibile anche il danno “imprevedibile”, in ossequi al principio dell’integrale riparazione del danno ingiusto.

Tale precisazione trova la sua ragion d’essere nella struttura stessa dell’illecito aquiliano da cui il danno deriva: infatti, a differenza del momento in cui sorge un’obbligazione, al momento del verificarsi del fatto illecito non sono predeterminabili le conseguenze dannose che ne deriveranno.

In conclusione, può ribadirsi quanto sopra anticipato e, cioè, che la natura giuridica della clausola penale non è incompatibile con una sua operatività:

  • a) con riferimento alla P.A.;
  • b) con riferimento all’area extracontrattuale potendo, infatti, figurare da “limitazione” (ex art. 1382 c.c.) del danno derivante da svolgimento di attività pericolose poste in essere dalla P.A..

Tale ricostruzione sembra, ad oggi, trovare ulteriore sostegno argomentativo alla luce della pronuncia a Sezioni Unite, n. 16601/2017, con cui la Suprema Corte, riguardo all’ampio dibattito sulla configurabilità nel nostro ordinamento dei danni punitivi, ha espresso il principio di portata generale per cui accanto alla preponderante funzione compensativo-riparatoria, si riconosce alla responsabilità civile una natura polifunzionale, che si proietta verso più aree, tra cui anche quella sanzionatoria. Ne deriva che, pur accedendo alla tesi per cui la clausola penale rivestirebbe una funzione anche, latu sensu punitiva, non se ne riscontra l’incompatibilità con il sistema della responsabilità aquiliana.


[1] Cass. civ., sentenza del 3 dicembre 2007,n. 25187.

[2] F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, p.722, XV edizione, Edizioni scientifiche italiane.

[3] Cass. civ., 26 aprile 2004, n. 7919.

[4] Cfr. Cass. civ., sentenza n°25479/2006

[5] cfr. Cass. civ. sentenza n°3829/1995

[6] Le obbligazioni, manuale e applicazioni pratiche delle lezioni di G.Capozzi, II ed. Giuffrè editore, pag. 133.

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