L’immagine nel contratto: la funzione integrativa della volontà

in Giuricivile, 2018, 12 (ISSN 2532-201X)

L’oggetto di indagine è rappresentato dai contratti e dal possibile ruolo e dalle possibili funzioni che le immagini svolgono nell’ambito del contratto stesso.

Generalmente, i contratti, quali strumenti di autoregolamentazione di interessi, si concepiscono come documenti giuridici, testi o insieme di enunciati giuridici formulati linguisticamente (siano essi enunciati constatativi siano essi enunciati performativi).

Con il presente elaborato si cercherà di chiarire se, nell’ambito di un contratto, l’immagine o, più in generale, il disegno possa assolvere una specifica funzione: la funzione integrativa della volontà contrattuale.

L’immagine può rilevare secondo due direttrici:

  • all’interno dell’attività di documentazione del contratto (si pensi agli allegati ad un contratto come, per esempio, le planimetrie). In questo primo senso, l’immagine rileva con riferimento alla ‘completezza’ del contratto;
  • nell’attività di contrattazione: l’immagine, in questo secondo senso, rileva in quanto contribuisce ad individuare l’oggetto del contratto e costituisce elemento perfezionativo della fattispecie contrattuale. L’oggetto del contratto non si identificherà con il bene (che può anche non essere ancora venuto ad esistenza) ma con il c.d. “risultato programmato”.

Il rapporto tra il diritto ed il disegno non può certo definirsi pacifico. Nel diritto, storicamente, non vi sono immagini che impongano determinati comportamenti o “descrivano” il contenuto di norme.

Nel presente elaborato verranno indagate le due direttrici di cui ai punti (i) e (ii). Da tale indagine, emergerà quale specifica funzione l’immagine assolve nella teoria del contratto: si tratta della c.d. funzione integrativa della dichiarazione di volontà delle parti contraenti.

1. La funzione integrativa della volontà contrattuale: di che cosa si tratta?

La funzione integrativa assolta dall’immagine rileva, per esempio, in tema di vendita immobiliare in quanto in questo ambito è di estrema importanza l’esatta identificazione dell’immobile che ne costituisce l’oggetto, sia esso un appartamento, una porzione di fabbricato, un fondo.

A questo proposito, gli estremi di identificazione catastale devono essere integrati con l’indicazione delle c.d. coerenze, vale a dire degli esatti confini perimetrali del bene (la cui specificazione esclude la censura di indeterminatezza del bene oggetto della vendita (Cass. Civ. Sez. II, n. 9857/07).

2. La posizione della giurisprudenza.

La questione relativa all’esatta identificazione del bene che forma oggetto del contratto non è immune da problematicità. Occorre riferire, infatti, che la giurisprudenza, nell’ipotesi di discordanza tra il dato catastale relativo al numero di mappa e quello che scaturisce dall’indicazione celle coerenze, privilegia proprio quest’ultimo (Cass. Civ., Sez. II, n. 7138/90; Cass. Civ. Sez. II, N. 817/2014.

Secondo questi orientamenti giurisprudenziali, i semplici dati catastali non possiedono una valenza determinante rispetto alla descrizione scaturente dal tenore del contratto. (Cass. Civ. , Sez. II, 6166/2006). In dottrina si è prospettata la necessità che in ipotesi di discordanza di questo tipo, occorra ricostruire l’effettivo intento delle parti[2].

Si è discusso, inoltre, l’eventuale rilevanza di dati o documenti estrinseci rispetto al contratto. È stato deciso che l’oggetto della vendita immobiliare debba essere di per sé determinato o determinabile con sicurezza per il tramite dell’inequivocabile identificazione degli esatti confini o di altri dati oggettivi, escludendosi la possibilità di fare riferimento ad un documento come la licenza di costruzione, estraneo al contratto (Cass. Civ., Sez. II, n. 6516/13.

Così Bianca in La vendita e la permuta, 1972: “La identificazione dell’immobile venduto accerta quale sia il bene sul quale cade il diritto che il contratto trasferisce al compratore. Ai fini di questo accertamento è importante l’indicazione dei confini: i confini sono infatti i connotati attraverso i quali l’immobile si distingue nella sua entità rispetto agli altri immobili. Per stabilire a quale bene il contratto faccia riferimento indicazione dei confini non è tuttavia sempre sufficiente. Quando è venduta una porzione di uarea sovrastante il suolo occorre infatti delimitarne l’estensione in altezza. L’identificazione dell’immobile avviene anche attraverso i dati catastali: questa indicazione – accompagnata dalla specificazione di almeno tre confini – è anzi appositamente richiesta per la trascrizione del contratto[3].

