Rendita vitalizia lavoratore: dies a quo della prescrizione

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite Civili la questione afferente alla decorrenza della prescrizione in danno del lavoratore sulla rendita vitalizia.

Corte di Cassazione- Sez. Lav.- ord. int. n. 13229 del 14-05-2024

La questione

La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza, ha autorizzato un lavoratore a versare all’INPS una somma per costituire una rendita vitalizia, corrispondente alla pensione che avrebbe ottenuto senza le omissioni di natura contributiva. La Corte ha precisato il dovere dell’INPS di costituire la rendita a seguito del versamento e ha stabilito che la prescrizione del diritto iniziava a decorrere dal momento in cui il lavoratore aveva saputo dell’impossibilità del datore di lavoro di versare i contributi.

Il motivo di ricorso

L’INPS ha presentato ricorso principale in cassazione, adducendo la violazione dell’art. 13 della l. n. 1338 del 1962. In particolare, ha sostenuto che la Corte territoriale avesse considerato la conoscenza dell’impossibilità del datore di lavoro di costituire la rendita come rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione in luogo dell’omissione contributiva.

Le argomentazioni della Corte

I giudici ermellini hanno chiarito che l’art. 13 della l. 1338 del 1962 stabilisce che qualora il datore di lavoro abbia omesso di versare i contributi per l’assicurazione obbligatoria e che non possa più versarli per la sopravvenuta prescrizione, può chiedere all’INPS di costituire una rendita vitalizia pari alla pensione di spettanza del lavoratore. Se il datore di lavoro non provvede, il lavoratore può sostituirlo, pretendendo anche il risarcimento del danno.
In passato, la giurisprudenza giuslavoristica era unanime nel ritenere che tale facoltà rimessa al lavoratore potesse essere esercitata senza limiti temporali; mentre, la sentenza della Corte di Cassazione, n. 6361 del 1984 aveva affermato che l’azione del lavoratore fosse soggetta al termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 2946 c.c. (orientamento ribadito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità).
Tuttavia, i giudici di legittimità hanno ricordato che la sentenza n. 7853 del 2003 avesse sollevato obiezioni, in quanto aveva ritenuto che la facoltà di costituire una rendita vitalizia non dovrebbe essere soggetta a prescrizione, in base all’argomento letterale previsto dall’art. 13 della l. 1338 del 1962.
Secondo questa interpretazione, il momento della prescrizione dei contributi, del maturare del diritto alla pensione, o del conseguimento della pensione non dovrebbero influire sulla possibilità del lavoratore di costituire la rendita.

Le Sezioni Unite del 2005

La questione è stata poi affrontata dalle Sezioni Unite Civili con sentenza n. 840 del 2005, che hanno affermato che il diritto del lavoratore alla costituzione della rendita vitalizia è soggetto al termine di ordinario di prescrizione decorrente dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’INPS.
Nonostante questo principio costituisca diritto vivente, i giudici ermellini hanno ritenuto il riesame della questione alla luce delle argomentazioni dedotte dal controricorrente nel ricorso incidentale che muove intorno alla prescrittibilità dell’azione.
Indipendentemente dalle argomentazioni avanzate dalla Corte di Cassazione n. 7853 del 2003, che affermava l’imprescrittibilità dell’azione, si devono considerare le ragioni letterali e la ratio dell’art. 13 della legge n. 1338/1962. Recentemente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 31337 del 2022 ha ribadito che la norma mira a permettere la regolarizzazione contributiva per valorizzare i periodi non sanabili per prescrizione, collegandosi strettamente all’art. 2116, comma 2, c.c., che rende l’imprenditore responsabile del danno derivante dalla mancata o irregolare contribuzione, configurando una forma di reintegrazione specifica del danno subito dal lavoratore.
La giurisprudenza ha chiarito che l’azione del lavoratore ai sensi dell’art. 13, comma quinto, della legge n. 1338/1962, volta alla costituzione della rendita vitalizia, non è soggetta alla decadenza triennale di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970, né richiede la presentazione di una domanda amministrativa. Questa azione non riguarda una prestazione previdenziale diretta, bensì mira a correggere la riduzione pensionistica derivante dall’omesso versamento dei contributi.

La rimessione alle Sezioni Unite Civili

Secondo la dottrina, l’art. 13 della l. n. 1338 del 1962 favorisce il datore di lavoro poiché il versamento dell’importo per costituire la riserva gli  consente di risarcire il danno causato al lavoratore dall’omissione contributiva.
Tuttavia, sorgono dubbi nei rapporti tra l’ente previdenziale e il datore di lavoro che intenda utilizzare l’art. 13 della legge n. 1338/1962 per compensare il danno al lavoratore e tra l’ente previdenziale e il lavoratore che voglia sostituirsi al datore di lavoro nel versamento della riserva. In questi casi, per i giudici, l’ente previdenziale è solo il destinatario di un pagamento destinato a coprire interamente l’onere assunto dall’assicurazione obbligatoria.
In definitiva, i giudici di legittimità hanno chiarito che l’art. 13 della legge n. 1338 del 1962 è chiaramente ispirata a scongiurare “il rischio di rendere potenzialmente definitivo il danno inferto al lavoratore dall’omissione contributiva”; sicché la tesi dell’imprescrittibilità dell’ente previdenziale costituirebbe uno svantaggio in capo al lavoratore dal momento che la prescrizione inizierebbe a decorrere il danno ex art. 2116 comma 2 c.c.
Tuttavia, per i giudici ermellini, la certezza interpretativa dell’art. 13 rende necessario la rimessione alle Sezioni Unite Civili.

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