Responsabilità dei magistrati nell’esercizio della funzione giudiziaria

in Giuricivile.it, 2023, 7 (ISSN 2532-201X), nota a Corte Cost. sentenza n. 205 del 2022

La definizione di una serie di regole protese a disciplinare i diritti e le libertà della persona ha bisogno, per essere credibile, di idonee tutele da attivarsi in caso di loro violazione. Tra le garanzie previste il nostro ordinamento individua organi specializzati che hanno il compito di interpretare la normativa, risolvere controversie e rispristinare il diritto che risulti violato; organi che sono posti dalla legge in un quadro organizzativo e funzionale indipendente rispetto al potere politico e amministrativo.

Alla funzione giurisdizionale, che trova materializzazione per opera dell’organo giudiziario, si dedica il presente contributo, con particolare riguardo agli interventi che hanno riformato la disciplina della responsabilità del magistrato, fino a giungere alla declaratoria di incostituzionalità (Corte Cost. n. 205/2022) dell’art. 2, comma 1, della L. n. 117/1988 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 2, comma 1, lettera a), della L. n .18/2015 (Disciplina della responsabilità civile dei magistrati), nella parte in cui non prevede il risarcimento dei danni non patrimoniali da lesione dei diritti inviolabili della persona anche diversi dalla libertà personale.

I principi che sorreggono la funzione giudiziaria

I movimenti intellettuali, assieme all’evoluzione dei processi storici concreti, che hanno contribuito a stabilire i principi del costituzionalismo liberal-democratico sul quale si erge il nostro ordinamento, definiscono la funzione giurisdizionale come l’attività volta all’accertamento della volontà normativa da far valere in un caso concreto, oggetto di controversia tra due o più parti, allo scopo di eliminare le incertezze, eventualmente irrogare le sanzioni in caso di illeciti, sì da assicurare la reintegrazione dell’ordine giuridico violato.

La Carta fondamentale, al Titolo IV, Sezione I, rubricata “Ordinamento giurisdizionale”, all’art.101 collega l’amministrazione della giurisdizione al popolo, perché titolare della sovranità (art. 1, comma 2, Cost.) e, al fine di garantire l’assoluta eguaglianza dei cittadini anche di fronte alla legge penale, la stessa Costituzione attraverso il combinato disposto degli artt. 25, commi 2°-3° e 112 Cost., ricomprende nella medesima funzione, anche l’esercizio dell’azione penale deferita al pubblico ministero, che con il giudice è legato ad un rapporto di necessaria compenetrazione organica.

Pertanto, all’interno del nostro ordinamento l’articolazione della funzione giudiziaria prevede una scissione tra attività giudicante, ossia attività decisoria rispetto alla concreta situazione di contrasto sorta tra le parti portatrici di interessi confliggenti, e attività requirente, caratterizzata dalla sollecitazione ed esecuzione delle decisioni degli organi giudicanti qualora debbano essere tutelati interessi essenziali dello Stato-comunità, come la repressione dei reati.

E proprio al fine di assicurare l’esercizio imparziale della giustizia[1], e per meglio garantire la libertà dei cittadini, i magistrati, tassativamente scelti tramite concorso pubblico[2], sono inquadrati in ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere[3]. Ancora, sempre al fine di assicurare la necessaria distinzione tra la funzione giudiziaria e l’esercizio degli altri poteri dello Stato, ossia quello legislativo e quello esecutivo, in perfetta aderenza rispetto ai dettami caratterizzanti lo Stato liberale, all’art. 108 Cost. viene assicurata, altresì, l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia[4].

