Mancato pagamento della quota annuale al COA: chiarimenti sul ricorso al CNF

Cosa accade se l’avvocato omette di versare la quota annuale all’Ordine a cui appartiene? E in caso di ricorso al CNF avverso la sospensione dall’esercizio della professione, l’avvocato può difendersi da solo o deve farsi rappresentare da altro collega?

L’art. 29 della nuova Legge Professionale Forense (L. n. 247/2012) prevede al 6° comma che in caso di mancato pagamento del contributo annuale al Consiglio dell’Ordine entro i termini stabiliti, l’inadempiente iscritto all’Albo deve essere sanzionato con la sospensione a tempo indeterminato dall’esercizio dell’attività professionale.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha incontrato alcune difficoltà di interpretazione. Ecco in particolare le questioni sulle quali è sorto un contrasto:

  1. La sanzione della sospensione è immediatamente operativa, ovvero la sua efficacia è sospesa nelle more del termine per l’impugnazione?
  2. Ritenuto che non può escludersi l’impugnabilità del provvedimento, vertendosi in tema di diritti o, quantomeno, di interessi legittimi, qual è l’autorità giurisdizionale competente a ricevere l’impugnazione?

A questi interrogativi, hanno risposto le Sezioni Unite con la sentenza n. 7666 del 24 marzo 2017.

La sospensione in caso di mancata pagamento della quota al COA: la natura della sanzione

La prima questione affrontata dalla Cassazione è quella sull’operatività della sanzione in caso di omesso versamento della quota annuale.

Come è espressamente previsto dall’art. 29 della nuova Legge Professionale, la sanzione che deve essere inflitta dal Consiglio Territoriale all’iscritto moroso, e cioè la sospensione a tempo indeterminato, non ha natura disciplinare.

La medesima disposizione dispone inoltre che essa possa essere inflitta solo previa contestazione dell’addebito e convocazione dell’iscritto e che sia “revocata allorquando si sia provveduto al pagamento”.

Dal tenore letterale della norma, si deduce che la competenza sanzionatoria riservata al COA è di natura amministrativa ed è esercitata per garantire l’esecuzione dell’obbligo di contribuzione a carico degli iscritti all’Albo forense.

E ciò al contrario dei provvedimenti disciplinari emessi per sanzionare un illecito per i quali è prevista, in un’ottica di maggiori garanzie, la sospensione dell’esecutività in caso di reclamo proposto al CNF.

In altre parole, la sospensione è immediata e resta esecutiva sino alla revoca per effetto del pagamento dei contributi dovuti.

Di conseguenza l’iscritto moroso, sanzionato con la sospensione ex art. 29 L. P., non potrà difendersi da solo in sede di ricorso al CNF.

Circostanza che, come chiarito dalla Suprema Corte, non comporterebbe una lesione del diritto di difesa dell’interessato, dal momento che egli potrà certamente farsi assistere nel ricorso al CNF da altro difensore.

La difesa personale non costituisce infatti l’unica soluzione percorribile e, peraltro, nulla impedirebbe all’iscritto sospeso di comparire dinanzi al Consiglio Nazionale Forense per interloquire personalmente attraverso dichiarazioni spontanee.

L’autorità competente a ricevere l’impugnazione alla sanzione ex art. 29 L.P.

Come accennato, la seconda questione affrontata dalle Sezioni Unite riguardava la corretta individuazione dell’autorità giurisdizionale competente a ricevere il ricorso avverso la sospensione a tempo indeterminato dall’esercizio della professione.

Sul punto, v’è infatti chi ha sostenuto che costituendo il contributo al COA un “tributo”, le controversie ad esso relative dovrebbero spettare alla giurisdizione del giudice tributario.

E dal momento che il Consiglio Nazionale Forense è un giudice speciale costituito ai sensi dell’art. 102 Cost., l’attribuzione ad esso della giurisdizione in materia contributiva violerebbe la norma costituzionale appena richiamata.

Tuttavia, secondo le Sezioni Unite, la natura tributaria della quota annuale spettante al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati non determina anche la giurisdizione del giudice tributario.

Oggetto della discussione non è infatti la legittimità della pretesa del pagamento del contributo previsto dalla legge quale onere in capo al professionista per effetto dell’iscrizione all’albo, ma piuttosto l’accertamento della sussistenza delle condizioni per l’iscrizione all’albo e per poter esercitare la professione.

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