L’indennizzo per i danni provocati dalla fauna selvatica tra diritto dell’Unione Europea e regolazione regionale

La progressiva espansione della fauna selvatica in territori agricoli, favorita da una più stringente tutela ambientale e dalla rarefazione dell’attività venatoria, ha comportato un aumento esponenziale dei danni alle colture, suscitando interrogativi sempre più pressanti sulla responsabilità dell’amministrazione e sull’indennizzabilità delle perdite sofferte dagli imprenditori agricoli. L’equilibrio tra l’interesse pubblico alla conservazione della biodiversità e la salvaguardia dell’economia agricola si pone così in una tensione crescente, destinata a tradursi in un conflitto giuridico articolato.

A questo proposito, l’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione dell’11 settembre 2024, n. 25223 (clicca qui per consultare il testo integrale), offre un’occasione preziosa per riflettere sulle complesse dinamiche derivanti dalla coesistenza tra normative regionali italiane e il diritto dell’Unione Europea, con particolare riguardo al regime degli aiuti “de minimis previsto dal Regolamento (UE) n. 1408/2013 per il settore agricolo.

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte riguarda il mancato pagamento di un indennizzo da parte dell’Ambito Territoriale di Caccia (ATC) di Ancona 2 nei confronti di un’azienda agricola marchigiana, con una serie di passaggi giudiziari che culminano in un potenziale rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE. L’ordinanza si inserisce così in un contesto normativo e giurisprudenziale in evoluzione, in cui si misura la forza cogente del diritto europeo nei confronti delle prassi amministrative regionali non sempre aggiornate.

Il contenzioso: fatti, domande e decisioni nei giudizi di merito

La vicenda ha origine da un evento occorso nel 2014, quando l’Azienda Agricola Camarzano subisce danni significativi alle proprie colture di grano duro biologico a causa della presenza di fauna selvatica. L’azienda presenta tempestivamente una richiesta di perizia all’Ambito Territoriale di Caccia, il quale provvede ad accertare la sussistenza del danno e a quantificarlo in euro 1.000. Tuttavia, l’ATC si dichiara nell’impossibilità di procedere al pagamento, adducendo la mancata corresponsione delle risorse da parte della Regione Marche.

A fronte dell’inerzia dell’amministrazione, l’azienda adisce il Giudice di pace di Iesi, che con decreto ingiuntivo n. 39/2016 condanna l’ATC al pagamento dell’importo. Segue un giudizio di opposizione, nel quale l’ATC chiama in causa la Regione, sostenendo che la pretesa indennitaria non possa essere soddisfatta per l’introduzione del regime “de minimis” europeo con delibera regionale del 2016, la quale richiederebbe una dichiarazione dell’impresa sugli aiuti già percepiti nei tre esercizi precedenti.

Il Giudice di pace rigetta l’opposizione e conferma il decreto ingiuntivo, rilevando che l’Ambito di Caccia è titolare della legittimazione passiva e che la compilazione della modulistica “de minimis” non era richiesta all’epoca dei fatti, né risultava imposta dalla normativa regionale allora vigente. Tale conclusione è confermata in appello dal Tribunale di Ancona, che sottolinea come la domanda dell’azienda sia stata presentata secondo la modulistica predisposta dagli stessi ATC e approvata dalla Regione, in un contesto normativo privo di richiami espliciti al Regolamento (UE) n. 1408/2013.

La disciplina europea in materia di aiuti “de minimis” all’agricoltura

Il cuore giuridico della controversia ruota attorno alla corretta applicazione del Regolamento (UE) n. 1408/2013, che disciplina l’erogazione degli aiuti “de minimis” nel settore agricolo, esentandoli dall’obbligo di notifica preventiva alla Commissione europea, a condizione che l’importo complessivo non superi la soglia di 15.000 euro in un triennio per singola impresa.

In particolare, l’art. 6 del regolamento stabilisce che, prima di concedere l’aiuto, lo Stato membro deve richiedere all’impresa una dichiarazione scritta o elettronica relativa agli altri aiuti percepiti durante l’esercizio in corso e nei due precedenti. In alternativa, è possibile istituire un registro centrale (come la banca dati SIAN, attiva in Italia dal 2016) che consenta di effettuare i controlli in via automatica.