Infine, per assicurare ai magistrati una posizione istituzionale di effettiva indipendenza, la quale, si ripete, costituisce il presupposto indispensabile per l’esercizio imparziale di una funzione giudiziaria protesa al controllo della legalità e alla difesa delle libertà personali, attenendosi unicamente alla legge vigente, la Carta fondamentale ha predisposto specifiche guarentigie a costellazione della funzione in esame. A riguardo, oltre alle garanzie costituzionali soprarichiamate, si menzionano: l’esclusiva soggezione dei magistrati (giudicanti-requirenti) alla legge (artt. 25, 2° e 3° c., 112 e 108 Cost.); la definizione dello status dei magistrati con apposita legge organica (artt. 102, 1°c; 108, 1°c. Cost.); l’inamovibilità dalla sede e dalle funzioni dei magistrati, che non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non con il loro consenso o per decisone dell’organo competente, adottata per motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario (art. 107, 1° c. Cost.); la distinzione dei magistrati solo per diversità di funzioni (art. 107, 3° c. Cost.); la disponibilità diretta della polizia giudiziaria (art. 109 Cost.).

Da ultimo, non si può tralasciare che i principi di indipendenza e di imparzialità del giudice, come singolo e come potere dello Stato, che assurgono a presupposto irrinunciabile di ogni Stato di diritto, rappresentino anche un valore comune dell’Unione europea.

Se così è, allora, occorre indagare la costante elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia Ue per comprendere quanto, e sulla scorta di quali interpretazioni, l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici degli Stati membri ricoprano un’importanza nodale per l’intero sistema euro-unitario.

Si sottolinea, in primo luogo, la forte attrazione del principio di indipendenza all’orbita dell’art. 2 TUE[5], dunque, a quell’insieme di valori ancorati saldamente alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, che rivestono un impatto diretto sui diritti fondamentali, e verso i quali l’Unione europea sostiene politiche di protezione efficace e diretta, in rapporto di primazia rispetto ai singoli diritti nazionali. Le istanze di protezione, poi, lontane dal rimanere mera evocazione di intenti, tornano nel sostrato dell’art. 19 TUE[6], che concretizza tali esigenze affidando anche ai giudici nazionali l’onere di garantire una tutela giurisdizionale effettiva del diritto dell’Unione.

La necessità di affidare ad un giudice imparziale la tutela dei diritti e delle libertà garantiti dal diritto dell’Unione, inoltre, trova esplicito richiamo all’art. 47 della Carta di Nizza[7], in cui viene assicurato non un generico ricorso al giudice, bensì un ricorso “effettivo”; a dimostrazione di come l’effettività della tutela possa dirsi tale solo se armoniosamente legata ad una applicazione effettiva del diritto, sia da parte del giudice sovranazionale sia da parte del giudice interno.

Infine, i principi di autonomia e indipendenza, come ribadito a più riprese dalla Corte di giustizia Ue, oltre a costituire valori dell’Unione espressamente consacrati, rappresentano il presupposto logico-necessario per garantire il miglior funzionamento del sistema di cooperazione giudiziaria consacrato all’art. 267 TFUE[8].

Il sistema di responsabilità previsto dalla L. n. 117/1988

Nel nostro ordinamento, i magistrati sono soggetti ex art. 101 Cost. soltanto alla legge[9], e non anche ai controlli del potere esecutivo, al fine di garantire l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura.

Invero, la materia costituisce il frutto di un delicato bilanciamento tra il principio di salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati (ex art. 104 Cost.), il principio di responsabilità (ex art. 28 Cost.) e quello di legalità (ex art. 25, comma 2°, Cost.), rispettivamente presenti all’interno del nostro ordinamento.

Ne deriva che, i privati, per ovviare ad errori da essi compiuti, possono esperire solo specifici rimedi che si sostanziano nel sistema delle impugnazioni e nel sistema di responsabilità indiretta delineato dalla L. n.117/1988. Nel dettaglio, secondo quanto disciplinato all’art. 1, il testo normativo in esame si applica a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciale, che esercitino l’attività giudiziaria[10].

La formulazione originaria dell’art. 2, poi, delineava un particolare regime di responsabilità per dolo o colpa grave, prevedendo che chi avesse subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato per dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, potesse agire nei confronti dello Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazioni della libertà personale[11].

