Responsabilità disciplinare del magistrato: la sospensione cautelare

Con la sentenza n. 3657 del 2024, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione sono state chiamate a valutare il ricorso presentato dalla ricorrente contro la decisione della Sezione Disciplinare del CSM, che aveva rigettato l’istanza di revoca della sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la ragionevolezza della decisione del CSM. Ha, inoltre, sottolineato l’importanza di un’analisi indipendente dei fatti sia nel procedimento penale che in quello disciplinare. La decisione ha valutato, infine, la gravità degli addebiti e la loro coerenza con le normative disciplinari e penali, concludendo che la sospensione cautelare era proporzionata alla serietà delle accuse.

Corte di Cassazione- sez. un. civ.- sent. n. 3657 del 09-02-2024

La questione 

La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha respinto, con un’ordinanza datata 28 luglio 2023, la richiesta di revoca della sospensione cautelare delle funzioni e dello stipendio di un magistrato durante il procedimento disciplinare avviato per presunti illeciti disciplinari. Tale misura era stata stabilita con una precedente ordinanza che ha collocato il magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura in servizio presso il tribunale di Catania. La decisione disciplinare è stata fondata su fatti ritenuti rilevanti, nel quale è stata dichiarata la responsabilità del reato previsto dagli articoli 81, 56 e 317 del c.p., per aver abusato della posizione e dei poteri  al fine di influenzare il processo di riscossione fiscale. Nonostante le obiezioni sollevate dalla difesa, la Sezione Disciplinare ha confermato la legittimità della sospensione cautelare, evidenziando i gravi indizi di colpevolezza emersi durante le indagini penali che disciplinari. In particolare, è stata sottolineata la coerenza tra le testimonianze acquisite e gli elementi probatori, escludendo qualsiasi distorsione dei fatti. La decisione disciplinare è stata oggetto di un ricorso in cassazione.

I motivi di ricorso

Il primo motivo di ricorso evidenzia presunte irregolarità procedurali nella motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo quanto previsto dall’articolo 606 comma 1 lettere c ed e del c.p.p. La ricorrente argomenta che l’ordinanza impugnata ha omesso di svolgere una valutazione indipendente dei fatti, limitandosi a richiamare in modo superficiale le sentenze penali, di cui una è stata annullata e per l’altra mancava ancora la motivazione. Si sottolinea che l’annullamento della prima sentenza comporta la sua nullità, rendendo pertanto impossibile il richiamo della motivazione ad essa relativa.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente mette in luce presunti errori nella ricostruzione dei fatti contenuta nell’ordinanza impugnata, sostenendo che siano state attribuite al teste dichiarazioni mai effettivamente rilasciate, contrarie a verità. Si fa notare che durante il procedimento penale il testimone è stato interrogato con la presenza di un difensore d’ufficio, poiché il difensore di fiducia era impedito a partecipare all’udienza, impedimento ritenuto ingiustificato.
Con il terzo motivo, si contesta la qualificazione legale del fatto come tentata concussione anziché come minaccia, sostenendo che l’effetto intimidatorio si sarebbe esaurito con la fine della conversazione telefonica. Si evidenzia inoltre che l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto delle dichiarazioni del testimone nel processo penale.
Infine, con il quarto motivo, si solleva la questione della nullità dell’ordinanza impugnata e della presunta violazione della legge processuale, sostenendo che la scelta della più grave misura cautelare sarebbe stata immotivata, considerato che la precedente sospensione era stata prolungata per un periodo significativo durato quattro anni. Il magistrato sostiene che la sezione disciplinare non abbia considerato se la precedente sospensione avesse già ottenuto i risultati sperati o se avesse già raggiunto il suo obiettivo.

