Il procedimento sommario di cognizione ex art 702 bis cpc

La L. 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nell’ordinamento italiano un istituto di grande importanza finalizzato all’abbreviazione del contenzioso civile: il cd. procedimento sommario di cognizione previsto dall’art. 702 c.p.c..

Nonostante la sua collocazione codicistica (capo III bis del Titolo I del Libro IV), il procedimento non sembra concepito per rispondere alle particolari ragioni di urgenza (periculum in mora e fumus boni iuris) che caratterizzano i procedimenti cautelari.

Il vero obiettivo di tale nuovo istituto sembra piuttosto quello di velocizzare e semplificare quanto più possibile le forme del procedimento di cognizione, cercando, nello stesso tempo di rispettare principi costituzionali che ne devono regolare lo svolgimento, come il giusto processo, il principio del contraddittorio, uguaglianza dei diritti delle parti e l’imparzialità del giudice.

La caratteristica principale è l’assenza di predeterminazione della trattazione. A differenza del procedimento di cognizione, le cui forme sono disciplinate dettagliatamente dagli artt. 183 e ss. c.p.c., l’art. 702 ter c.p.c. lascia il giudice libero di agire nel modo e nelle forme che ritiene più opportuno. Si tratta, quindi, di un procedimento a cognizione sommaria perché superficiale, sulla falsariga del procedimento ingiuntivo. La giurisprudenza di merito (Trib. Busto Arsizio, 1 giugno 2010), d’altra parte, ha rilevato come la sommarietà non attenga tanto alla cognizione, da considerarsi comunque piena, ma la trattazione e l’attività istruttoria.

Ambito di applicazione, struttura e costituzione delle parti.

Va subito evidenziato che si tratta di un procedimento bifasico:

  1. la prima fase è quella a cognizione sommaria, caratterizzata dalla snellezza delle forme e dell’attività del giudice;
  2. la seconda si svolge con le forme dell’appello a cognizione piena, le cui modalità di svolgimento compensano la sommarietà e superficialità della prima fase, che si conclude con una pronuncia idonea a passare in giudicato, nel rispetto del principio costituzionale del giusto processo. Le rigide forme della seconda fase garantiscono il rispetto dei principi costituzionali che devono regolare il processo e ne permettono, quindi, il sacrificio nella prima fase.

Così come dispone l’art. 702 bis c.p.c., questo procedimento riguardo solo le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica (quindi in tutti i casi non previsti dall’art. 50 bis), costituendo questa una delle condizioni di ammissibilità del procedimento in esame. A questa, infatti, si deve aggiungere la condizione implicita della trattabilità della causa con il rito ordinario di cognizione, dovendosi escludere l’utilizzo di tale procedimento per cause da trattare con riti speciali di cognizione (come il rito del lavoro).

La domanda si propone con ricorso da depositare nella cancelleria del Tribunale competente; ricorso sottoscritto a norma dell’art. 125, il quale, ai sensi dell’art. 702 bis, “deve contenere le indicazioni dei numeri 1), 2), 3), 4), 5), 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’art. 163”.

Così come per il procedimento ordinario, il ricorso deve contenere, quindi:

  • a) l’indicazione del tribunale adito;
  • b) il nome, cognome e residenza dell’attore e il nome, cognome, residenza o domicilio o dimora del convenuto o delle persone che, rispettivamente, li rappresentano;
  • c)nel caso in cui l’attore o il convenuto o entrambi siano persone giuridiche o associazioni non riconosciute o comitati, la denominazione o la ditta con l’indicazione dell’organo o ufficio che ha la rappresentanza in giudizio;
  • d) la determinazione dell’oggetto della domanda;
  • e) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni;
  • f) l’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti;
  • g) il nome e cognome del procuratore, se la procura sia già stata rilasciata.

La costituzione dell’attore avviene automaticamente con il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice.

Il convenuto, dal canto suo, secondo quanto dispone l’art. 702 bis 4˚ comma, almeno dieci giorni prima dell’udienza issata dal giudice, “deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni”. A pena di decadenza, deve, inoltre, proporre nella comparsa di risposta le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili di ufficio, indicando l’eventuale chiamata in causa del terzo (il quale dovrà costituirsi a norma del comma 4, e, quindi, con la comparsa di risposta), con conseguente richiesta di spostamento della prima udienza.

Procedimento: la fase “sommaria”

L’art. 702 ter c.p.c. contiene il fulcro dell’intera disciplina del procedimento sommario di cognizione, incominciando col prevedere la serie di possibili contenuti del provvedimento con cui può chiudersi la prima udienza e dal cui esame emerge un’accentuata ampiezza dei poteri del giudice. Quest’ultimo, infatti, se ritiene di essere competente, lo dichiara con ordinanza, suscettibile di essere impugnata con il regolamento di competenza a norma degli artt. 41-42 c.p.c.

Al giudice, inoltre, spetta anche verificare se la domanda principale e quella riconvenzionale presentata rientrino tra quelle indicate dall’art. 702 bis idonee ad essere trattate con la sommarietà che contraddistingue tale procedimento. Se esse appartengono alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale, il giudice, con ordinanza non impugnabile la dichiara inammissibile.

Infine, al giudice spetta il delicato compito di valutare se le difese svolte dalle parti siano compatibili con la natura del rito del procedimento sommario di cognizione, ben potendo ritenerli tali da meritare un’istruzione complessa e, quindi, fissare l’udienza di trattazione (ai sensi dell’art. 183) per proseguire con il rito ordinario di cognizione. Qualora sia la domanda riconvenzionale a meritare una trattazione complessa, il giudice dispone la separazione dei processi.

