Il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto norme rivolte alla degiurisdizionalizzazione delle controversie e alla definizione dell’arretrato esistente presso gli uffici giudiziari.
Unitamente al trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti pendenti, è stata introdotta la nuova procedura di negoziazione assistita, la quale mira, nelle intenzioni del legislatore, a trasferire i contenziosi fuori dalle aule di tribunale [1], predisponendo un’alternativa stragiudiziale all’ordinaria risoluzione dei conflitti [2].
Il presupposto dal quale muove il legislatore è che l’affidamento del compito di prevenire e risolvere le liti ad organi diversi da quelli giurisdizionali avvenga in tempi più rapidi, pur garantendo la stessa efficienza.
Che cos’è la negoziazione assistita
La negoziazione assistita è un istituto per la risoluzione alternativa delle controversie che consiste in un contratto (o convenzione) con cui le parti si impegnano a risolvere bonariamente una controversia.
Attraverso tale accordo (c.d. convenzione di negoziazione) le parti in lite decidono di “cooperare in buona fede e lealtà”, al fine di risolvere in via amichevole una controversia, tramite l’assistenza di avvocati, regolarmente iscritti all’albo ovvero facenti parte dell’avvocatura per le pubbliche amministrazioni.
Accanto alla negoziazione, per così dire “facoltativa”, il legislatore ne ha previsto una “obbligatoria”
- per le azioni riguardanti il risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e
- per le domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme, purché non eccedenti 50.000 euro e non riguardanti controversie assoggettate alla disciplina della c.d. “mediazione obbligatoria” (l’improcedibilità deve essere eccepita, non oltre la prima udienza, dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice).
Nei suddetti casi, l’art. 3 del D. L. n. 132/2014 dispone che “l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
Le norme previste dal capo II del D.L. 132/2014 sono riferite ad una procedura che non va intesa nel senso di un procedimento avente una tipica natura processuale, ma secondo il significato di una serie di attività funzionalmente collegate al raggiungimento di uno scopo.
La negoziazione assistita ha, infatti, natura sostanziale ed è il frutto di un’autonomia privata totalmente libera nelle forme.
A testimonianza di ciò la legge disciplina soltanto i seguenti passaggi: la stipula di una convenzione iniziale che obbliga le parti a cercare tra loro, con l’assistenza necessaria degli avvocati, una soluzione concordata alla loro controversia, potenziale o pendente; le trattative assistite; l’eventuale formalizzazione di un accordo risolutivo dei reciproci contrasti.
La caratteristica principale di tale procedimento è anche la prova più evidente del suo obiettivo: l’accordo che pone termine alla controversia è il risultato dell’impegno contrattuale delle parti ad evitare la via giudiziaria e a tentare di raggiungere un’intesa attraverso l’opera professionale fornita dagli avvocati.
La funzione di tale accordo è riconosciuta dalla legge, che lo eleva ad atto munito di efficacia immediatamente esecutiva.
Con riferimento alla convenzione di negoziazione, essa produce gli effetti di un contratto. Il richiamo alla buona fede e alla lealtà dell’art. 2 valorizza gli obblighi che regolano l’attività precontrattuale e soprattutto la fase dell’adempimento delle obbligazioni assunte.
L’inosservanza di tale accordo e la violazione dei doveri di buona fede e di lealtà configurano responsabilità di tipo contrattuale.
L’art. 2 del d. l. 132/2014 impone di precisare nella convenzione sia il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, che non può essere inferiore ad un mese e superiore a tre (salvo proroga di trenta giorni su richiesta congiunta delle parti), sia l’oggetto della controversia, che non può, come dispone la stessa norma, riguardare né diritti disponibili, né materie di lavoro.
I presupposti di ammissibilità sono praticamente gli stessi dell’arbitrato rituale, ex art. 806 e segg. c.p.c.: la disponibilità dei diritti in discussione e la riserva a regole particolari dell’arbitrato in tema di controversie di lavoro e previdenza e assistenza sociale.
In materia di lavoro, la negoziazione assistita è ammissibile soltanto nel caso in cui la causa verta su diritti aventi nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, a condizione che tale contratto abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale.
La convenzione deve essere redatta, a pena di nullità, in forma scritta e deve essere conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati, i quali certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte all’accordo sotto la propria responsabilità professionale.
Secondo quanto dispone l’art. 3, inoltre, la negoziazione assistita non può essere applicata in caso di procedimenti in camera di consiglio, di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata, di ingiunzione (inclusa l’opposizione ai procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite) e in caso di azione civile esercita in sede penale.
Il procedimento
L’iter procedimentale può essere avviato grazie a diversi impulsi. Le parti possono decidere di stipulare la convenzione su decisione comune, nel corso dei contatti, ad esempio, che in genere intercorrono antecedentemente all’instaurazione della causa.