Peraltro, anche in mancanza di tali dati la trascrizione è valida se non ne derivi incertezza sull’immobile al quale il negozio si riferisce (art. 2665 cod.civ.). Ai fini della validità del contratto l’esigenza di certezza cica l’immobile venduto è fondata sul diverso principio della determinatezza dell’oggetto negoziale (art. 1346 cod. civ.). Ciò che rileva, conformemente a tale principio, è che le indicazioni della parti siano tali da consentire anche indirettamente l’identificazione dell’immobile: che il bene, cioè, sia identificato o identificabile”[4].

2.1. Che cosa accade nell’ipotesi di discordanza degli elementi di identificazione?

“Quando il contratto contiene più elementi di identificazione dell’immobile è possibile che tali elementi non siano concordanti[5]. Il problema che allora si pone è quello della ricerca del concreto bene venduto secondo la retta interpretazione del contratto. Questo problema di identificazione non deve essere confuso con la diversa questione della discordanza tra la descrizione quantitativa e qualitativa del bene e lo stato reale del bene stesso. In quest’ultimo caso non entra in discussione l’identità del bene venduto ma la sua rispondenza alla previsione contrattuale. La discordanza dei dati di identificazione si manifesta di frequente come mancata coincidenza delle indicazione dei confini e delle indicazioni catastali. Nel contrasto di tali indicazioni una comune proposizione giurisprudenziale dà la prevalenza alle prime”[6].

2.2. Il fondamento della prevalenza dell’indicazione dei confini

Occorre chiedersi quale sia il fondamento della prevalenza dell’indicazione dei confini rispetto alle indicazioni catastali: “Il fondamento di tale prevalenza non può essere ravvisato in ciò, che le rilevazioni catastali avrebbero una funzione meramente fiscale e non probatoria. A questo argomento è agevole obiettare che le rilevazioni catastali sono richiamate nel contratto non come prova del diritto ma esclusivamente per precisare quale immobile (o porzione di esso) è venduto al compratore. Può intendersi allora la critica dottrinaria all’idea di una rigida gerarchia formale tra i vari elementi di identificazione del bene, in una operazione che tende a ricostruire l’effettivo intento delle parti. Nell’accertare tale intento la prevalenza delle indicazioni dei confini può giustificarsi piuttosto in base al rilievo di comune esperienza che confini materiali (muri, corsi d’acqua, ecc.) si prestano ad essere percepiti direttamente e rispondono quindi più fedelmente alla rappresentazione delle parti di quanto non facciano dati tecnici, numerici o figurativi”[7].

Controversi sono gli effetti dell’allegazione all’atto di vendita della planimetria catastale. In tal caso, ci si è chiesti se, nell’ipotesi di difettosa rappresentazione grafica del bene nella sua integralità, le porzioni del medesimo eventualmente non risultanti debbano, perciò, reputarsi escluse dall’effetto traslativo. Anche se in un’ipotesi la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata proprio in tal senso (Cass. Civ., Sez. II, N. 13338/2003), ci si può legittimamente chiedere se questa conclusione sia univocamente condivisibile. Che cosa si potrebbe dire nell’eventualità in cui le parti non rappresentate nella planimetria non posseggano alcuna residua autonoma fruibilità?.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione (si veda Cass. n. 10698 del 1994; Cass. n. 11744/1999; Cass. n. 15304/2006; Cass. n. 20131/2013) ha ritenuto che nell’interpretazione dei contratti di compravendita immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti circa l’estensione dell’immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di frazionamento approvato dai contraenti ed allegato all’atto notarile trascritto, e l’indicazione dei confini risultanti dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari valore.