Le argomentazioni della Corte

Il primo motivo di impugnazione, relativo all’ammissibilità delle sentenze penali di condanna, risulta infondato. L’ordinanza impugnata, pur facendo riferimento alle condanne emesse nel processo penale contro la ricorrente, ha effettuato una valutazione indipendente dei fatti, considerando anche le osservazioni presentate nell’istanza di revoca della misura cautelare. Sono stati esaminati il contenuto delle testimonianze nel processo penale e i dettagli della comunicazione riservata inviata all’avvocato, dalla quale emergono minacce e dubbi circa la sua imparzialità .
È importante sottolineare che, a causa della nullità della sentenza di condanna di primo grado per un vizio processuale e della mancanza di motivazione per la sentenza successiva, al momento dell’emissione dell’ordinanza di sospensione e dell’istanza di revoca non si era ancora giunti a una conclusione definitiva sui fatti. Inoltre, il periodo per impugnare l’ordinanza di sospensione era ancora in corso al momento della presentazione dell’istanza di revoca, consentendo un ulteriore disamina della questione. La sezione disciplinare ha condotto un’approfondita analisi delle prove sia penali che disciplinari e ha concluso che sull’insufficienza degli elementi rilevanti per revocare la misura cautelare. Questa decisione è coerente con il principio secondo cui la sospensione cautelare, prevista come facoltativa dalla legge, richiede una valutazione della gravità dei fatti contestati nel procedimento penale, senza influenzare l’esito di quest’ultimo.
Il secondo motivo di impugnazione, riguardante la ricostruzione dei fatti, è inammissibile . Il respingimento dell’istanza di revoca della sospensione cautelare è il risultato di un’analisi dettagliata degli elementi di fatto provenienti dall’istruttoria penale e disciplinare, insieme a una valutazione dei nuovi elementi presentati per sostenere un presunto cambiamento nella situazione dei fatti. Ciò esclude a monte la possibilità che la motivazione sia solo apparente o affetta da gravi difetti logici.
È importante notare che il controllo sulla motivazione delle decisioni della sezione disciplinare del CSM è limitato alla verifica della coerenza e della logica della stessa, senza la possibilità di rivalutare i fatti su cui si basa la decisione impugnata o di applicare nuovi criteri per valutare tali fatti.
In particolare, le testimonianze dei funzionari dell’ente di riscossione Sicilia e l’estinzione del debito non risultano determinanti, poiché il debito era inequivocabilmente esistente al momento della conversazione telefonica oggetto del procedimento disciplinare. Inoltre, la circostanza che la ricorrente fosse ancora debitrice e soggetta, per l’effetto, alla procedura esecutiva è confermata dal riconoscimento della stessa della situazione.
Il terzo motivo di impugnazione risulta altrettanto non ammissibile, poiché si concentra principalmente sul periodo intercorso tra la conversazione telefonica e i comportamenti successivi della ricorrente, rilevando l’interpretazione dei fatti effettuata dalla sezione disciplinare in merito al presunto legame logico e cronologico tra le condotte contestate. La correttezza di tale interpretazione, soggetta a revisione in questa sede solo per incongruenza o illogicità della motivazione, deve essere valutata considerando la natura e i limiti propri del giudizio affidato alla sezione disciplinare del CSM. Come già evidenziato da precedenti pronunce di legittimità, la sospensione del magistrato dalle funzioni e dallo stipendio, essendo una misura cautelare e non una sanzione disciplinare, non richiede un’accertamento completo della veridicità degli addebiti, ma solo una valutazione della gravità dei fatti contestati e della possibile loro esistenza. L’ordinanza impugnata ha rispettato correttamente questo principio, sottolineando la solidità degli elementi fattuali relativi alla condotta attribuita all’incolpata e la sua riconducibilità all’articolo 317 c.p., considerando così soddisfatto il requisito del fumus commissi delicti necessario per l’applicazione della misura cautelare.
Il quarto motivo di impugnazione non merita altrettanto accoglimento. La valutazione della minore gravità dei fatti, ai fini dell’adozione della misura cautelare meno severa del trasferimento provvisorio ad altro ufficio anziché la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, rappresenta una valutazione di fatto riservata alla sezione disciplinare del CSM e soggetta a revisione in sede di legittimità solo per inadeguatezza, incongruenza o illogicità della motivazione. Nella presente vicenda, nonostante l’omissione di menzione dell’alternativa del trasferimento provvisorio, la scelta della sospensione come misura cautelare risulta adeguatamente giustificata dalla gravità degli elementi di fatto emersi e dalla severità della pena, evidenziando la gravità del reato commesso e la sua capacità di compromettere l’immagine del magistrato su un territorio più ampio. Anche se la sezione disciplinare potrebbe aver preso in considerazione la possibilità di sostituire la sospensione con il trasferimento provvisorio senza una specifica richiesta, non è criticabile l’ordinanza impugnata per non aver esplicitamente esaminato questa eventualità, poiché la difesa della ricorrente ha trovato risposta nelle argomentazioni per il rigetto dell’istanza di revoca. Il fatto che la sospensione sia stata emessa poco dopo la revoca di un analogo provvedimento nei confronti della stessa in un procedimento diverso non incide sull’applicabilità della misura nel presente caso, considerando che i fatti oggetto dei due procedimenti sono distinti.
Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte,  il ricorso presentato dalla ricorrente è stato respinto.

Aggiornata ai decreti attuativi pubblicati il 17 ottobre 2022, la presente opera, che si pone nell’immediatezza di questa varata “rivoluzione”, ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile.

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