Con ordinanza n. 6144 del 2024, la Suprema Corte ha analizzato una questione riguardante la corretta valutazione della reciproca soccombenza tra le parti coinvolte e all’applicazione dei principi giuridici relativi alla chiamata in causa del terzo e alla ripartizione delle spese processuali.
Corte di Cassazione- sez. III civ.- ord. n. 6144 del 07-03-2024
La questione
Nel caso di specie, una parte ha agito per richiedere il risarcimento dei danni subiti da un immobile durante la costruzione di un edificio residenziale e per chiedere il riposizionamento di una recinzione di confine. In risposta, il convenuto ha avanzato una richiesta di usucapione sull’area occupata dalla recinzione e ha coinvolto terze parti responsabili dei lavori e assicuratori per la copertura assicurativa.
Il Tribunale ha respinto le richieste di parte attrice, condannandola al pagamento delle spese legali a favore del convenuto e ha emesso diverse condanne per le spese processuali tra le varie parti coinvolte. La Corte d’appello ha parzialmente modificato la decisione del Tribunale, ordinando alla parte convenuta di spostare le fondazioni del muro di recinzione entro i confini della sua proprietà.
La parte convenuta ha presentato ricorso su tre motivi.
Soccombenza reciproca tra le parti
Il primo motivo del ricorso ha denunciato la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. riguardo alla dichiarata soccombenza reciproca tra le parti coinvolte e la conseguente compensazione delle spese legali.
La società ricorrente ha contestato la decisione del giudice distrettuale di compensare le spese del doppio grado di giudizio con l’altra parte, sostenendo che tale decisione sarebbe stata presa in modo arbitrario anziché discrezionale nel valutare la reciproca soccombenza parziale. Secondo la società ricorrente, la sua posizione non avrebbe dovuto essere considerata soccombente nella domanda riconvenzionale di usucapione, poiché l’azione riguardava il regolamento di confini e l’iniziale prospettazione dell’altra parte era stata solo parzialmente accolta.
Infine, si sostiene che la corte d’appello avrebbe omesso di valutare il comportamento processuale complessivo della parte attrice, che avrebbe rifiutato proposte conciliative senza giustificazione, che, per effetto, avrebbe dovuto comportare l’addebito delle spese processuali a quest’ultima. Tuttavia, il motivo del ricorso è stato dichiarato infondato.
Per i giudici di legittimità, la corte d’Appello ha correttamente identificato una situazione di soccombenza reciproca tra l’attore e la società convenuta. L’attore aveva presentato due domande contro l’attuale parte ricorrente: una richiesta di risarcimento danni e una richiesta di regolamento di confini, che includeva la richiesta di spostamento del muro posizionato tra le rispettive proprietà.
Il giudice distrettuale ha respinto una delle domande dell’attore (quella per il risarcimento danni) e ha accolto parzialmente l’altra, con conseguente rigetto della domanda riconvenzionale subordinata presentata dalla convenuta: è evidente la verificazione di una situazione di reciproca soccombenza parziale.
Sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, il ricorso oggetto della controversia non fornisce argomentazioni in grado di giustificare una revisione della decisione. Viene sottolineato che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote di spese processuali da ripartire o compensare tra le parti, ai sensi dell’articolo 92, comma 2, c.p.c., rientrano nella discrezionalità del giudice di merito e non sono soggette a controllo di legittimità. Infatti, il giudice non è vincolato a rispettare una precisa proporzionalità tra la domanda accolta e l’ammontare delle spese a carico del soccombente. Nel caso di specie, una valutazione di questo tipo è stata effettuata dal giudice di merito (nel secondo grado, dopo la modifica della decisione di primo grado) e non può essere considerata arbitraria.
Il rifiuto dell’attore di accettare proposte conciliative durante il processo (art. 91 c.p.c), costituisce un modo per determinare la ripartizione dei costi del processo in base al principio della causalità e della soccombenza. Tale meccanismo si basa sul concetto che se una parte rifiuta ingiustificatamente una proposta di conciliazione, può essere tenuta a coprire le spese processuali.
