L’ordinanza interlocutoria n. 24227/2024 della Corte di Cassazione vede al centro una questione legata alla responsabilità civile da custodia. Nello specifico, la vicenda riguarda l’interpretazione dell’art. 2051 c.c. e sulle implicazioni della responsabilità da custodia, con particolare riguardo al nesso di causalità e all’onere della prova.
Corte di Cassazione- sez.III civ.-ord. int.- n. 24227 del 09-09-2024
La vicenda
La vicenda è nata dopo che la compagnia assicurativa ha risarcito un condominio per i danni di un incendio e ha agito contro il proprietario dell’auto ritenuta all’origine del rogo. In primo grado, il Tribunale ha accolto la richiesta, affermando che l’auto ha contribuito alla propagazione delle fiamme, indipendentemente dall’origine precisa dell’incendio.
In appello, la Corte ha ribaltato la decisione, sostenendo che senza una prova certa sull’innesco dell’incendio non potesse essere imputata la responsabilità al proprietario, poiché le possibili cause individuate dal consulente tecnico erano tutte ugualmente probabili.
Il nesso di causalità
Uno dei punti cardine della controversia riguarda il nesso di causalità tra la cosa in custodia (l’autovettura) e l’evento dannoso. Secondo l’art. 2051 c.c., il custode è responsabile dei danni provocati dalla cosa custodita, salvo che dimostri l’esistenza di un caso fortuito. Allianz ha contestato la sentenza della Corte d’Appello, affermando che non fosse necessario provare con assoluta certezza che l’incendio fosse originato dal veicolo, ma che fosse sufficiente dimostrare che quest’ultimo avesse contribuito al propagarsi delle fiamme.
La Corte d’Appello, al contrario, aveva ritenuto che la prova dell’origine del danno fosse un elemento essenziale per configurare la responsabilità da custodia. La decisione, secondo Allianz, non tiene conto della giurisprudenza consolidata, che riconosce come sia sufficiente che la cosa custodita abbia avuto un ruolo nell’evento dannoso, anche solo partecipando al processo di propagazione delle fiamme.
L’onere probatorio
Un altro aspetto rilevante riguarda la ripartizione dell’onere della prova. Secondo la Corte d’Appello, spettava alla parte attrice dimostrare che l’incendio avesse avuto origine dall’auto del proprietario. La società assicurativa, invece, ha sostenuto che la prova richiesta riguardasse un fatto negativo – cioè l’assenza di altre cause dell’incendio – e che, pertanto, non potesse gravare sul danneggiato.
L’agenzia assicurativa ha affermato che, una volta dimostrato il coinvolgimento della vettura nel propagarsi dell’incendio, la responsabilità da custodia dovrebbe essere automatica, a meno che il custode non avesse dimostrato l’esistenza di un caso fortuito. In questo senso, la mancata individuazione dell’origine dell’incendio non esonera il custode dal rispondere per i danni, poiché il rischio dell’ignoto grava su di lui e non sulla parte danneggiata.
Il ruolo della cosa custodita nell’evento danno
Un altro tema fondamentale affrontato riguarda il ruolo svolto dalla vettura durante l’incendio. Anche se non fosse stato provato che il rogo fosse partito dal veicolo, la sua presenza nel box e il fatto che avesse contribuito all’alimentazione delle fiamme sarebbero stati elementi sufficienti per far scattare la responsabilità da custodia.
Conclusioni
L’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ha scelto di rimettere la questione alle Sezioni Unite. Il nodo centrale della vicenda risiede nell’interpretazione del nesso di causalità e nella corretta applicazione della responsabilità da custodia, in particolare quando l’origine del danno non sia accertata con certezza.
Questa ordinanza offre l’opportunità di riflettere su come debba essere trattata la responsabilità da cose in custodia in situazioni di incertezza probatoria, e sul peso che l’onere della prova assume in tali circostanze.
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