L’usura nei contratti derivati e negli Interest Rate Swap

in Giuricivile, 2019, 9 (ISSN 2532-201X)

Come è noto, da diversi anni si assiste ad un fenomeno di progressiva consumerizzazione della tutela anche rispetto a particolari strumenti finanziari che sono connotati da un elevato livello di rischio[1].

Tra gli ambiti della finanza oggetto della citata trasformazione della tutela si annovera, inter alia, quella relativa ai contratti derivati.

Tali contratti, difatti, da alcuni già definiti come una “scommessa legalizzata[2], hanno un valore che dipende dall’andamento di un’attività sottostante, come titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, merci, o flussi di pagamento (c.d. “underlying variabiles”).

Esempi di tale consumerizzazione della tutela – che ha condotto diversi tribunali a pronunciare in passate controversie la nullità di contratti derivati[3] – si rinvengono in quei casi nei quali è stata sanzionata la predominanza dell’alea nella causa del contratto, o la mancanza di causa in concreto, oppure il superamento del mark to market.

Viceversa, tema che costituisce oggetto di indagine delle più recenti riflessioni dottrinali e giurisprudenziali – ad oggi ancora insoluto – è costituito dalla possibilità del verificarsi dell’usura all’interno di tali contratti, e specialmente negli Interest Rate Swap.

La questione non appare infatti marginale né scontata, giacchè a tal fine è necessario comprendere se sia possibile che il derivato costruito da una banca – sebbene frutto di una particolare ingegnerizzazione del rischio il cui costo non può essere affidabilmente predeterminato nella contrattazione delle parti – possa integrare, magari durante lo svolgimento del rapporto, un vantaggio da considerarsi usurario.

Usura nei contratti derivati: i costi impliciti

Le ipotesi di usura nella stipulazione di un contratto derivato swap si possono ravvisare in almeno quattro circostanze.

In primo luogo è possibile rilevare che anche un derivato può ben occultare costi impliciti, e tale circostanza può dunque facilmente permettere il superamento della soglia dell’usura.

Come già rilevato in dottrina infatti, “nei contratti non par l’operazione non può mai definirsi “a costo zero”, ma presenta sempre un costo implicito (laddove non esplicitato dall’intermediario) che rileva quale mispricing (disallineamento) fra il prezzo teorico di mercato dello strumento (mark to market) ed il prezzo ad esso attribuito dall’intermediario. 

Fra le diverse voci che compongono questo costo implicito, vi è quella relativa alla remunerazione trattenuta dall’intermediario quale corrispettivo per il servizio prestato, cioè per aver progettato, collocato o negoziato il prodotto finanziario.

In pratica, i contratti derivati OTC si caratterizzano per la sistematica presenza di un differenziale positivo fra prezzo di negoziazione e prezzo teorico di mercato (mispricing). Tale differenza di valore garantisce un profitto finanziario all’intermediario, basato (essenzialmente) sullo sfruttamento del vantaggio di posizione informativa in ordine caratteristiche del prodotto[4]”.

Pertanto in tale tipologia di contratti un costo implicito sarebbe sempre comunque presente, anche sotto forma di commissioni occulte[5], e tale circostanza contrasterebbe inevitabilmente con gli artt. 115 e ss. del T.u.b., i quali prevedono invece che una operazione di finanziamento bancario debba sempre esplicitare il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticata, inclusi (…) gli eventuali maggiori oneri in caso di mora, prevedendo altresì che siano nulle e si considerino come non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticati.

Difatti, in primo luogo è possibile rilevare che la gestione di un derivato da luogo a flussi di pagamenti la cui struttura è talmente complessa da non renderli precisamente osservabili, e in tal modo si possono dunque nascondere pesanti commissioni.

In secondo luogo, sommando a questi i costi della strutturazione/collocazione del prodotto, le commissioni di intermediazione e di anticipata estinzione, tale circostanza può dar luogo al superamento della soglia dell’usura senza che il fenomeno sia osservabile se non tramite l’unbundling del prodotto.

Sul punto si veda la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1385 del 26 marzo 2014, nella quale la Consulenza Tecnica d’Ufficio ordinata dal Giudice ha accertato la presenza di ben 821.000,00 euro di costi impliciti[6].

