Quotina editaria: disciplina ed effetti della sua alienazione per la giurisprudenza

in Giuricivile, 2019, 10 (ISSN 2532-201X)

Comunione ordinaria e comunione ereditaria: il diverso concetto di quota

La comunione è uno status giuridico di coincidenza, tra due o più soggetti, di diritti della stessa natura su un medesimo bene.

Tale situazione di contitolarità può costituirsi mediante accordo dei partecipanti (contrattuale o volontaria), per un fatto giuridico naturale o per atto di un terzo (incidentale)[1], ovvero quando è esercitato il diritto potestativo ex lege di chiedere la comunione al proprietario di un bene (forzosa)[2]. Tale ultimo tertium genus, è per qualcuno visto come species della comunione incidentale[3].

L’oggetto della contitolarità è ben definito dall’art. 1100 c.c., il quale apre il Capo I, Titolo VII, Libro III dedicato alla comunione, in cui è disposto che la proprietà e gli altri diritti reali possono spettare in comune a più persone.

Il fenomeno della contitolarità, soprattutto con riguardo alla proprietà – connotata da forti caratteri di esclusività nel godimento – è stato oggetto di grande dibattito in dottrina, che ha cercato di definirne la natura. In particolare, di difficile interpretazione è il concetto di “quota”, con il quale deve misurarsi il godimento di ciascuno dei singoli comunisti.

Alcuni Autori[4] avevano trovato risposta nella formulazione dell’art. 674 del codice civile del 1865[5],  il quale sembrava confermare che il partecipante alla comunione potesse trarre tutte le utilità possibili, limitatamente alla propria quota sul bene in comune, godendone e disponendone a proprio piacimento. In tale ottica, la quota non è considerata come entità ideale, assumendo invece qualità di concreto oggetto di diritto per ciascun comunista.

Totalmente contrapposta e più seguita è la tesi secondo cui la cosa comune è oggetto di tanti diritti quanti sono i compartecipi alla comunione: oggetto del diritto di ciascun comunista non è la quota, ma l’intero bene (cd. proprietà plurima parziaria[6]). Il limite all’esercizio del diritto di ciascun contitolare sta proprio nel fatto di dover condividere con altri il godimento integrale del bene e delle sue utilità. La quota, invece, non è oggetto di  proprietà, ma diviene “misura della partecipazione di ciascuno alla futura divisione, quindi all’attuale godimento e all’eventuale divisione della cosa comune”[7].

La diatriba dottrinaria sopraesposta, soprattutto in tema di disposizione della quota, è perfettamente applicabile anche alla comunione ereditaria. Quest’ultima, peraltro, condivide taluni aspetti della disciplina della comunione ordinaria, come previsto dall’art. 1116 c.c.[8]

La comunione ereditaria nasce in forza dell’apertura di una successione nel patrimonio di un individuo, a causa della sua morte. Tale evento può generare una pluralità di chiamate all’eredità (ove i successibili siano più di uno), generando la comunione.

A differenza della comunione ordinaria, i comunisti subentrano mortis causa nei diritti inerenti una universitas iuris.

L’espressione latina, di origine postclassica, sta ad indicare che la successione non avviene in un diritto particolare del defunto, bensì nell’universalità dei suoi rapporti patrimoniali, attivi e passivi. La massa ereditaria si presenta, in sostanza, come idealmente unitaria, potendo tuttavia essere composta da più elementi ontologicamente diversi.  Sotto quest’aspetto, la successione universale, generatrice della comunione ereditaria, si differenzia da quella a titolo particolare su un singolo bene, che  può dar vita invece alla comunione ordinaria[9].

È bene precisare che la comunione ereditaria viene ad esistenza nel momento in cui i chiamati, dopo la delazione (offerta) dell’eredità, l’abbiano accettata.

Oggetto di discussione è la disponibilità della quota sui singoli beni ereditari da parte di ciascun coerede. Si è già detto che, per la comunione ordinaria, la dottrina maggioritaria ammette l’esistenza della quota, intesa come sfera giuridica comprendente tutte le facoltà esercitabili da ciascun comunista sul bene in comunione, in conformità al cd. modello individualistico – romanistico[10].

Più peculiare è invece il concetto di quota nella comunione ereditaria. Infatti, nel momento in cui il coerede subentra nei diritti sull’universitas iuris, la sua quota non misura più i diritti su un singolo bene, ma la titolarità di un complesso di beni e di rapporti giuridici, in luogo del defunto dante causa. In considerazione di ciò, ci si è chiesti come vada regolato l’esercizio dei diritti sui singoli beni rientranti nella quota di cui l’erede e contitolare insieme agli altri successori universali. Tale problematica viene in risalto soprattutto nel caso in cui la comunione ereditaria sussista ancora, le quote siano indivise ed il coerede intenda alienare la propria partecipazione su un singolo bene (cd. “quotina”), ma non l’intera sua partecipazione all’asse ereditario (cd. “quotona”).