La legge in esame disciplina lo specifico caso in cui l’iniziativa di proporre la negoziazione assistita è assunta da una delle parti, attribuendo a questa fattispecie particolare effetti giuridici.
L’art. 3 del decreto citato disciplina l’atto della parte con riferimento alle controversie per le quali la negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Per dette controversie, colui che intende esercitare l’azione in giudizio sottoposta a siffatta condizione deve comunicare alla parte avversa un invito, per il tramite del proprio avvocato, a stipulare la convenzione e a seguire la procedura di negoziazione assistita.
L’art. 4, a questo proposito, stabilisce che l’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato per l’accollo delle spese ma anche per disporre il risarcimento del danno cagionato per mala fede, colpa grave o difetto di normale prudenza nonché per la condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata.
Tale disposizione rende evidente la funzione assegnata all’invito nel contesto della procedura della negoziazione assistita, in quanto, oltre che costituire una condizione di procedibilità della domanda, obbliga chi lo riceve a fornire una risposta. Il destinatario non è obbligato ad addivenire ad una pattuizione, ma, poiché la negoziazione condiziona il processo, il rifiuto e la mancata risposta rilevano.
L’assistenza del legale inizia già dal momento di questo invito che deve necessariamente passare dall’opera del professionista.
Esso deve necessariamente indicare l’oggetto della controversia e l’invito menzionato nell’art. 4.
Non sono previste modalità o schematismi specifici, fatta eccezione per la forma scritta e per la certificazione dell’autografia della sottoscrizione della parte da cui l’invito proviene.
È necessario unicamente che l’atto sia munito degli elementi necessari a fargli raggiungere il suo scopo: l’indicazione inequivoca della materia controversa e la proposta di intavolare trattative, con la consulenza di avvocati, allo scopo di raggiungere un accordo che eviti la via giudiziaria.
Dal contenuto dell’art. 8 emerge l’intento del legislatore di equiparare l’invito a stipulare la convenzione alla domanda giudiziale. Tale disposizione prevede, infatti, che dal momento della comunicazione dell’invito o della sottoscrizione della convenzione (se non preceduta dall’invito) si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda in giudizio ed è impedita (per una volta) la decadenza.
E sul punto è necessario rinviare a quanto dispongono in tema di interruzione-sospensione gli artt. 2943 e 2945 del c.c., secondo i quali la domanda al giudice interrompe il corso della prescrizione, che resta sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. La decadenza ricomincia a decorrere dal momento in cui l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine.
Contenuto ed effetti della convenzione di negoziazione assistita
Come si è accennato, il contenuto della convenzione di negoziazione assistita è determinato dal D.L. 132/2014, convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nei suoi elementi essenziali.
Non sono previste formalità particolari e la convenzione può risolversi in una pattuizione su modelli preparati purché indichi chiaramente l’oggetto della controversia e il tempo durante il quale le parti devono restare vincolate.
Oggetto e durata temporale sono, unitamente alle sottoscrizioni autenticate da avvocati, i requisiti minimi essenziali per la validità e l’efficacia della convenzione.
Ciò che rileva è che l’indicazione dell’oggetto della controversia copra i punti in contrasto tra le parti, nelle reciproche pretese, in modo che nessuna di esse possa sostenere che una certa questione non era stata ricompresa nella negoziazione ed eccepisca l’omesso ricorso alla relativa procedura o si senta libera di rivolgersi al giudice.
La precisione nella menzione dell’oggetto della controversia assume importanza rilevante nei risvolti pratici cui dà luogo l’adempimento dell’obbligo di trattativa assunto con la convenzione.
Ed è il primo aspetto sensibile dell’attività da svolgersi dagli avvocati. La convenzione è certamente un contratto di diritto privato. Il fatto che debba essere conclusa con l’assistenza di avvocati e che costoro abbiano il potere di certificare l’autografia delle sottoscrizioni delle parti non ne muta la natura privatistica.
È la fattispecie complessa “convenzione di negoziazione assistita e accordo raggiunto” a far attribuire all’accordo finale la particolare efficacia di titolo esecutivo. Ma, di per sé, la convenzione resta atto privato.
La certificazione da parte degli avvocati dell’autografia delle sottoscrizioni delle parti non è finalizzata ad attribuire pubblica fede se non a dette sottoscrizioni, così come avviene, ad esempio, per la procura alle liti.
Dalla convenzione sorgono doveri di comportamento. Le prestazioni sono reciproche e di uguale contenuto. Le parti si obbligano a svolgere una trattativa con l’auxilium di uno o più professionisti – gli avvocati – cui spetta il compito di tutelare i loro interessi e di costruire tanto il contratto che è fonte di quegli obblighi quanto l’eventuale accordo che pone fine al contrasto tra di esse.
L’assistenza del legale può servire a far contenere pretese esagerate o non totalmente fondate, a segnalare agli interessati gli aspetti incerti delle loro posizioni e a far comprendere come determinati ostacoli al successo delle loro istanze derivino direttamente dalla legge e non siano superabili.