Dal contratto derivato andrebbero dunque sempre espunti i costi impliciti, i quali pertanto, ove presenti, concorrono alla determinazione dell’usurarietà dei tassi praticati nel contratto.

Invero, nella prassi, è agile rilevare come alcuni contratti derivati, oltre ad essere del tutto inidonei ad assolvere l’esigenza di copertura del rischio, assumendo piuttosto una natura esclusivamente speculativa, si rivelano anche comprensivi di costi occulti in quanto non dichiarati né concordati con il sottoscrittore.

Difatti in passato non è stato raro accertare che, rilevando sull’over the counter un costo dell’intermediazione nell’ordine dello 0,01%-0,02%, erano state applicate commissioni occulte o margini impliciti nel prezzo che, anche per semplici operazioni swap plain vanilla, si attestavano in valori talvolta superiori allo 0,20% annuo sul nozionale[7].

Appare dunque necessario, in tali casi, procedere alla rideterminazione del tasso di interesse applicato, giacchè, per l’effetto dell’applicazione di tali costi impliciti lo stesso potrebbe rivelarsi di molto maggiore rispetto al tasso integrante il reato di usura.

Usura nei contratti derivati: accordi di hedging

Un’altra ipotesi di verificazione di usura nei contratti derivati, senz’altro la più frequente nella prassi, è inoltre rinvenibile nella sottoscrizione di un derivato di copertura del rischio dei tassi di interesse contestualmente alla sottoscrizione di un finanziamento.

Capita infatti di frequente che la banca, a corredo della sottoscrizione di un finanziamento a tasso variabile, vincoli l’erogazione dello stesso alla sottoscrizione di un Interest Rate Swap, o anche “derivato di copertura”, volto a gestire il rischio derivante dalla fluttuazione dei tassi di interesse.

Si tratta dei c.d. “accordi di hedging”, molto frequenti nelle operazioni di finanza strutturata, ai sensi dei quali l’erogazione avviene previa conclusione di un derivato su un nozionale non inferiore ad una determinata percentuale dell’importo delle linee di credito.

Ebbene, secondo alcune interpretazioni, il costo del derivato di copertura dovrebbe essere considerato come una delle “spese collegate all’erogazione del creditoex art. 644, comma 4, c.p.[8].

Di conseguenza, considerando tale strumento come una delle spese dell’erogazione del credito, anche tale costo concorrerebbe nel calcolo volto a stabilire l’usurarietà del tasso di interesse concretamente applicato al finanziamento.

Milita in favore di tale interpretazione la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di collegamento negoziale, ai sensi della quale i due contratti sarebbero comunque legati da un rapporto inscindibile che non permette di considerare la funzione e le sorti dell’uno avulse dall’altro.

In sostanza il costo effettivo del finanziamento sarebbe quello risultante dalla somma del costo di entrambe le operazioni, da valutarsi congiuntamente in virtù del collegamento negoziale che sussiste tra le stesse. Sarà dunque necessario, per la verifica dell’usurarietà, valutare interessi, commissioni e spese di entrambe le operazioni, sommando sia gli oneri previsti nel contratto di finanziamento, sia i margini impliciti compresi nell’operazione di swap.

Se così non fosse sarebbe invero facilmente eludibile il divieto di cui all’art. 644 c.p., in quanto, esemplificando la dinamica, andando ad ipotizzare una soglia di usura per finanziamenti a imprese e famiglie pari al 16,89%, volendo eludere la soglia e praticare un tasso di interesse del 17% sarebbe sufficiente per la banca concedere un finanziamento al tasso fisso del 16,50% e, con l’Euribor al 2% effettuare contestualmente uno swap per cedere il fisso contro il variabile, oppure, ugualmente, realizzare un finanziamento al tasso Euribor con uno spread dell’11% ed uno swap che modifichi il tasso variabile nel fisso al 6%[9].

Appare dunque evidente che in tal modo qualsiasi finanziamento o mutuo concretamente usurario potrebbe essere ricondotto entro la soglia, e dunque reso lecito, ponendo una quota della prestazione entro la soglia in quanto attinente al finanziamento e relegando in un separato swap non par la componente ulteriore debordante la soglia.