Su tale questione si è recentemente espressa la Sezione VI della Cassazione Civile, con sentenza n. 4428 del 23 febbraio 2018, pronunciandosi su tale questione, che vede lo schieramento di diversi e opposti orientamenti.

La vendita dell’esito divisionale tra giurisprudenza e dottrina

La Suprema Corte, con sentenza n. 4428 del 23 febbraio 2018, si pronuncia sulla vicenda inerente una domanda di scioglimento della comunione ereditaria. In particolare, il ricorrente (coerede) lamentava la mancanza di integrità del contraddittorio nel giudizio di divisione, per mancata partecipazione al giudizio anche della di lui moglie. Infatti, prima della domanda giudiziale, uno dei coeredi aveva alienato ai due coniugi una quota pari ad un sesto dei diritti vantati su alcuni terreni presenti nell’asse ereditario.

In particolare, nel ricorso si riteneva che fosse stata disattesa la disposizione dell’art. 1113 c.c., appartenente alla disciplina della comunione ordinaria e applicabile anche a quella ereditaria, che così prevede al terzo comma: “devono essere chiamati, perché la divisione abbia effetto nei loro confronti, i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione dell’atto di divisione giudiziale”.

La Cassazione rileva però l’infondatezza della censura de qua.

La motivazione della Corte parte innanzitutto da un’evidenza sul piano proporzionale. Infatti, l’alienazione fatta al ricorrente dal coerede, consisteva nei diritti su una quota indivisa di un singolo bene ereditario, inferiore in valore rispetto all’intera quota sull’asse spettante al coerede alienante. L’inferiorità della quota porta dunque la Corte e ritenere impossibile la riqualificazione del negozio come vendita di eredità, in modo da preservarne gli effetti reali. Tale tipo di vendita avrebbe comportato infatti il trasferimento dell’intera quota ereditaria, ossia della quotona appartenente all’alienante, dovendosi di contro escludere la possibilità del trasferimento della quota su un singolo bene.

Fissato questo punto, la Suprema Corte inquadra la vendita della singola quotina come contratto ad effetti obbligatori, avente un tenore del tutto simile alla vendita di cosa altrui (art. 1478 c.c.).

L’efficacia traslativa differita è quindi subordinata all’assegnazione del bene al coerede in sede di divisione ereditaria, con la precisazione ulteriore che “fino a tale assegnazione, il bene continua a far parte della comunione e, finché essa perdura, il compratore non può ottenerne la proprietà esclusiva”[11]. La sentenza fa poi riferimento alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di poco precedente[12], in tema, questa volta, di donazione della quotina. In essa, era stata addirittura postulata la nullità della donazione della quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria, per il fatto che il bene, al momento della donazione, non fa parte del patrimonio del donante, bensì della comunione ereditaria. In tal caso, infatti, dovendosi considerare come donazione del cd. esito divisionale, si applicherebbe il divieto di donazione di beni futuri, ex art. 771 c.c. Una liberalità siffatta potrebbe valere tutt’al più come donazione obbligatoria, qualora il donante, in atto, si dichiarasse consapevole dell’altruità della cosa[13].

Tale pronuncia aveva dunque già avviato l’interpretazione circa gli effetti obbligatori dell’atto di alienazione della quotina, comunemente conosciuta come vendita (o donazione) del già citato esito divisionale. In quest’ottica, secondo la Corte, il motivo di ricorso nel quale si riteneva non integrato il litisconsorzio nel giudizio di divisione con gli aventi causa dal coerede, risulta infondato. Infatti, la non immediatezza del trasferimento del diritto di proprietà sulla quota indivisa del bene, non legittima in alcun modo la partecipazione al giudizio di scioglimento della comunione. Gli effetti reali dell’alienazione in favore del terzo restano anzi legati all’esito di tale giudizio di divisione.

È bene precisare che, la costante linea interpretativa della Cassazione, non aderisce invece ai differenti orientamenti presenti in dottrina, che vale la pena esporre brevemente.

Una prima tesi nega del tutto l’esistenza della quotina sui beni ancora indivisi della comunione ereditaria, che non sarebbe assolutamente alienabile.

Il coerede è infatti pieno proprietario solo della quota ereditaria allo stesso spettante per apertura della successione, non potendo in alcun modo avere piena titolarità anche dei beni che compongono la massa ereditaria. L’alienazione di uno o di una parte dei singoli beni ereditari viene in qualche modo “schermata” [14] dalla proprietà sulla quota ereditaria. In tal senso gli eredi non hanno in assoluto il potere di disporre della quota sui singoli beni, che restano parte integrante della massa ereditaria, fino al momento divisione.