La negoziazione in materia di separazione e divorzio
L’art. 6 del II capo del decreto giustizia è dedicato alla particolare ipotesi di negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio [3].
La disciplina prevede che tramite la convenzione di negoziazione assistita (da almeno un avvocato per parte) i coniugi possano raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di cui all’art. 3, 1° comma, n. 2, lett. b) della l. n. 898/1970), nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio precedentemente stabilite.
La procedura è applicabile, a seguito delle modifiche apportate in sede di conversione del decreto, sia in assenza che in presenza di figli minori o di figli maggiorenni, incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti [4].
Nel primo caso, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è sottoposto al vaglio del procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, se non ravvisa irregolarità comunica il nullaosta agli avvocati.
Nel secondo caso, invece, il pubblico ministero, cui va trasmesso l’accordo concluso entro 10 giorni, lo autorizza solo se lo stesso è rispondente all’interesse dei figli. Qualora, al contrario, il procuratore ritenga che l’accordo non corrisponda agli interessi della prole, lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del tribunale, il quale, nel termine massimo di trenta giorni, dispone la comparizione delle parti, provvedendo senza ritardo [5].
Una volta autorizzato [6], l’accordo, nel quale gli avvocati devono dare atto di aver esperito il tentativo di conciliazione tra le parti informandole della possibilità di ricorrere alla mediazione familiare, è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti in materia.
Dopo la sottoscrizione della convenzione di negoziazione, il legale della parte ha l’obbligo di trasmetterne copia autenticata munita delle relative certificazioni, entro 10 giorni, a pena di sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto per tutti gli adempimenti successivi necessari (trascrizione nei registri di stato civile; annotazioni sull’atto di matrimonio e di nascita; comunicazione all’ufficio anagrafe).
Sottoscrivendo un impegno a trattare con l’assistenza dei legali, l’accordo successivamente raggiunto non si esaurisce in una mera transazione privata, sprovvista di effetti in una materia che è sempre stata ritenuta di diritto indisponibile e rigidamente riservata alla giurisdizione ecclesiastica e civile.
L’accordo diventa invece un titolo munito dell’efficacia del provvedimento del giudice, a tanto elevato per la forza attualmente riconosciuta alla volontà delle parti e per l’alta funzione collaborativa alla giustizia che si attribuisce al professionista legale.
La negoziazione può essere utilizzata per prevenire la controversia in giudizio come anche per porvi termine, se iniziata, mediante l’abbandono di questa e il percorso di una procedura che è tutta di natura sostanziale e che tuttavia conduce a un titolo suscettibile di esecuzione forzata, di tutela cautelare e di efficacia erga omnes.
[1] Sul punto Del Prato E., Gli strumenti contrattuali di negoziazione della lite: tratti di incidenza della dottrina sulla giurisprudenza, in Rivista trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc. 1, 2016, pag. 164, il quale scrive quanto sia opportuno “constatare sùbito che i numerosi interventi normativi volti a deflazionare il contenzioso mediante il ricorso, talvolta obbligatorio, a tentativi di composizione bonaria affidata ad organismi di mediazione o ad avvocati – la negoziazione assistita – riguardano la veste, non la sostanza, dei modi di composizione negoziale delle liti. Essi, dunque, non hanno un’efficacia innovativa sui modelli e sui contenuti che caratterizzano le definizioni pattizie, sebbene possano caratterizzarsi per alcuni effetti ulteriori”.
[2] A riguardo Carratta A., Fuori dal processo: trasferimento in arbitrato, negoziazione assistita e accordi sul matrimonio – Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia matrimoniale, in Giurisprudenza Italiana, fasc. 5, 2015, pag. 1257.
[3] In materia Tizi F., Negoziazione assistita e relazioni genitoriali per le coppie non coniugate – Negoziazione assistita in materia familiare e coppie di fatto (nota a sentenza), in Giurisprudenza Italiana, fasc. 12, 2016, pag. 2643.
[4] Sulla distinzione dei due procedimenti e sulla interpretazione del diniego di autorizzazione del Presidente del Tribunale competente all’accordo proposto dai coniugi senza figli minori Tizi F., Negoziazione assistita in materia di famiglia – Questioni varie in tema di negoziazione assistita in materia famigliare (nota a sentenza), in Giurisprudenza Italiana, fasc. 10, 2016, pag. 2162.
[5] Sul punto Tizi F., Negoziazione assistita – Prime riflessioni sui poteri presidenziali ex art. 6, 2˚ comma, D. L. 132/2014 convertito nella l. n. 162/2014 (nota a sentenza), in Giurisprudenza italiana, fasc. 8 – 9, 2015, 1879.
[6] Sulle conseguenze della mancata autorizzazione da parte del PM, vedi Carratta (nt. 2).