Usura nei contratti derivati: unwinding del derivato in perdita

La terza ipotesi di usura nei derivati si rinviene invece allorquando l’upfront versato dalla banca, integrando di fatto un finanziamento, risulta superare il tasso soglia determinato trimestralmente dalla Banca d’Italia.

Questa dinamica finanziaria si verifica prevalentemente nell’ambito della rinegoziazione con la banca di uno o più derivati preesistenti sottoscritti dal cliente, il c.d. “unwinding” del derivato in perdita[10].

Accade infatti che il derivato dall’andamento negativo precedentemente sottoscritto venga estinto e contestualmente se ne sottoscriva uno nuovo che comprende i costi dell’estinzione del derivato negativo.

Al fine di compensare lo squilibrio dell’operazione la banca versa al cliente una somma upfront, la quale, teoricamente, corrisponderebbe ad una mera anticipazione attualizzata di eventuali incassi futuri, sebbene di fatto del tutto incerti.

Ebbene, tale somma versata dalla banca dovrebbe però essere considerata, come già rilevato dalla dottrina finanziaria, a tutti gli effetti un finanziamento[11] c.d. “sintetico”, con la conseguenza che tutti i relativi costi dovrebbero essere calcolati al fine di valutarne l’eventuale usurarietà del tasso applicato.

Si è infatti rilevato come l’upfront versato dalle banche alle imprese o al cliente per chiudere un precedente swap con mark to market negativo, nonostante l’intrinseca incertezza sulla sua restituzione, assolva sostanzialmente la funzione tipica del finanziamento, o quantomeno di “servizio di investimento accessorio”, consistente nella concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di effettuare un’operazione relativa a strumenti finanziari[12].

Dal punto di vista economico, in effetti la banca, evitando la chiusura del contratto in negativo per il cliente e la riscossione di quanto per l’effetto maturato, sostanzialmente finanzia l’importo a sè stessa dovuto.

L’interpretazione del versamento dell’upfront in chiave di finanziamento peraltro non può comunque ritenersi priva di fondamento, nonostante alcune obiezioni siano state sollevate, giacchè la stessa pare avallata quantomeno dall’art. 47, comma 2, Reg. Consob n. 11522/98, il quale configura come concessione di finanziamento qualunque operazione volta all’acquisizione, da parte dell’investitore, di somme di denaro o strumenti finanziari contro il pagamento di un interesse.

In effetti, normalmente, con tale operazione la banca eroga al cliente una certa somma di denaro.

Si osserva inoltre che siffatta interpretazione sembra altresì coerente con la ratio del legislatore del 1996, il quale nell’espungere dalla formulazione dell’art. 644 c.p. ogni riferimento all’altrui “condizione di minorità economica” e introducendo il c.d. “tasso soglia usura” ha inteso evitare che particolari fattispecie di usura fossero escluse dall’applicazione della norma sulla base del semplice nomen juris impiegato dalle parti.

Così facendo dunque, ritenendo tale operazione un finanziamento a tutti gli effetti, il tasso di interesse applicato non dovrebbe superare quello determinato trimestralmente dalla Banca d’Italia a norma della legge n. 108/1996.

Aggiungasi inoltre che, in molti casi, la banca riconosce al cliente soltanto una parte dell’upfront necessario a riequilibrare il rapporto, oppure non eroga al cliente l’intero fair value e trattiene un margine detto “commissione implicita” o “occulta” che costituisce, in pratica, l’interesse del finanziamento implicito[13].

Pertanto, anche nel caso di rinegoziazione di un derivato preesistente, è necessario valutare il costo complessivo dell’erogazione dell’upfront da parte della banca e valutare l’eventuale superamento della soglia.

Usura nei contratti derivati: innalzamento del tasso in presenza di opzioni incorporate

Un’altra ipotesi di usura si verifica, infine, laddove l’innalzamento del tasso d’interesse di un finanziamento è dovuto alla presenza di derivati o opzioni incorporate, le c.d. “embendded options”.