Per altra dottrina, essendo l’eredità un’universitas iuris, quest’ultima si presente composta da più beni, uniti in forza della comune destinazione economica. In tal senso si ritiene plausibile l’esistenza del diritto per ciascuno dei coeredi anche sui singoli beni che compongono la quota ereditaria. D’altronde, viene precisato, vi sono due norme che potrebbero lasciare spazio a tale interpretazione. Da un lato l’art. 1102 c.c., norma sulla comunione ordinaria, compatibile anche con quella ereditaria, la quale permette al comunista di trarre utilità dalla cosa comune, senza alterarne la destinazione economica e senza pregiudicare l’esercizio dei diritti degli altri partecipanti. In aggiunta a ciò, l’art 714 c.c., stavolta sulla divisione ereditaria, dispone che la stessa può essere domandata anche se più coeredi hanno goduto separatamente dei beni ereditari, fatti salvi gli effetti dell’usucapione, per effetto del possesso esclusivo. Pertanto, per tale dottrina, sarebbe configurabile un diritto di godimento dei coeredi anche sulla singola quotina, dai quali, i titolari potranno trarre direttamente utilità, senza schermature da parte della quotona. Tali utilità economiche, potrebbero ben derivare anche dall’alienazione del singolo bene, con effetti traslativi immediati. In tal modo si formerebbero due distinte comunioni, quella sull’intera massa tra gli originari coeredi, e quella sul singolo bene, tra i coeredi non alienanti e l’acquirente, con la conseguente necessità successiva di due divisioni.

Per altri ancora, la divisione rimarrebbe necessariamente unica per tutti i beni, ma, più in linea con quanto sostenuto dalla Cassazione, il trasferimento avrà effetto definitivo solo se il bene sarà assegnato al cedente in sede di divisione. Viceversa, l’avente causa avrà solo diritto ad essere compensato per equivalente, perdendo ogni diritto su quanto ceduto, ove non assegnato al suo dante causa[15].

Cenni sulla natura costitutiva della divisione ereditaria alla luce delle S.U. del 2019

Se da un lato, la linea interpretativa giurisprudenziale recente si è assestata sulla natura obbligatoria della vendita/donazione della quotina di un bene ancora in comunione ereditaria, non così netta è stata la definizione della natura della scioglimento di tale comunione.

Sul punto, le Sezioni Unite, con la recentissima sentenza n. 25021 del 7 ottobre 2019, hanno aggiunto un nuovo e rivoluzionario tassello, di cui vale la pena quantomeno accennare.

Dottrina e giurisprudenza sono infatti apparse a lungo divise tra il ritenere che la divisione ereditaria fosse di natura dichiarativa ovvero costitutiva. Il primo orientamento riteneva, in breve, che la pronuncia o l’atto di divisione accertassero una situazione giuridica di per sé esistente, senza generare effetti traslativi tra i coeredi. In tal modo, con l’attribuzione del bene al coerede assegnatario, quest’ultimo era ritenuto titolare del bene ereditario fin dal momento dell’apertura della successione, ammettendo una sorta di efficacia retroattiva della divisione.

La teoria dichiarativa potrebbe aver mosso i suoi primi passi nel diritto medioevale, quando più per ragioni di “risparmio” che prettamente giuridiche, si affermò tale natura della divisione. Infatti in età feudale, per ogni trasferimento, era dovuto un tributo al signore, pertanto si ritiene che la giurisprudenza e la dottrina potrebbero aver elaborato tale tesi per evitare di pagare il doppio tributo per i due trasferimenti, il primo mortis causa dal de cuius agli eredi, l’altro inter vivos tra i coeredi in conseguenza della divisione stessa[16]. In ogni caso, la questione sulla natura giuridica della divisione è rimasto un dibattito aperto anche nella giurisprudenza e nella dottrina contemporanee.

Altro orientamento configurava, invece, la divisione come un negozio traslativo ad effetti reali, con il passaggio della proprietà sul bene dalla comunione ereditaria al singolo coerede.

Con la recentissima sentenza, le Sezioni Unite hanno fissato un punto fatidico alla questione, stabilendo che lo scioglimento della comunione ereditaria sia un atto tra vivi, dovendosi alla stessa applicare tutte la normativa inerente agli atti traslativi inter vivos. Sono superate così diverse pronunce della Cassazione, ove l’atto divisorio veniva considerato come vicenda conclusiva della successione, con cui gli eredi definivano i loro diritti sul patrimonio del de cuius e, pertanto, lo stesso era da ritenersi atto mortis causa[17]. Infine, il fatto che le Sezioni Unite sottolineino la necessaria applicazione delle norme sul trasferimento di immobili, qualora nella divisione siano presenti tali beni, non è un caso.

