Registrazioni telefoniche: sono utilizzabili come prove nel giudizio civile?

Sommario: 1. Principio dispositivo, prove tipiche e prove atipiche; 2. Differenza tra intercettazioni e registrazioni telefoniche; 3. Registrazioni telefoniche e processo civile: efficacia e utilizzabilità.

1. Principio dispositivo e principio del libero convincimento del Giudice tra prove tipiche e prove atipiche

Il Principio dispositivo di cui all’art. 115 c.p.c. costituisce il limite all’ambito operativo del Giudice, il quale deve porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti.

Come noto, infatti, fermo restando il c.d. “giudizio di diritto” – ossia la determinazione della norma da applicare al caso concreto – spettante in via esclusiva all’Organo Giudicante, il c.d. “giudizio di fatto”, relativo al fatto storico controverso, deve invece fondarsi sulle prove proposte dalle parti, sui fatti non specificamente contestati e sulle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Le prove fornite dalle parti, in base al generale principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), si differenziano in due categorie:

  • le prove tipiche
  • le prove atipiche

Queste ultime non sono tipizzate dal Legislatore, tuttavia la dottrina e la giurisprudenza da anni le ritengo ammissibili  in forza dell’assenza di una previsione espressa quale numerus clausus delle prove.

Le prove tipiche, a loro volta, si suddividono in:

prove costituite: già formate prima che inizi il giudizio, come ad esempio, i documenti che si offrono in comunicazione al giudice, gli atti pubblici, le scritture private, telegrammi, scritture contabili ecc.

Tra queste vanno annoverate anche le riproduzioni meccanografiche previste all’art. 2712 c.c. (riproduzioni fotografiche, informatiche, cinematografiche, nonché registrazioni fonografiche).

prove costituende: si formano nel corso del processo, nel contraddittorio tra le parti e avanti al Giudice; tra queste vanno ricordate, a titolo esemplificativo, le prove orali, l’ispezione, l’ordine di esibizione di documenti ecc.

Da tale classificazione deriva un diverso approccio da parte del Giudicante circa la loro ammissione.

Per le prove costituite, infatti, l’ammissibilità può dirsi collegata alla tempestività e alla ritualità della loro allegazione, mentre per le prove costituende è determinante anche la valutazione da parte dell’Autorità Giudiziaria della sussistenza delle condizioni sostanziali (come è il caso della prova testimoniale: artt. 2721 ss. c.c.) e processuali (nell’esempio della prova testimoniale: artt. 244 e 246 c.p.c.).

In materia di prove, vige il Principio del libero convincimento del giudice (art. 116 c.p.c.) secondo il quale spetta al Giudice la valutazione delle prove secondo il suo “prudente apprezzamento”, ossia Egli è tenuto a valutare l’attendibilità di ogni circostanza posta alla sua attenzione, ma non necessariamente ad utilizzarla.

Tale dettato viene mitigato dalla previsione di precisi limiti costituiti dalle c.d. prove legali (atto pubblico, scrittura privata autenticata, confessione e giuramento), solo in presenza delle quali al Giudice è inibita qualsiasi valutazione, dovendosi semplicemente attenere alle risultanze come stabilito dalla legge (c.d. Principio di vincolatività delle prove legali).

Differenza tra intercettazioni e registrazioni telefoniche

Per determinare quando la registrazione telefonica sia lecita e legittimamente utilizzabile in giudizio, occorre riferirsi alla giurisprudenza penale che, con orientamento costante, ha evidenziato la liceità delle registrazioni foniche e visive effettuate tra privati, presenti alla conversazione.

La Suprema Corte, infatti, pone una netta differenziazione tra registrazioni private e le c.d. intercettazioni:

  • le registrazioni private vengono compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, senza necessità di autorizzazione alcuna;
  • le intercettazioni, invece, sono uno strumento di indagine riservato alla Magistratura, possono essere disposte in presenza di specifici reati e vanno svolte con precise modalità di legge perché impongono il sacrificio del diritto alla privacy: in questo caso la captazione occulta di conversazioni svolte telefonicamente o tramite altri mezzi è eseguita da un soggetto estraneo al dialogo[1].

Il principio affermato dalla Suprema Corte è che “la registrazione della conversazione effettuata da uno degli interlocutori all’insaputa dell’altro non è classificabile come intercettazione, ma rappresenta una modalità di documentazione dei contenuti della conversazione, già nella disponibilità di chi effettua la “documentazione” e potenzialmente riversabili nel processo attraverso la testimonianza” (Cass. pen., sez. II, 20/03/2015, n. 19158).