Ictu oculi le peculiarità dell’antecedente impianto normativo, che si sostanziano, precipuamente: nella responsabilità diretta dello Stato e solo indiretta del magistrato; nell’immunità del magistrato rispetto ad ipotesi di responsabilità che derivino dall’attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto o delle prove; la tipicità delle ipotesi in cui lo Stato può essere chiamato a rispondere per i danni derivanti dall’esercizio delle funzioni giudiziarie; e la perimetrazione della tutela risarcitoria ai soli danni provocati dalla limitazione della libertà personale.

Nella formulazione antecedente alla riforma del 2015, inoltre, le ipotesi di responsabilità per violazioni di legge risultavano limitate a casi macroscopici. Più in particolare, secondo l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità configurava negligenza inescusabile quella che conduceva ad una “violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma applicata”, ovvero “ad una violazione contrastante con ogni criterio logico”, oppure “all’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della mens legis”, o ancora consistente “nella manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e nello sconfinamento dell’interpretazione nel cosiddetto diritto libero”[12].

L’intervento riformatore della L. n. 18/2015

Come anticipato, la materia è stata riformata con la L. n. 18/2015[13], che ha modificato la disciplina della responsabilità civile dei magistrati, anche al fine di adeguare l’ordinamento italiano alle indicazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Le innovazioni hanno interessato, sinteticamente:

  • Il mantenimento della responsabilità indiretta del magistrato, posto che la tutela risarcitoria rimane azionabile nei confronti dello Stato.
  • La limitazione applicativa della clausola di salvaguardia che esclude la responsabilità del magistrato nell’attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove. Difatti, la medesima legge, pur confermando in generale che il magistrato non è chiamato a rispondere per le attività di cui sopra, esclude da tale ambito di irresponsabilità le ipotesi di dolo, di colpa grave e di manifesta violazione della legge e del diritto della Ue.
  • Ridefinizione, in senso più ampio, delle fattispecie di colpa grave. Invero, esse, attualmente, ricomprendono: la violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea; il travisamento del fatto o delle prove; l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento (o viceversa la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento)[14].
  • La eliminazione del filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda, attraverso l’abrogazione del filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento davanti al tribunale del distretto di Corte d’Appello.
  • L’introduzione di una più stringente disciplina della rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato. Nel dettaglio, si prevedono le seguenti novità: l’azione deve essere esercitata entro 2 anni dal risarcimento avvenuto sulla base del titolo giudiziale; la rivalsa verso il magistrato è obbligatoria; i presupposti dell’azione sono il diniego di giustizia, la violazione manifesta della legge e del diritto dell’Ue ed il travisamento del fatto o delle prove; l’elemento soggettivo della condotta del magistrato deve essere il dolo o la negligenza inescusabile; in termini quantitativi la rivalsa non può eccedere una somma pari alla metà di un’annualità di stipendio.

Da ultimo, e per ciò che interessa i fini della presente trattazione, la L. n. 18/2015 è intervenuta sull’art. 2, 1° c., della L. n. 117/1988 attraverso l’ampliamento della tipologia dei danni risarcibili, affermando la piena risarcibilità dei danni non patrimoniali, non soltanto generati da una limitazione della libertà personale.

Declaratoria di illegittimità costituzionale (Corte Cost. n. 205/2022)

L’attuale affermazione della piena risarcibilità dei danni non patrimoniali, prende le mosse dalla questione di legittimità costituzionale sollevata con ordinanza interlocutoria n. 31321/2021 dalla Corte di Cassazione, afferente a due aspetti nodali della responsabilità civile dei magistrati:

  • come regolamentare la risarcibilità del danno non patrimoniale in relazione ai fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della modifica introdotta con la L. n. 18/2015 se, la medesima, non ha previsto alcun regime transitorio derogante il principio di irretroattività espressamente previsto dall’art. 11 delle disposizioni generali;
  • la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale alle sole ipotesi in cui l’errore giudiziario si risolva in una limitazione della libertà personale (in evidente contrasto con il principio di globalità risarcitoria presente nell’attuale sistema ordinamentale), applicabile alle fattispecie che siano ancora sub iudice, data l’assenza di una disciplina intertemporale.