Non di rado infatti accade, secondo una prassi del tutto sconosciuta al Codice Civile e al T.U.B., che taluni contratti di finanziamento contengano derivati impliciti – appunto embedded – i quali, sulla base del calcolo degli scenari probabilistici, possono integrare ipotesi di usura originaria o comunque in concreto[14].

Può accadere infatti che un contratto di mutuo, il quale al momento della conclusione aveva tassi di interesse sotto la soglia usura, abbia tuttavia, sulla base del detto calcolo probabilistico, percentuali di probabilità prossime al 100% di superare quella soglia nelle successive rate.

Non appare dunque corretto non tenere in considerazione, ai fini della valutazione dell’usurarietà di un finanziamento, il costo di un derivato che a questo è collegato e le cui probabilità di andamento negativo sono sostanzialmente certe.

Invero la funzione di un derivato di tale tipologia è quella di distribuire, in capo ad entrambi i contraenti, un’alea razionale sulla distribuzione del rischio finanziario, vale a dire sull’andamento dei tassi di interesse. Di conseguenza non si può non calcolare il costo del derivato sicuramente negativo per il cliente all’interno del costo del finanziamento, con conseguente valutazione dello stesso al fine della verifica del superamento della soglia dell’usura.

Come infatti rilevato dagli studiosi che hanno avuto modo di affrontare l’argomento nel contenzioso instauratosi sul punto, poiché il rischio finanziario si misura in termini probabilistici appare anacronistico che la soglia massima del corrispettivo di un finanziamento prescinda, anch’essa, da una misurazione probabilistica[15].

Nei casi di derivati o opzioni incorporate pertanto è auspicabile procedere all’unbundling del prodotto secondo il modello indicato da autorevole dottrina[16] del c.d. “option-adjusted yield”, vale a dire calcolando il tasso di interesse implicito corretto tenendo conto del valore delle opzioni presenti nei contratti.

Conclusioni

In conclusione è bene ribadire che il mercato degli Interest Rate Swap è alimentato dall’esigenza dei soggetti economici di immunizzare il risultato economico da fattori di rischio finanziario e valutario, estranei pertanto al core business del soggetto che li sottoscrive. Tale immunizzazione la si ottiene prevalentemente con l’acquisto di opzioni o con la stipulazione di swap plain vanilla.

Appare dunque chiaro che la liceità o meno, sotto lo specifico profilo dell’usura, di un contratto derivato swap, attiene all’effettiva sussistenza tra le parti di una ripartizione razionale del rischio, al fine di ricondurre il prodotto all’interno dell’alea effettivamente negoziabile tra le parti a norma dell’art. 1467 c.c..

Diversamente, non rispondendo la struttura del derivato al reciproco scambio delle alee tra le parti, lo stesso deve essere sottoposto al vaglio dei rimedi posti dall’ordinamento a tutela della generalità dei contratti, in particolare per quanto riguarda la disciplina dell’erogazione del credito e dunque dell’applicazione di tassi usurari.

Come dimostrato infatti, soprattutto in alcune circostanze (nello specifico nel versamento dell’upfront) non appare possibile ritenere il prodotto l’oggetto di un distinto contratto rispetto a quello cui accede, ma è necessario considerarlo, alla luce della consolidata giurisprudenza esistente sulla disciplina del collegamento negoziale, un finanziamento a tutti gli effetti.

Impostazioni di questo tenore sono ravvisabili anche in talune sentenze, tra le quali, fra tutte, spicca per limpidezza della esposizione quella del Tribunale di Alessandria del 29 gennaio 2014, n. 156, nella quale (in merito all’usura commessa a mezzo derivati) è stato ritenuto che non possa considerarsi integrato il reato di usura se non ancorando l’alea ad elementi assolutamente prevedibili – pur se incerti – al punto da permettere, già al momento della conclusione del contratto di individuare un tasso usurario, divenendo reato pertanto la strutturazione, sin dal principio, di un rischio solo a carico di una parte[17].

Alla luce di quanto sinora esposto sembra dunque del tutto lecito ritenere possibile il verificarsi dell’usura in numerose tipologie di derivati, e specialmente negli Interest Rate Swap.


