Liquidazione delle spese di lite e clausola “maggiore o minor somma”: le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza n. 20805 del 23 luglio 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), sono intervenute a dirimere un contrasto interpretativo in materia di liquidazione delle spese di lite nei casi in cui la domanda attorea, che contempli la richiesta di pagamento di un determinato importo, contenga anche la generica istanza “ovvero nel diverso importo che dovesse risultare dovuto in corso di causa, e/o comunque nel diverso importo che dovesse essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa”. La decisione offre spunti rilevanti per il giusto inquadramento del valore della causa. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile”, di Lucilla Nigro, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon, offre un supporto utile per gestire ogni fase del contenzioso civile.  

Formulario commentato del nuovo processo civile

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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

 

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Analisi del caso

Una società attiva nel settore della moda e il suo rappresentante legale agivano in giudizio, accusando il convenuto di aver diffuso, sul suo sito internet, due comunicati stampa dal contenuto diffamatorio, relativi a una nota sponsorizzazione per il restauro del Colosseo. Nella domanda giudiziale chiedevano il risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali, indicando un ammontare complessivo di 36 milioni di euro e rimettendo al giudice la possibilità di liquidare una somma diversa, maggiore o minore, secondo equità, in applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano integralmente la domanda. Il Codacons proponeva appello incidentale avverso il capo relativo alle spese di lite, lamentando che la relativa liquidazione fosse avvenuta in base allo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile. La Corte d’Appello respingeva tale censura, richiamando l’orientamento di legittimità secondo cui, in caso di rigetto della domanda attorea, il valore della causa va determinato in base al “disputatum” e non al “decisum”.

I giudici di secondo grado, in particolare, evidenziavano che la presenza di una clausola che affianchi l’indicazione di una somma determinata e richieda di procedere alla liquidazione di quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia comporterebbe che la causa debba essere ritenuta di valore indeterminabile e sarebbe espressione della volontà della parte di rimettere al giudice la quantificazione del dovuto.

Avverso la decisione d’appello sulle spese, il Codacons presentava ricorso in Cassazione e chiedeva la rimessione della causa alle Sezioni Unite, sostenendo che la questione relativa alle spese di lite fosse oggetto di un contrasto giurisprudenziale rilevante.

Le argomentazioni del Codacons

Il Codacons, nel ricorso per Cassazione, ha denunciato la violazione degli articoli 10 e 14 del codice di procedura civile, nonché delle disposizioni contenute nel D.M. n. 55/2014 in materia di parametri per la liquidazione dei compensi professionali. La critica si concentrava sulla decisione della Corte d’appello di considerare la causa come di valore indeterminabile, nonostante la domanda attorea contenesse una precisa quantificazione del danno richiesto, pari a 36 milioni di euro. Tale valutazione avrebbe condotto a una liquidazione delle spese ben più contenuta rispetto a quanto previsto per lo scaglione corrispondente all’importo indicato.

Il ricorrente ha sottolineato l’iniquità del principio applicato dai giudici di secondo grado che, pur partendo dalla corretta premessa per la quale, in caso di rigetto della domanda, occorre far riferimento al criterio del “disputatum”, hanno però aderito al principio affermato da Cass. n. 10984/2021, secondo cui la presenza della clausola di elasticità sul quantum rende di per sé la causa di valore indeterminabile.

Tale soluzione, secondo il Codacons, contrasterebbe con la precedente giurisprudenza di legittimità e comporterebbe che, anche a fronte di richieste risarcitorie di importi esorbitanti, l’attore potrebbe sottrarsi alle conseguenze pregiudizievoli della condanna alle spese di lite, apponendo alla richiesta di liquidazione del danno la detta formula, che imporrebbe al giudice di doversi attenere allo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile, con un evidente contenimento della quantificazione delle spese di lite rispetto a quanto previsto ove si fosse fatto riferimento alla somma specificamente indicata.

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Il contrasto interpretativo: valore determinato o indeterminabile?

La questione posta al vaglio delle Sezioni Unite riguardava, dunque, l’individuazione del corretto scaglione sulla scorta del quale procedere alla liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa, nel caso in cui la domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro avanzata dall’attore sia stata integralmente rigettata, vi sia stata l’indicazione di una specifica somma di denaro, come oggetto della richiesta di condanna, ma vi sia stata la precisazione da parte dello stesso attore della richiesta “di quella maggiore o minore somma, ritenuta di giustizia” (o clausola di analogo tenore).

Secondo un primo orientamento, tale clausola imporrebbe di considerare la causa di valore indeterminabile, a prescindere dalla specifica quantificazione contenuta nella domanda. Secondo un’altra tesi, invece, il valore indicato sarebbe vincolante, salvo che l’applicazione dello scaglione indeterminabile porti a un risultato economicamente più favorevole per la parte vittoriosa. La Corte ha analizzato entrambi gli indirizzi, approfondendo il fondamento normativo del conflitto.