Per quanto attiene alle risultanze di cui ad una planimetria che fosse stata allegata all’atto, a fronte di pronunce che hanno deciso nel senso della prevalenza del tenore testuale di quest’ultimo rispetto alle difformità che emergessero dalla rappresentazione grafica, pur se oggetto di allegazione (Cass. Civ., Sez. II, N. 12594/13), è presente un orientamento, oramai consolidato, secondo il quale, invece, planimetrie catastali e tipi di frazionamento possiedono pari valenza rispetto al testo contrattuale (Cass. Civ., Sez. II, n. 4934/2014).

Pertanto, si è specificato (si veda Cass. n. 5123/1999; Cass n. 6764/2003) che le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del negozio, salvo, poi, rimettere al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle planimetrie allegate al contratto, il compito di risolvere la “quaestio voluntatis” con riferimento alla maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto.

Da ciò consegue che il giudice del merito chiamato ad interpretare la volontà negoziale in un contratto di trasferimento di bene immobile è tenuto ad utilizzare il tipo di frazionamento e la planimetria catastale ai quali le parti abbiano fatto univoco riferimento, onde, in caso di configurazione di dati contrattuali configgenti con tali documenti, egli deve risolvere la “quaestio voluntatis” in base all’esame complessivo del contratto stesso (e, quindi, valorizzando adeguatamente anche le risultanze planimetriche formanti parte integrante del rogito di provenienza), offrendo una motivazione che risponda ai requisiti di logicità e sufficienza.

Ai fini del presente elaborato, è opportuno soffermarsi su come, recentemente, la giurisprudenza ha affrontato la questione relativa all’integrazione della volontà contrattuale mediante l’utilizzo di ‘immagini’, allegate al ‘testo’ contrattuale.

Richiamo. la sentenza della Suprema Corte: Cassazione civile, sez. II, 28/11/2012, ud. 25/10/2012, n. 21127. Il fatto è così descritto.

3. Il fatto: un caso concreto di immagini allegate al testo contrattuale

Due coniugi, proprietari di un immobile, convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale i vicini per sentirli condannare a ripristinare la servitù di passaggio eliminando l’occlusione che impediva l’accesso alla loro proprietà, nonchè per rimuovere la serratura apposta al cancello di ingresso al cortile comune oltre al risarcimento dei danni. Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda e deducendo che il cortile non era comune ma di loro esclusiva proprietà; assumevano, inoltre, che a seguito della transazione per notaio, in data 22.5.1980, la servitù di passaggio attraverso il vano cucina non aveva più ragione di esistere.

Con sentenza depositata il 5.9.2003 il Tribunale condannava i convenuti a rimuovere gli ostacoli frapposti alla servitù di passaggio attraverso la cucina a piano terra di loro proprietà e, per il resto, rigettava la domande relative alla corte comune ed al risarcimento del danno.

Avverso tale sentenza i vicini proponevano appello cui resistevano i coniugi, proponendo, altresì, appello incidentale in ordine al mancato riconoscimento del loro diritto di comproprietà del cortile ed in ordine al rigetto della domanda risarcitoria. Sostenevano gli appellanti che le controparti, avevano realizzato un nuovo accesso alle loro proprietà, concordando, con detto atto di transazione, la modifica della servitù di passaggio fino ad allora esistente, rinunciandovi e contestualmente trasferendo la servitù sul diverso ingresso.

Con sentenza depositata il 15.3.2006 la Corte territoriale rigettava l’appello principale e quello incidentale compensando interamente tra le parti le spese del grado. Osservava la Corte di merito, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità, che l’atto di transazione specificava le concessioni fatte dai vicini ai coniugi dietro pagamento di un corrispettivo, senza alcun riferimento all’asserita “rinuncia” della servitù di passaggio attraverso la cucina degli appellanti; peraltro, trattandosi della soppressione e/o modifica di diritti reali, occorreva una rappresentazione certa mediante forma scritta.