In caso di registrazione di un colloquio ad opera di un soggetto che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammesso ad assistervi non vi è alcuna compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, proprio perché l’oggetto della comunicazione viene legittimamente appreso da chi era il destinatario della stessa o comunque non era “terzo” o intruso.

La stessa Suprema Corte spiega chiaramente il ragionamento seguito: “La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a far parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio).

Può dunque essere affermato il principio che la registrazione della conversazione effettuata da uno degli interlocutori all’insaputa dell’altro non è classificabile come intercettazione, ma rappresenta una modalità di documentazione dei contenuti della conversazione, già nella disponibilità di chi effettua la “documentazione” (Cass. pen., sez. II, 20/03/2015, n. 19158).

Dunque, per la Cassazione Penale non è illecito e non costituisce reato registrare una conversazione perché chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione, purché lo si faccia allo scopo di tutelare un diritto proprio o altrui.

Va da sé che il contenuto non può essere diffuso arbitrariamente altrimenti si violerebbe la normativa sulla privacy[2].

Infatti, come prevede l’art. 13 del Codice Privacy, l’utilizzo delle registrazioni è consentito solo quando esse siano volte a far valere o a difendere un diritto in sede giudiziaria, purché venga circoscritto esclusivamente al perseguimento delle finalità dichiarate e per il periodo strettamente necessario.

Pertanto, non costituisce reato la registrazione di un colloquio qualora rispetti tre requisiti:

  1. Venga effettuata da chi partecipa o assiste legittimamente alla conversazione;
  2. Venga effettuata al fine di tutelare un diritto proprio o altrui;
  3. Non venga arbitrariamente diffusa.

Registrazioni telefoniche e processo civile: efficacia e utilizzabilità

Una volta appurato che le registrazioni di conversazioni (anche telefoniche) non costituiscono reato, come spesso si sente dire, si passa ora ad analizzare l’utilizzabilità delle stesse all’interno del giudizio civile.

Come detto, le registrazioni video e fonografiche possono costituire prova in giudizio e vanno annoverate tra le c.d. prove costituite e, nello specifico, tra le prove meccanografiche, previste e disciplinate dall’art. 2712 c.c.

Esse, dunque, soggiacciono alle stesse regole relativamente alla produzione in atti e alle eccezioni di decadenza o disconoscimento ex artt. 2712 o 2719 c.c.

Dal dettato della norma consegue che le registrazioni provano le cose e i fatti in esse rappresentati, purché la parte contro la quale sono prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti e alle cose medesime.

Ciò in ragione del fatto che, essendo prove formatesi fuori dal processo e senza le garanzie dello stesso, la loro efficacia probatoria può essere limitata qualora la parte contro la quale sono state prodotte ne effettui il disconoscimento.

Detto disconoscimento, tuttavia, affinché determini la perdita della qualità di prova della registrazione non deve essere generico, bensì deve essere tempestivo e la contestazione deve essere precisa, chiara e deve indicare le ragioni per le quali la registrazione di ritiene inattendibile.

La Cassazione si è espressa esplicitamente sul punto affermando che il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni stesse la loro qualità di prova, deve “essere chiaro, circostanziato ed esplicito” (dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta).

Deve inoltre avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla rituale acquisizione delle suddette riproduzioni, venendosi in caso di disconoscimento tardivo ad alterare l’iter procedimentale in base al quale il legislatore ha inteso cadenzare il processo in riferimento al contraddittorio[3].

Altro requisito necessario affinché il Giudice possa dedurre argomenti di prova da una registrazione è che almeno una delle parti, tra le quali la conversazione stessa si svolge, sia parte in causa – requisito espressamente richiesto dalla Suprema Corte, anche in sede civile, come ribadito da una recentissima pronuncia[4].

Nel caso di contestazione, comunque, le registrazioni non sono del tutto inutilizzabili, ma possono assurgere ad elemento di prova che, unito agli altri, può fondare il convincimento del Giudice.


[1] Cfr. Cass. Pen. Sez. 1^, 14-4-1999, Iacovone; Sez. 1^, 14-2- 1994, Pino; Sez. 6^, 8-4-1994, Giannola.

[2] Cfr. Cass. pen., sez. III, 24/03/2011, n. 18908.

[3] Cfr. Cass. civ., sez. III, 22/04/2010, n. 9526.

[4] Cfr. Cassazione civile, sez. VI, 01/03/2017, n. 5259, nonché Cass., sez. lav., 28 gennaio 2011, n. 2117; Cass., sez. III, 22 aprile 2010, n. 9526.

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