Nel giudizio di appello, non possono essere ammessi nuovi mezzi di prova e prodotti nuovi documenti, neppure se essi siano indispensabili.
L’unico caso in cui ciò sia consentito è se la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza n. 26522 del 9 novembre 2017.
La nuova formulazione dell’art. 345 cpc
Per giungere a tali conclusioni, la Suprema Corte ha richiamato in primo luogo quanto previsto dall’art. 345, terzo comma, c.p.c., il quale nella nuova formulazione è stato privato delle parole «[…salvo] che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero…».
Di conseguenza, sarebbe venuta meno l’ipotesi della indispensabilità della prova e l’unico caso in cui la produzione documentale in appello sia tuttora ammissibile è costituito da una “causa non imputabile” alla parte, ossia dal caso fortuito o dalla forza maggiore.
Tale regolamentazione restrittiva di nuove prove in appello sarebbe, peraltro, più in sintonia con la natura del giudizio d’appello come mera revisio prioris instantiae anziché come iudicium novum.
La soppressione dell’ipotesi della “prova indispensabile”
Secondo la Corte di legittimità, l’interpretazione testuale della nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. non può essere superata neppure dalla considerazione, d’ordine sistematico, che l’irrigidimento del divieto di nuove prove in appello determinerebbe un’intollerabile scollatura fra la verità materiale e quella processuale.
Infatti, la naturale propensione del processo all’accertamento della verità dei fatti va sempre coniugata con il regime delle preclusioni, che numerose operano nel rito civile.
Ne consegue che, la soppressione dell’ipotesi della “prova indispensabile”, quale eccezione al divieto dei nova in appello, si tradurrebbe semplicemente nell’accentuazione dell’onere di tempestiva attivazione del convenuto, in attuazione di un principio di lealtà processuale che impone di dedurre immediatamente tutte le possibili difese.
La Suprema Corte ha pertanto cassato la sentenza impugnata in quanto, facendo erronea applicazione della precedente formulazione dell’art. 345 c.p.c., aveva ritenuto ammissibile la produzione in grado d’appello di documenti nuovi (relate di notificazione degli avvisi di accertamento) che le parti convenute, rimaste contumaci in primo grado, ben avrebbero invece potuto tempestivamente produrre in quel giudizio.
Codesti documenti, pur avendo carattere decisivo, sono stati pertanto considerati inutilizzabili, con il conseguente accoglimento dell’opposizione proposta.
Il principio di diritto
Alla luce di quanto rilevato, la Corte di Cassazione ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto:
“Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’ art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. – quale risulta dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni con la legge n. 134 del 2012, applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 in poi – pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno quel carattere di “indispensabilità” che, invece, costituiva criterio selettivo nella versione precedente della medesima norma, fatto comunque salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.