I criteri normativi di riferimento: articoli 4 e 5 del D.M. n. 55/2014

Le Sezioni Unite hanno ricostruito il quadro normativo di riferimento, concentrandosi sugli articoli 4 e 5 del D.M. n. 55/2014. L’art. 4 stabilisce i criteri generali per la liquidazione del compenso: rilevano l’urgenza, il pregio, la difficoltà dell’affare e i risultati ottenuti. L’art. 5, invece, disciplina la determinazione del valore della causa, distinguendo fra liquidazioni a carico del cliente e a carico del soccombente.

Nel caso di condanna al pagamento, si ha riguardo alla somma attribuita (criterio del decisum). Ma nei rapporti tra cliente e difensore si tiene conto della somma richiesta (criterio del disputatum). In caso di rigetto totale, viene meno il parametro del decisum: rimane solo il disputatum.

Il valore della domanda in caso di rigetto: il principio consolidato

Richiamando precedenti consolidati (Cass. n. 28417/2018, n. 22462/2019, n. 10984/2021), la Corte ha ribadito che, quando la domanda viene totalmente rigettata, il valore della controversia deve essere determinato sulla base della somma domandata, escludendo l’applicazione del criterio del decisum. Questo orientamento trova riscontro anche nell’art. 14, comma 1, c.p.c., secondo cui il valore della causa si determina in base all’importo indicato dall’attore.

La clausola “maggiore o minore somma”: una clausola di stile?

La Suprema Corte, quanto alla natura della clausola con cui l’attore, pur indicando una somma precisa, chiede quella “maggiore o minore che si riterrà di giustizia”, ha ricostruito l’oscillazione della giurisprudenza:

  1. alcune sentenze (Cass. n. 7255/2011, n. 16318/2011) l’hanno considerata una mera clausola di stile, priva di effetti;
  2. altre (Cass. n. 12724/2016, n. 10984/2021) le hanno attribuito valore sostanziale, specie nei casi di incertezza sul quantum.

La soluzione delle Sezioni Unite: la prevalenza del valore specificato

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che, in presenza di una specificazione dell’importo richiesto, la clausola “maggiore o minor somma” non possa automaticamente rendere la causa di valore indeterminabile. La clausola di elasticità sul quantum, infatti, ha una sua utilità processuale (ad esempio: evitare l’ultrapetizione in caso di accoglimento parziale), ma non può cancellare la chiara indicazione iniziale dell’attore.

La Corte ha osservato come, tale automatismo interpretativo rischierebbe di incentivare abusi e domande abnormi, aggirando le conseguenze processuali e fiscali connesse al valore della causa. Tale clausola, quindi, va considerata efficace solo nei limiti in cui consente un trattamento più favorevole alla parte vittoriosa, ma non può travolgere l’importo espresso.

Il rilievo per la competenza e il contributo unificato

La Cassazione ha esteso il ragionamento anche ai fini della competenza per valore e del calcolo del contributo unificato. Hanno escluso che la clausola in questione possa determinare uno spostamento automatico della competenza al tribunale o giustificare il pagamento di un contributo inferiore. Anche qui, il valore da considerare resta quello indicato, salvo espressa limitazione nei casi di competenza del giudice di pace.

Il principio di diritto enunciato

Le Sezioni Unite, sulla base di tali argomentazioni, hanno accolto il ricorso enunciando il seguente principio di diritto:

«In una causa relativa a somma di denaro (nella specie, a titolo di risarcimento di danni), qualora la domanda attrice, che contempli la richiesta di pagamento di un determinato importo, contenga anche la generica istanza “ovvero nel diverso importo che dovesse risultare dovuto in corso di causa, e/o comunque nel diverso importo che dovesse essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.” ( o similare), in caso di integrale rigetto della domanda, la liquidazione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa deve avvenire sulla base dello scaglione corrispondente alla somma specificamente indicata dall’attore, ove lo stesso attribuisca compensi superiori rispetto a quelli accordati per le cause di valore indeterminabile».

La Corte ha così chiarito che la clausola generica non può avere effetto “neutralizzante” sull’indicazione del valore della causa: la liquidazione delle spese deve privilegiare il criterio oggettivo del quantum indicato nella domanda, ogniqualvolta ciò risulti economicamente più favorevole alla parte vittoriosa.

Conclusioni

Le Sezioni Unite hanno fornito un chiarimento necessario su una questione che incide in modo diretto sull’equilibrio processuale tra le parti. Qualora la domanda attorea, che contempli la richiesta di pagamento di un determinato importo, contenga anche la clausola “maggiore o minore somma”, il giudice, in caso di rigetto integrale dell’istanza, e nella liquidazione delle spese di lite a favore della parte vittoriosa, non potrà considerare la causa di valore “indeterminabile”, ma dovrà attenersi allo scaglione corrispondente alla somma specificamente indicata dall’attore, se lo stesso attribuisca compensi superiori.

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