L’art. 30 Cost. prevede l’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli. Tale obbligo sussiste per il solo fatto di averli generati e persiste fino al raggiungimento dell’indipendenza economica.
L’obbligo in questione riguarda i figli minori e i figli maggiorenni che non siano economicamente autosufficienti, nonché quelli affetti da handicap grave.
L’ordinamento mira ad evitare che il genitore al momento della separazione possa sentirsi esonerato dal dover badare alla crescita e al sostentamento del proprio figlio. Per questo motivo quindi sono state introdotte serrate regole inerenti all’assegno di mantenimento, il quale, ha proprio la funzione di apportare al figlio i mezzi finanziari idonei a consentirgli un adeguato tenore di vita.
L’importo di tale assegno viene deciso in sede giudiziale e può successivamente essere revisionato. La revisione può essere richiesta per molteplici cause tra cui la sopravvenienza di figli nati da una nuova relazione che devono essere parimenti tutelati dall’ordinamento.
In questo caso, il giudice, al fine di decidere sulla domanda di revisione dell’assegno di mantenimento fissato al momento del divorzio, deve in primo luogo accertare se la formazione della nuova famiglia abbia determinato il mutamento in peius della complessiva condizione economica del coniuge obbligato, per la nascita di nuovi figli.
Quindi dovrà stabilire un contributo economico che consenta all’obbligato di far fronte agli obblighi assunti verso l’ex moglie e la figlia alla data del divorzio, ma che altresì gli consenta di vivere dignitosamente con la sua nuova famiglia.
È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 2 febbraio 2018, n. 2620.
Il fatto
Tizio, marito di Caia, agiva per la revisione dell’assegno di mantenimento dal momento che, a causa dell’importo elevato dovuto alla prima figlia nata dal primo matrimonio, non riusciva a garantire un adeguato tenore di vita alla sua nuova famiglia, composta da 3 figli e una moglie malata priva di reddito.
Il giudice di prime cure, accoglieva il ricorso ex art. 710 c.p.c., riducendo da euro 550,00 ad euro 300,00 mensili l’assegno versato per il mantenimento della figlia, rilevando che il ricorrente essendosi risposato, e avendo formato una nuova famiglia con ben 3 figli, non riusciva a fronteggiare tutte le spese necessarie per il sostentamento della sua nuova famiglia.
Caia proponeva appello presso la Corte d’Appello avverso la sentenza del giudice di primo grado, la quale riformava parzialmente la sentenza di primo grado rideterminando l’assegno ad euro 500, mensili osservando che già al momento della pronuncia di divorzio Tizio aveva formato una nuova famiglia, pur avendo illo tempore solo un figlio, ma percepiva un reddito inferiore all’attuale (1.400,00 a fronte degli attuali 2.000,00) e quindi i nuovi oneri dovuti alla nascita di nuovi figli venivano neutralizzati da tali circostanze.
Tizio ritenendo che la Corte d’Appello avesse del tutto trascurato le esigenze economiche dei figli nati dal secondo matrimonio, impugnava così il decreto in Corte di Cassazione
La normativa
L’art. 156 c.c. prevede una serie di disposizioni atte a garantire al genitore affidatario, di continuare a godere dell’aiuto economico dell’altro coniuge.
All’ultimo comma viene tuttavia prevista una possibile modifica dei provvedimenti determinati in sede di divorzio per giustificati motivi.
La sussistenza dei giustificati motivi, in presenza dei quali può essere disposta la revisione della misura dell’assegno o anche la revoca, deve essere accertata alla stregua del principio di natura assistenziale, avuto riguardo ai “mutamenti delle condizioni e dei redditi dell’obbligato, dell’avente diritto o di entrambi”, da valutare al fine di stabilire se tali presupposti abbiano determinato l’esigenza di un riequilibrio o di una sperequazione delle rispettive situazioni economiche.
L’articolo 9 della legge 898/1970, stabilisce che qualora sopravvengano giustificati motivi, il tribunale su istanza di parte può disporre la revisione delle disposizioni relative alla misura ed alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6.
Nel caso di specie la creazione di una nuova famiglia determina più oneri all’obbligato, ma, come evidenziato, questi è comunque vincolato al mantenimento del figlio nato dall’unione precedente.
La necessità di far fronte alle esigenze di figli nati da una nuova unione non basta dunque per ottenere dal giudice, in via automatica, una riduzione del mantenimento per il figlio nato da una precedente relazione.
Il genitore per vedere accolta la propria istanza deve provare la concreta diminuzione delle sostanze o della propria capacità di reddito.
In tema di assegno di mantenimento sono state apportate molte modifiche a causa di tesi giurisprudenziali contrastanti che hanno determinato un’evoluzione della disciplina.
Sino a molti anni fa, la Cassazione riteneva infatti che la costituzione di una famiglia fosse espressione di una «libera scelta e non di una necessità» che non legittimava di per sé la domanda di revisione del contributo per il mantenimento. In altre parole, la formazione di una nuova famiglia era da considerarsi un lusso per pochi.
Al contrario, secondo l’orientamento formatosi negli ultimi anni (1) la libertà di formare una nuova famiglia dopo la separazione o il divorzio costituisce espressione di un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione e dall’ordinamento sovranazionale.
Per tale motivo, secondo le più recenti pronunce, la famiglia va tutelata senza distinzioni tra il nuovo ed il vecchio nucleo familiare.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione, analizzando l’integrale fattispecie, ha ritenuto che il fatto preesistente, cioè la nascita delle due figlie alla data della pronuncia della sentenza di divorzio, non doveva precludere una valutazione circa il peggioramento della sua condizione economica che non gli consentiva più di versare tale importo alla sua prima figlia, perché divenuto troppo elevato a causa delle esigenze delle figlie nate dalla nuova relazione, esigenze del tutto trascurate dalla Corte d’Appello.
Nel muovere da tale erroneo presupposto, spiega la Cassazione, la Corte territoriale ha operato una non consentita parcellizzazione del reddito dell’uomo, il cui modesto aumento è stato ritenuto idoneo a “neutralizzare” i costi del mantenimento dell’ultimogenito, omettendo di effettuare indagini che consentissero di verificare globalmente la situazione economica di Tizio, e quindi di determinare quale importo fosse ritenuto consono a soddisfare non solo le esigenze della prima famiglia ma anche della nuova famiglia del ricorrente.
In conclusione la Corte, accolto il ricorso di Tizio, cassava la decisione impugnata e rinviava alla Corte d’Appello, in diversa composizione, che dovrà regolare la vicenda secondo i principi espressi.
(1) Cass. sent. n. 6289/2014, Cass. Ord. 14175/2016