Bibliografia

  • PAGLIANTINI, Ancora sulla saga dei derivati (note minime sul principio di effettività e sui cd. vizi del XXI secolo), Nuove Leggi Civile Commerciali, 2016, 4, 808
  • MAFFEIS, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, Rivista Diritto Civile, 2016, 1096 ss.
  • I costi impliciti nei contratti derivati, Diritto Bancario, 2011
  • Rassegna Stampa, Almaiura, 2014
  • MARCELLI, L’usura nei derivati, 2012, 68, 65
  • TUCCI, Derivati e usura, Rivista Di Diritto Bancario, 2./2018, 7 ss.
  • MARCELLI, La consulenza tecnica nei procedimenti penali per usura bancaria, 2013, 180-181
  • CALZOLARI, La rinegoziazione dei contratti di Interest Rate Swap, Società, 2014, 8-9
  • SCOTTI CAMUZZI, Sulla natura dell’upfront dei contratti IRS, Swaps tra banche e clienti, Milano, 2014, 255, nt. 6
  • FRISONE, Derivati: ecco perché le banche rinegoziano spesso i contratti dei clienti, 2014
  • VERONESE, L’usura nei contratti bancari derivati denominati Interest Rate Swap, 2013, 3
  • MAFFEIS in M. FRISONE, Contratti derivati finanziari camuffati da mutui e leasing, Il Sole 24 Ore, 2015
  • BARONE, G. OLIVIERI, Derivati e usura: l’utilizzo delle opzioni nella costruzione di negozi in frode alla legge, Rivista trimestrale di diritto dell’economia, 2009, 122-123
  • N. MEAZZA, La responsabilità penale nei derivati sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni, Giurisprudenza Penale, 2017, 26

[1] S. PAGLIANTINI, Ancora sulla saga dei derivati (note minime sul principio di effettività e sui cd. vizi del XXI secolo), in Nuove Leggi Civile Commerciali, 2016, 4, 808

[2] Così definiti in: D. MAFFEIS, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa legalmente autorizzata di swap, in Riv. Dir. Civ., 2016. P.1096 ss.

[3] Da ultimo: Corte d’Appello di Brescia, 11 gennaio 2018, n. 8 – Pres. Pianta, Rel. Vilone

[4] I costi impliciti nei contratti derivati, Diritto Bancario, 2011

[5] Sull’applicazione di commissioni occulte nei derivati si veda: Tribunale di Verona 10 dicembre 2012 e, Tribunale di Verona 5 novembre 2012

[6] Almaiura, Rassegna Stampa, 2014

[7] R. MARCELLI, L’usura nei derivati, 2012, 68, 65

[8] A. TUCCI, Derivati e usura, Rivista di diritto bancario, 2./2018, 7 ss.

[9] R. MARCELLI, La consulenza tecnica nei procedimenti penali per usura bancaria, 2013, 180-181

[10] L. CALZOLARI, La rinegoziazione dei contratti di Interest Rate Swap, in Società, 2014, 8-9

[11] In termini di “finanziamento speculativo” si veda: S. SCOTTI CAMUZZI, Sulla natura dell’upfront dei contratti IRS, in Swaps tra banche e clienti, a cura di Maffeis, Milano, 2014, 255, nt. 6

[12] In termini di “servizio di finanziamento accessorio” si veda: M. FRISONE, Derivati: ecco perché le banche rinegoziano spesso i contratti dei clienti, 2014

[13] M. VERONESE, L’usura nei contratti bancari derivati denominati Interest Rate Swap, 2013, 3

[14] Sulla necessità della previa valutazione delle proiezioni probabilistiche relative all’andamento del derivato si veda: Tribunale di Monza, 9 novembre 2017

[15] D. MAFFEIS, in M. FRISONE, Contratti derivati finanziari camuffati da mutui e leasing, Il sole 24 ore, 2015

[16] E. BARONE, G. OLIVIERI, Derivati e usura: l’utilizzo delle opzioni nella costruzione di negozi in frode alla legge, Rivista trimestrale di diritto dell’economia, 2009, 122-123

[17] L. N. MEAZZA, La responsabilità penale nei derivati sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni, in Giurisprudenza Penale, 2017, 26

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