Con l’ordinanza n. 27243/2024, la Cassazione è intervenuta su due questioni giuridiche in materia di fideiussione bancaria e prova dei crediti, chiarendo, ancora una volta, i criteri di nullità parziale delle fideiussioni alla luce delle norme anticoncorrenziali.
La vicenda processuale
Nel caso di specie, la società creditrice aveva prodotto un estratto conto che indicava un credito residuo superiore rispetto alla somma inizialmente ingiunta. I debitori hanno contestato la validità di tale estratto conto, sottolineando che mancava la certificazione prevista dall’art. 50 del Testo Unico Bancario . Tale norma consente alla banca di far valere il proprio credito presuntivamente, ovvero di ottenere un titolo esecutivo con il semplice ricorso ad un estratto conto, purché sia certificato. In particolare, la certificazione attesta che l’estratto conto riflette fedelmente le scritture contabili e quindi l’effettiva sussistenza del credito, limitando lo spazio per contestazioni generiche da parte del debitore. Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione, tale presunzione di veridicità viene meno se l’estratto conto non è certificato. In tal caso, infatti, il documento perde il suo originario valore probatorio e richiede l’acquisizione di ulteriori prove a supporto della pretesa creditoria.
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La prova del credito ex art. 50 TUB
La III Sez. Civ. della Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, chiarendo che un estratto conto non conforme all’art. 50 TUB non può godere dell’efficacia probatoria presunta, né può essere assumere valenza probatoria automatica. Secondo i giudici, l’assenza di certificazione formale è in grado di compromettere il valore probatorio del documento, che non può essere considerato alla stregua di un estratto conto valido ai sensi del TUB. La Cassazione ha quindi censurato l’errore della Corte d’Appello, che aveva considerato la contestazione dei debitori come “generica”, nonostante questi avessero sollevato eccezioni dettagliate in merito alla non conformità del documento prodotto dalla creditrice. Sul punto, la banca, priva di un documento certificato, dovrà quindi produrre prove ulteriori e più consistenti per poter far valere un credito non contestato in modo generico.
Nullità parziale della fideiussione: art. 2 della L. n. 287/1990
Ulteriore quesito affrontato dall’ordinanza riguarda la nullità parziale della fideiussione, sollevata dai garanti in relazione a specifiche clausole del contratto di garanzia. Più nello specifico, i fideiussori hanno contestato la validità di alcune disposizioni della fideiussione, sostenendo che riproducessero clausole dello schema ABI già dichiarate nulle dalla giurisprudenza per violazione delle norme sulla concorrenza. La contestazione si è basata sull’art. 2, comma 2, lett. a), della L. n. 287/1990, che vieta le intese tra imprese che possano limitare la concorrenza. I giudici della III Sez. Civ. hanno confermato la fondatezza della contestazione, richiamando il noto approdo giurisprudenziale fornito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 41994 del 2021, secondo cui le clausole standard della fideiussione ABI, nella misura in cui limitano la concorrenza, devono essere dichiarate nulle. In particolare, la nullità parziale opera sull’efficacia delle garanzia e si applica in conformità all’art. 1957 c.c., che prevede la decadenza della fideiussione trascorsi sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale. L’art. 1957 c.c. stabilisce infatti che la fideiussione perde la sua efficacia se il creditore non agisce entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, salvo espressa rinuncia del fideiussore. Questo termine ha lo scopo di tutelare il garante da richieste di pagamento che potrebbero intervenire molto tempo dopo la conclusione del rapporto principale. La nullità parziale della fideiussione, applicata in questo caso, elimina la possibilità per il creditore di avvalersi delle clausole anticoncorrenziali, facendo decadere automaticamente la garanzia in base all’art. 1957 c.c. laddove le condizioni dell’obbligazione principale siano ormai scadute. In particolare, la Corte di Cassazione ha precisato che le clausole 2, 6 e 8 dello schema ABI configuravano delle intese lesive della concorrenza, e quindi tali clausole non potevano vincolare i fideiussori. La Cassazione ha dunque rilevato che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere “generica” la contestazione dei debitori, considerando invece come legittima l’eccezione di nullità parziale sollevata, in quanto basata sulla normativa antitrust e sulla giurisprudenza consolidata.
Conclusioni
In definitiva, l’ordinanza n. 27243/2024 chiarisce due aspetti fondamentali: da un lato, la Cassazione ribadisce che gli estratti conto privi di certificazione ex art. 50 TUB non possono costituire prova automatica del credito vantato; dall’altro, conferma che le fideiussioni con clausole anticoncorrenziali, quali quelle dello schema ABI, sono nulle per violazione dell’art. 2 della L. n. 287/1990, in applicazione dell’art. 1957 c.c.
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