Tale disposizione mira a promuovere la conciliazione, introducendo un elemento di responsabilità nel processo, consentendo a tutte le parti coinvolte di fare proposte di conciliazione. In caso di accettazione tempestiva dell’offerta conciliativa, le spese processuali ricadono sulla parte che ha formulato la proposta.
In definitiva, nella valutazione condotta dalla Corte d’Appello per determinare la ripartizione dei costi del processo in base al principio di causalità, che ha portato alla decisione di compensare per intero le spese legali tra l’attore e la società convenuta a causa della reciproca soccombenza parziale, si è tenuto conto anche del rifiuto dell’attore di accettare proposte di conciliazione durante il procedimento.
Citazione del terzo
Il secondo motivo sollevato riguarda la violazione 91 e 92 c.p.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. riguardante la condanna della società nei confronti dei terzi chiamati in causa. La società ricorrente contesta la propria condanna alle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in causa, il direttore dei lavori, e le rispettive compagnie assicurative, sostenendo che la decisione impugnata non rispetta l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione. Secondo tale orientamento, il rimborso delle spese processuali del terzo chiamato in causa deve gravare sull’attore se la chiamata in causa è stata necessaria in relazione alle argomentazioni dell’attore che si sono rivelate infondate, indipendentemente dal fatto che l’attore non abbia avanzato richieste contro il terzo. Al contrario, se l’iniziativa del chiamante si dimostra manifestamente infondata o arbitraria, il rimborso spetta alla parte che ha effettuato la chiamata in causa, configurando un abuso del diritto di difesa.
Nell’attuale vicenda, va sottolineato che nonostante la citazione del terzo da parte della società convenuta non sia da considerarsi come una garanzia, ma piuttosto come un’azione legale contro il presunto responsabile terzo, i giudici di merito hanno concluso che, poiché l’attore non ha esteso la sua richiesta al terzo chiamato, la questione sulla responsabilità di quest’ultimo doveva essere considerata implicitamente risolta. Ciò nonostante il principio consolidato della Corte di Cassazione, secondo il quale in caso di citazione del terzo indicato come responsabile della pretesa dell’attore, la richiesta dell’attore si estende automaticamente al terzo, anche senza una specifica richiesta. Tale principio deve essere applicato non solo nei casi di garanzia, ma in generale in tutte le situazioni in cui vengono coinvolti terzi dal convenuto al fine di evitare una condanna propria, almeno quando non è prevista l’estensione della richiesta principale dell’attore al terzo chiamato.
Da queste premesse, emerge che il giudice distrettuale non ha correttamente applicato il principio di diritto sopra menzionato, poiché, come sostenuto dalla società ricorrente, non ha verificato se la chiamata in causa del terzo fosse arbitraria, cioè priva di una logica e connessione ragionevole con la domanda dell’attore e le difese del convenuto. Invece di valutare se tale chiamata fosse addirittura estranea alla questione principale e costituisse un abuso del processo e del diritto di difesa, la corte territoriale si è limitata a considerarla virtualmente infondata e generica, nonostante riguardasse il terzo presunto responsabile del danno lamentato dall’attore, la cui causa era quindi derivabile dalla domanda principale. Di conseguenza, i giudici di legittimità chiariscono che la decisione su questo aspetto deve essere annullata affinché la questione venga riesaminata nel rinvio alla luce dei principi di diritto.
Il terzo motivo del ricorso ha sollevato la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., riguardante la condanna della società nei confronti della compagnia assicurativa Unipol Spa. La società ricorrente contesta il proprio obbligo di pagare le spese processuali alla propria assicuratrice di responsabilità civile, chiamata in causa nel caso in cui la richiesta di risarcimento dell’attore fosse stata accolta (richiesta poi respinta nel merito). La corte d’appello ha valutato principalmente la validità virtuale della richiesta di garanzia presentata dalla società convenuta contro la società terza chiamata, basandosi sulle difese di quest’ultima anziché considerare se l’inclusione della compagnia assicurativa da parte della convenuta fosse logicamente collegata alla richiesta avanzata, potenzialmente configurando un abuso del diritto di difesa e del processo. Pertanto, anche su questo aspetto, l’ordinanza della Suprema Corte impone una rivalutazione nel rinvio alla luce dei principi esposti e conseguente annullamento della decisione.
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