Nel dettaglio, con la prima questione, il Supremo Collegio, evidenziava il vulnus generato dalla legge riformatrice, data l’assenza di disposizioni transitorie che potessero estendere l’applicazione delle modifiche operata con L. n. 18/2015 ai giudizi in corso, ancorché relativi a fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore[15]. Con la seconda argomentazione, invece, la Corte riteneva fondate le contestazioni svolte dal ricorrente in ordine alla legittimità costituzionale delle norme sopra individuate[16], rispetto ai parametri degli artt. 2, 3 e 32 Cost., tali da imporre la remissione delle relative questioni al Giudice delle leggi. Più in particolare, “nell’ambito di un ordinamento giuridico che riconosce massima espansione ai diritti della persona e alla tutela dei suoi valori, non è fuor di luogo dubitare della ragionevolezza della scelta di far dipendere il riconoscimento o l’esclusione del risarcimento per poste afferenti ad una medesima categoria di pregiudizio (quello non patrimoniale) dal solo fatto che l’illecito che ha determinato il danno sia o non sia costituito da un provvedimento limitativo della libertà personale, con totale irrilevanza delle conseguenze, in concreto intervenute, di attività giudiziarie che nelle peculiarità della singola fattispecie possano essersi rivelate particolarmente invasive della sfera dell’individuo e lesive di valori di rango costituzionale; […]”[17].

Sulla scorta di quanto sinteticamente esplicato, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 205/2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della L. n. 117/1988, nella parte in cui limita il risarcimento dei danni non patrimoniali alla sola lesione della libertà personale, escludendo dalla medesima tutela tutti gli altri diritti inviolabili della persona garantiti dall’art. 2 Cost.

Nel dettaglio, il percorso interpretativo seguito dalla Consulta fa perno sulle consolidate riflessioni aventi ad oggetto l’estensione dei danni non patrimoniali, vincolati alla formulazione letterale presente all’art. 2059 c.c.[18], realizzatasi attraverso una lettura costituzionalmente orientata che li ha visti enucleare nel significato più intrinseco dei “diritti inviolabili dell’uomo” di cui all’art. 2 Cost. Ne deriva che proprio l’evoluzione ermeneutica operata sull’art. 2059 c.c., di fatto, rende ancora più evidente il contrasto tra quanto disposto all’art. 2 della L. n. 117/1988 e l’esigenza di una tutela risarcitoria piena, posto che “l’attuazione di una maggiore protezione dei diritti dell’uomo è connessa con lo sviluppo globale della civiltà umana”[19]. Più in particolare precisa la Corte che “la lesione dei diritti inviolabili della persona, di cui all’art. 2 Cost., è stata ascritta ai «casi previsti dalla legge», che ai sensi dell’art. 2059 c.c. consentono il risarcimento dei danni non patrimoniali. Più precisamente, sia la previsione, nell’art. 2 Cost., della “garanzia” dei diritti inviolabili della persona, sia il senso stesso dell’inviolabilità, proiettata nei rapporti orizzontali, sono stati ritenuti idonei a recepire implicitamente il rinvio di cui all’art. 2059 c.c. Ai diritti inviolabili della persona non può negarsi la tutela civile offerta dal risarcimento dei danni non patrimoniali che, non differenziando i danneggiati in base alla loro capacità di produrre reddito, assicura una protezione basilare, riconoscibile a tutti e idonea a svolgere una funzione solidaristico- satisfattiva, talora integrata – in presenza di una particolare gravità soggettiva dell’illecito e relativamente alla componente del danno morale – anche da una funzione individual-deterrente”[20].