La funzione dell’autodichiarazione è dunque quella di consentire all’amministrazione erogante di verificare il rispetto della soglia “de minimis e prevenire l’erogazione indebita di aiuti di Stato. Tuttavia, il regolamento stesso rimette agli Stati membri l’organizzazione delle modalità di controllo e, nella fase iniziale di applicazione, l’assenza di un registro centralizzato ha reso necessario un adeguamento normativo interno non sempre tempestivo.

Il nodo del conflitto tra norme regionali e diritto europeo

Nel caso di specie, l’azienda agricola aveva presentato la domanda secondo le modalità previste dal Regolamento Regionale Marche n. 1/2013, che, all’art. 7, non menzionava l’obbligo di autocertificazione. Il Tribunale di Ancona ha valorizzato tale circostanza per escludere la sussistenza di un inadempimento da parte dell’azienda, riconoscendo una situazione di legittimo affidamento e oggettiva incertezza normativa.

L’Ambito di Caccia, invece, ha censurato tale ricostruzione, sostenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto applicare direttamente il Regolamento europeo, quale norma self-executing, disapplicando la normativa regionale contrastante. Secondo il ricorrente, l’omessa presentazione dell’autodichiarazione doveva condurre a un rigetto della domanda di indennizzo.

L’argomento si fonda sul principio del primato del diritto dell’Unione, secondo cui le norme europee direttamente applicabili prevalgono su qualsiasi norma interna, anche di rango costituzionale. Tuttavia, la Cassazione non si è limitata a recepire tale impostazione, ma ha preferito sollevare dubbi interpretativi, rimettendo eventualmente la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

La richiesta di rinvio pregiudiziale e le questioni interpretative sollevate

In via subordinata al ricorso, l’Ambito di Caccia ha sollecitato il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE, per chiarire se la mancata presentazione della dichiarazione “de minimis” da parte dell’impresa debba condurre all’irricevibilità automatica della domanda, anche nel caso in cui l’amministrazione non abbia mai richiesto la produzione di tale documento.

La Cassazione, accogliendo parzialmente tale impostazione, si è riservata di valutare l’opportunità del rinvio, rinviando il deposito della motivazione. Il quesito giuridico di fondo concerne il bilanciamento tra il principio di primato del diritto dell’Unione e i principi di buona fede, proporzionalità e legittimo affidamento, che impongono di tenere conto del comportamento delle amministrazioni pubbliche e dell’eventuale colpevolezza del beneficiario.

Prospettive applicative: obblighi degli ATC, ruolo della Regione e tutela dell’imprenditore agricolo

La vicenda evidenzia la necessità di una maggiore armonizzazione tra fonti normative di livello differente. È evidente come la mancata tempestiva attuazione a livello regionale del Regolamento europeo abbia generato effetti paradossali, imponendo all’imprenditore agricolo oneri non previsti dalle norme di riferimento e difficilmente conoscibili.

In tale contesto, la responsabilità degli ATC si configura non solo come attuatori delle direttive regionali, ma anche come enti tenuti a verificare la compatibilità delle proprie prassi con il diritto sovranazionale. Ugualmente, la Regione ha l’onere di assicurare che le procedure amministrative siano aggiornate e coerenti con il quadro giuridico europeo.

Per l’imprenditore agricolo, la questione si traduce in un’esigenza di certezza giuridica: non può essere pretese l’osservanza di obblighi formali non comunicati e non previsti nei moduli ufficiali, né tantomeno penalizzare retroattivamente comportamenti che si sono uniformati alle disposizioni vigenti.

Conclusioni

L’ordinanza n. 25223/2024 della Corte di Cassazione pone al centro dell’attenzione una questione giuridica cruciale: l’efficacia diretta e imperativa del diritto dell’Unione in materia di aiuti “de minimis” può dirsi automaticamente operativa anche quando la prassi amministrativa e la regolamentazione regionale siano rimaste ferme a uno stadio normativo anteriore?

Il principio del primato, per quanto solido, deve confrontarsi con la concreta realtà dei rapporti giuridici, in cui le amministrazioni locali hanno l’obbligo di mettere i cittadini nelle condizioni di rispettare il diritto. L’assenza di chiarezza e coordinamento tra le fonti non può ricadere sul soggetto più debole, in questo caso l’imprenditore agricolo, che ha operato in buona fede nel rispetto delle regole conosciute e applicate.

In attesa della decisione definitiva della Corte o di un eventuale rinvio pregiudiziale, la vicenda rappresenta un monito per il legislatore regionale e per le autorità competenti, chiamate a garantire non solo l’adeguamento formale al diritto europeo, ma anche la sua effettiva fruibilità da parte dei cittadini.

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