Infatti, servendosi, di quella parte di disposizioni urbanistiche che già in precedenza citavano lo scioglimento della comunione tra gli atti di trasferimento inter vivos, come nel caso dell’art. 46, co. 1°, del D.P.R. 380/2001 (T.U. sull’edilizia)[18], la Cassazione ha inteso fugare ogni dubbio anche sull’applicabilità della normativa inerente il trasferimento di immobili pure alla divisione ereditaria, adesso da intendersi pienamente applicabile.


[1] Si pensi ad esempio alla comunione derivante dall’unione o commistione di cose ex art. 939 c.c. ovvero alla comunione di cosa legata congiuntamente a più legatari, voluta dal de cuius (vedi comm. sub art 1100 c.c., Commentario breve al Codice Civile, G. Cian – A. Trabucchi, 12° ediz. a cura di G. Cian, Padova, 2016).

[2] Così è ad esempio la comunione di proprietà richiesta dal titolare di un fondo al proprietario del muro contiguo al confine del fondo medesimo, ex art. 874 c.c.

[3] Comunione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, O.T. Scozzafava.

[4] Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A.Cicu e F. Messineo, L.Mengoni e continuato da P. Schlesinger, Tomo III, La comunione in generale, la comunione edilizia e le altre comunioni speciali, M. Fragali, Milano, 1986.

[5] art. 674, cod. civ. 1865:

Ciascun partecipante ha la piena proprietà della sua quota e dei relativi utili o frutti. Egli può liberamente alienare cedere o ipotecare tale quota ed anche sostituire altri nel godimento di essa, se non si tratti di diritti personali […]”

[6] La proprietà, C.M. Bianca, 1999, Milano.

[7] Della Comunione in generaleNote introduttive –  in Commentario breve al Codice Civile, G. Cian – A. Trabucchi, 12° ediz. a cura di G. Cian, Padova, 2016, citando A.Guarino, Comunione, in Enc. Dir., Milano, 1961.

[8] art. 1116 c.c.: Alla divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione dell’eredità, in quanto non siano in contrasto con quelle sopra stabilite”

[9] Sul punto si segnala Cass. SS.UU. sent. 24657/2007, in cui è sostenuta la comunione dei crediti ereditari, tanto che ciascun coerede ha il diritto di far valere il credito ereditario per intero, ovvero per parte in proporzione alla propria quota, senza necessità di integrare il contraddittorio tra tutti gli altri coeredi. I debiti ereditari vanno invece divisi tra i coeredi, in ragione delle rispettive quote (vedi anche: Cass. sent. 13953/2005 e Cass. sent. 785/1998).

[10] Differente è invece il modello germanico cd. collettivistico, il quale predilige una comunione senza distribuzione di quote, nella quale la partecipazione di ciascuno è inscindibilmente fusa con quella degli altri partecipanti.

[11] Cit. sentenza del 23 febbraio 2018, n. 4428, Cass. Civ. sez. VI.

[12] Cass. SS.UU. n. 5068/2016

[13] Cit. sentenza del 23 febbraio 2018, n. 4428, Cass. Civ. sez. VI.

[14] La Cassazione torna sull’alienazione della quotina. Alla ricerca della ratio della qualifica giurisprudenziale come alienazione dell’esito divisionale e di soluzioni di tecnica contrattale, A.Torroni, in Rivista del Notariato, anno LXXII – Fasc. 4 – 2018, Milano.

[15] L’art. 2825, co. 4° del c.c., infatti, predispone espressamente, in favore del cessionario, una tutela restitutoria dell’equivalente in denaro contro il cedente, nel caso in cui il bene ceduto non gli sia stato poi assegnato.

A favore del cessionario, perlatro, operano i principi valevoli in materia di trascrizione, ove abbia trascritto il proprio titolo di acquisto, prima di altri. (in tal senso vedi anche A.Torroni, op. cit.)

[16] Successioni e donazioni, cit. pag. 1218, G. Capozzi, terza ediz. a cura di A.F. Ferrucci e C. Ferrentino, 2009, Milano.

[17] Ex multis: cass. civ. sent. 14764/2005 e sent. 15133/2001

[18] Art. 46, co. 1° D.P.R. 380/2001:

“Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù […]”

Praticante notaio, ha effettuato anche la pratica forense. Laureata in giurisprudenza all'Università degli Studi di Palermo, ha conseguito il diploma di specializzazione nelle professioni legali con tesi dal titolo "La responsabilità dell'intermediario e le prerogative del cliente nella formalizzazione degli investimenti finanziari". È abilitata all'iscrizione all'Albo Unico dei Consulenti Finanziari."

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