Detto in altri termini, la selezione di un unico diritto inviolabile della persona (nello specifico la libertà personale ex art. 13 Cost.) risulta irragionevole considerato che, a fronte delle evoluzioni del diritto vivente e del contributo del diritto sovranazionale, la valenza giuridica nel nostro sistema di “tutti” i diritti inviolabili dell’uomo risulta di tale importanza, da poter affermare che la stessa organizzazione dei pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro svolgimento e alla loro protezione. Invero, il riconoscimento dei diritti fondamentali della Costituzione rappresenta uno degli elementi caratterizzanti lo Stato di diritto e, non a caso, essi trovano le loro guarentigie nella rigidità della Carta fondamentale e nel controllo di costituzionalità delle leggi affidato alla Corte Costituzionale.

Concludendo, i diritti fondamentali non solo costituiscono i principi supremi dell’ordinamento, ma qualificano, altresì, la stessa struttura democratica dello Stato, la quale verrebbe sovvertita qualora fossero sminuiti, decurtati, o peggio, violati.


[1] Art. 111 Cost. “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. […]”.

[2] Regolato dal D.lgs. n. 160/2006, poi modificato dalla L. n. 111/2007, di recente ulteriormente riformato per effetto della L. n. 71/2022 “Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità  e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”, che interviene, tra le altre questioni relative all’ordinamento giudiziario, sulla disciplina del concorso in magistratura.

[3] Art. 104 Cost. “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vice presidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.

[4] Data la sussistenza di una riserva di legge nei confronti delle norme sull’ordinamento giudiziario, il medesimo principio di riserva di legge è stabilito per le giurisdizioni speciali, il pubblico ministero e tutti i cittadini chiamati a svolgere eccezionalmente funzioni giurisdizionali.

[5] Art. 2 TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

[6] Art. 19 TUE: “La Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione. […]”.

[7] Art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. […]”.

[8] Nello specifico, il rinvio pregiudiziale, attivato dagli organi giurisdizionali nazionali, si inserisce incidentalmente nel processo nazionale riguardo a questioni che possono sorgere, relativamente a: – l’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione europea; – la validità di un atto dell’Unione europea.

Ciò premesso, la Corte di giustizia ha affermato che, la circostanza che “una domanda di pronuncia pregiudiziale promani da un organo giurisdizionale nazionale , [fa presumere] che quest’ultimo soddisfi [i seguenti requisiti]: […] l’origine legale dell’organo considerato, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, il fatto che il suo procedimento si svolga in contraddittorio, l’applicazione, da parte di detto organo, delle norme giuridiche, nonché la sua indipendenza”. (Corte di giustizia, causa C-132/20, punto 66. Inoltre, Corte di giustizia, causa C.274/14; Corte di giustizia, causa C- 748/19; Corte di giustizia, causa C-754/19).

[9] Monolitiche, in questo senso, storiche pronunce della Corte Costituzionale che, nell’interpretare il combinato degli artt. 101 e 104 Cost., ha, fin dagli albori della propria giurisprudenza, affermato che “l’art. 101, enunciando il principio di indipendenza del singolo giudice, ha inteso indicare che il magistrato nell’esercizio della sua funzione non ha altro vincolo che quello della legge.” (Corte Cost. sentenza n. 22/1959). Ancora, “Le norme costituzionali, di cui si lamenta la violazione, garantiscono la libertà e l’indipendenza del giudice, nel senso di vincolare la sua attività alla legge e solo alla legge, in modo che egli sia chiamato ad applicarla senza interferenze od interventi al di fuori di essa, che possano incidere sulla formazione del suo libero convincimento.” (Corte Cost. sentenza n.8/1962).

[10] Art. 1, L. n. 117/1988: “Le disposizioni della presente legge si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria. […]”.