Dall’esame di questa attività giudiziale è evidente la discrezionalità di cui gode il giudice, discrezionalità che ben si addice alla sommarietà del procedimento. In questo ambito si inserisce il 5˚ comma dell’art. 702 ter, il cui tenore è il seguente: “se non provvede ai sensi dei commi precedenti, alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto della causa e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande”.

Ancora una volta, la disposizione attribuisce ampi poteri al giudice ed è sintomo della natura del procedimento: l’omissione di ogni formalità non essenziale al contraddittorio e il potere del giudice di procedere nel modo che egli ritenga più opportuno agli atti di istruzione sono tipiche caratteristiche della sommarietà e, come detto sopra, derogano (temporaneamente) ai principi costituzionali del processo (giusto processo e contraddittorio), vista la possibile successiva realizzazione nella seconda fase. Per quanto riguarda la cognizione su cui si fonda la pronuncia di merito, il giudice provvede all’accoglimento o al rigetto della domanda, dopo aver preceduto agli atti di istruzione che egli ritiene rilevanti. Da notare come tali atti, per essere ammissibili, necessitano di un valore inferiore a quello dell’indispensabilità: basta che essi vengano ritenuti dal giudice rilevanti ai fini della decisione.

La prima fase, dunque, si chiude in ogni caso con l’emanazione di un’ordinanza, la quale, ai sensi del 6˚ comma, “è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale per la trascrizione”.

La fase a cognizione piena

Tale fase può essere considerata il primo grado del processo sommario. L’art. 702 quater prevede, infatti, la possibilità che l’ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell’art. 702 ter possa essere appellata entro trenta giorni dalla sua notificazione o comunicazione, producendo altrimenti gli effetti di cui all’art. 2909 c.c., quelli tipici, cioè, della cosa giudicata.

La sommarietà delle forme della prima fase del giudizio esige, per il rispetto del principio del contraddittorio e del giusto processo, che nella seconda fase siano esercitabili tutte le facoltà inerenti al diritto di difesa e che nella prima fase erano in qualche modo rimaste inattuate. Di conseguenza, nonostante la dicitura utilizzata dal codice (appello), questa fase non presenta le limitazioni tipiche del mezzo di gravame disciplinata dagli artt. 339 e ss. c.p.c. A dispetto dell’art. 345 che vieta la proposizione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti, l’art. 702 quater dispone che “sono ammessi nuovi messi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile”.

Bisogna innanzitutto evidenziare che la disciplina dei mezzi istruttori nell’appello dei procedimenti sommari di cognizioni ha subito una sostanziale modifica con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale, con riferimento ai messi di prova, ha sostituito alla parola “rilevanti” la parola “indispensabili”, mutando quindi la valutazione che il giudice deve compiere in ordine alla loro assunzione.

Per quanto riguarda le forme dell’atto introduttivo, il codice non dispone alcunché. Tuttavia, l’utilizzo del termine “appello” fa presumere che la forma debba essere appunto quella “dell’appello” prevista dall’art. 342 c.p.c. e cioè l’atto di citazione da proporre davanti alla Corte d’Appello.

Tale giudizio si concluderà con sentenza ricorribile in Cassazione e, ove passi in giudicato, assoggettabile alla revocazione straordinaria e all’opposizione di terzo.

Il procedimento sommario di cognizione e la “semplificazione dei riti”

Il procedimento sommario di cognizione, come si evince dalla sua struttura bifasica, è stato concepito dal legislatore per soddisfare esigenze di economia e snellezza processuale. A tale esigenza risponde anche il D.Lgs. 1˚ settembre 2011 n. 150, emanato in attuazione della legge delega 18 luglio 2009, n. 69 sulla c.d. semplificazione dei riti, che impone la trattazione di determinate cause con l’utilizzo di tre riti codicistici assunti come modelli processuali: il rito ordinario di cognizione, il rito del lavoro, il rito sommario di cognizione.

Il Capo III del decreto in esame disciplina i procedimenti improntati al procedimento sommario di cognizione (artt. da 14 a 30). Le controversie indicate sono quelle in materia di:

  • a) liquidazione degli onorari e diritti degli avvocati (art. 14);
  • b) opposizione al decreto di pagamento delle spese di giustizia (art. 15);
  • c) immigrazione, riconoscimento della protezione internazionale e ricongiungimento familiare (artt. 16-20);
  • d) trattamento sanitario obbligatorio (art. 21);
  • e) materia elettorale (artt. 22-24);
  • f) riparazione a seguito di illecita diffusione di intercettazioni telefoniche (art. 25);
  • g) provvedimenti disciplinari a carico dei notai e dei giornalisti (artt. 26- 27);
  • h) discriminazione (art. 28);
  • i) opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità (art. 29);
  • l) attuazione delle sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria, di cui all’art. 67 della L. 31 maggio 1995, n. 218 (art. 30).

Per questo gruppo di procedimenti, alle specifiche disposizioni del codice disciplinanti il procedimento sommario di cognizione, se ne aggiungono di nuove, previste dal decreto in oggetto. In particolare, l’art. 3 stabilisce che nelle controversie appena elencate non si applicano i commi secondo e terzo dell’art. 702 ter del codice, ossia la possibilità per il giudice di dichiarare inammissibile la domanda e quella di disporre il mutamento del rito da sommario in procedimento a cognizione piena, ove la causa non possa essere trattata con le forme del procedimento sommario di cognizione. Inoltre, il secondo comma del su menzionato art. 3 permette l’applicazione del rito in questione anche alle controversie del Tribunale collegiale.

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