[11] Art. 2, L. n.117/1988: “Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato per dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazioni della libertà personale. Nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove. Costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto  la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta  incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà  della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

[12] Cass. sentenza n. 6791/2016. Ancora, sul punto, Cass. sentenza n.11747/2019, secondo cui: “La grave violazione di legge, fonte di responsabilità ai sensi dell’art. 2, lett. a) della L. n.117 del 1988, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n.18 del 2015, va individuata nelle ipotesi  in cui la decisione appaia non essere frutto di un consapevole processo interpretativo, ma contenga affermazioni  ad esso non riconducibili perché sconfinanti  nel provvedimento abnorme  o nel diritto libero,  e pertanto caratterizzate da una negligenza inesplicabile, prima ancora che inescusabile, restando pertanto sottratta alla operatività della clausola di salvaguardia di cui all’art. 2 , comma 2 della legge citata, ipotesi che può verificarsi in vari momenti dell’attività prodromica alla decisione, in cui la violazione non si sostanzia negli esiti del processo interpretativo, ma ne rimane concettualmente e logicamente distinta, ossia quando l’errore del giudice cada sulla individuazione, ovvero sulla applicazione o, infine,  sul significato della disposizione, intesa quest’ultima  come fatto, come elaborato linguistico preso in considerazione dal giudice che non ne comprende la portata semantica”.

[13] La legge introduce disposizioni volte a modificare le norme di cui alla L. n. 117/1988, al fine di rendere effettiva la disciplina che regola la responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

[14] Art. 2, L. n. 117/1988: “[…] Fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed i casi di dolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove. Costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove, ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale al di fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n.543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione di casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tenere conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

[15] “Va premesso che, collocandosi i fatti posti in essere a base della richiesta risarcitoria interamente nell’arco temporale 2004/2007 (compreso fra l’effettuazione della perquisizione e il decreto di archiviazione) e non essendo stato dedotto che i danni non patrimoniali lamentati dal ricorrente si siano verificati in epoca successiva, deve ritenersi che sia le condotte lesive che la produzione dei danni ricadano interamente sotto la disciplina del testo originario della L. n. 117/1988, art.2, vigente ratione temporis; va escluso pertanto che la vicenda, ancorché ancora pendente in sede giudiziale, possa essere considerata “non esaurita” e tale da poter ricadere nel regime novellato dalla L.. n. 18/2015; invero, la circostanza che il diritto non sia stato in grado di sorgere (in quanto non riconosciuto dall’ordinamento alla stregua della L. n. 117/1988) al momento in cui si verificarono i fatti lesivi e i danni conseguenti comporta, in difetto di  norma espressa o chiaramente interpretabile in tal senso, che lo stesso non possa  considerarsi suscettibile di venire ad esistenza successivamente, per effetto di una norma sopravvenuta, nel corso di un giudizio in cui siffatto diritto non avrebbe potuto essere azionato. A fronte della mancanza di previsioni espresse di retroattività della L. n. 18/2015, che valgano a derogare espressamente alla regola prevista dall’art. 11 delle disp. gen., escludersi che la retroattività possa comunque desumersi dalla natura dell’intervento legislativo del 2015.” (Corte Cass. ordinanza interlocutoria n. 31321/2021, punti 3.1.1., 3.1.2.).

[16] Invero, in assenza di una espressa disciplina transitoria derogatrice del principio di irretroattività, le fattispecie ancora attratte nella sfera normativa antecedente alla L. n. 18/2015, anche se allo stato ancora pendenti sotto il giudizio del giudice, rilevano un bilanciamento fra opposte esigenze (l’indipendenza della magistratura, da una parte, e la garanzia delle libertà fondamentali dell’individuo, dall’altra) del tutto anacronistico rispetto alle valutazioni operate dal legislatore dell’epoca.

[17] Corte di Cass. ordinanza interlocutoria n.31321/2021, punto 3.2.1.).

[18] Che ammette la risarcibilità del danno non patrimoniale “solo nei casi determinati dalla legge”.

[19] S. Rodotà, “I nuovi diritti che hanno cambiato il mondo”, stralcio dell’intervento alle “Lezioni Noberto Bobbio” – Torino 25-10-2004.

[20] Corte Cost. sentenza n.205/2022.

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