I vicini proponevano dunque ricorso in Cassazione sulla base di un motivo articolato sotto tre diversi profili, seguito dalla formulazione dei relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

4. Il diritto

In diritto, la Corte di Cassazione ha rilevato, in particolare: […] c) la Corte territoriale aveva omesso di accertare la comune intenzione delle parti sulla base non solo del senso letterale delle parole adoperate nell’atto transattivo ma anche del comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione della transazione, non avendo accertato il significato dell’espressione “ex vano scala” adoperata nella didascalia riportata in planimetria ed il dato oggettivo temporale della instaurazione del giudizio de quo, da parte dei coniugi proprietari, ben 19 anni dopo l’accordo transattivo che aveva comportato la soppressione del vecchio accesso attraverso la cucina dei ricorrenti e la coeva realizzazione di un nuovo, autonomo accesso direttamente dal cortile; sussisteva, quindi, la violazione del criterio interpretativo della buona fede ex art. 1366 c.c. e di quello di cui all’art. 1367 e 1371 c.c., nonchè del canone previsto in materia di servitù dall’art. 1065 c.c., stante il mancato contemperamento degli interessi dei contraenti con riferimento al permanere di una servitù di accesso attraverso il vano cucina di un appartamento altrui, pur in presenza della realizzazione di un nuovo accesso diretto dal cortile alla via pubblica,senza tener conto, inoltre,della deposizione di teste il quale aveva riferito di un accordo tra le parti, in occasione della transazione del 1980, per l’eliminare l’accesso all’immobile dei coniugi attraverso il vano cucina dei ricorrenti.

Orbene, secondo il principio di diritto affermato da questa Corte, il requisito di forma scritta stabilito dall’art. 1350 c.c., n. 5, per la rinuncia ad una servitù, può essere integrato dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso richiamati nel contratto, non essendo necessarie formule sacramentali sicchè le piante planimetriche allegate ad un contratto, avente ad oggetto immobili, fanno parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale, quando ad esse i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, rimanendo, peraltro, riservata al giudice di merito la valutazione della incidenza di tali documenti sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto(Cfr. Cass. n. 10457/2011; n. 6764/2003).

Il giudice di appello avrebbe dovuto, quindi, valutare dette diciture apposte sugli allegati planimetrici richiamati in contratto, trattandosi di atti scritti che se fossero stati esaminati, avrebbe potuto comportare una diversa soluzione della causa (Cfr. Cass. n. 3932/1981; n. 13263/09).

La massima che si ricava dalla citata sentenza è così formulabile:

“le piante planimetriche allegate ad un contratto, avente ad oggetto immobili, fanno parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale, quando ad esse i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, rimanendo, peraltro, riservata al giudice di merito la valutazione della incidenza di tali documenti sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto”.


[1] Avvocato e Dottorando di Ricerca in Scienze Giuridiche presso l’Università di Cagliari.

[2] Così Bianca, La vendita e la permuta. In: Tratt. Dir. civ. it., diretto da Vassalli, Tornino, 1972, p. 232; Rubino, La compravendita. In: Tratt. Dir. civ. e comm., vol. XXIII, Milano, 1971, p. 109.

[3] La nota di trascrizione deve infatti contenere le indicazioni richieste per l’identificazione dell’immobile ipotecato, e cioè indicazione del Comune , del numero di catasto o delle mappe censuarie, dove esistono, e di almeno tre confini (artt. 2659, 2826 cod. civ.). Analoga disposizione è dettata con riguardo al contenuto dell’atto notarile (art. 51, n. 6, L. 16 febbraio 1913 n. 89).

[4] Bianca, La vendita e la permuta, 1972, pp. 230-232.

[5] Bianca, La vendita e la permuta, 1972, pp. 233: “Questa eventualità si prospetta anche in relazione alle rappresentazioni topografiche del bene, quali ad es. gli atti di frazionamento. In linea di massima, la rappresentazione topografica non è determinante. La redazione di piante può rispondere a fini catastali (volturazione) e limitarsi a tradurre graficamente l’immobile già identificato in contratto: onde la discordanza deve intendersi come errore della pianta. Non può escludersi, tuttavia, che le parti identifichino il bene proprio mediante la pianta e in tal caso si pone allora il problema dell’onere della forma scritta. Per un precedente giurisprudenziale (v. App. Torino, 23 gennaio 1959, in: Giur. it., 1960, I, 2, p. 422), con nota di Protettì: i documenti redatti dal tecnico, anche se sottoscritti dalle parti, non possono servire ad integrare il rogito contenente un contratto di vendita, nemmeno quando siano espressamente richiamati nell’atto pubblico, se non si dimostri, da parte di chi alleghi il fatto, che tali documenti siano anteriori all’atto di vendita”.

[6] Bianca, La vendita e la permuta, 1972, pp. 233-234: “Vedi, ad es., Cass., 17 marzo 1967, n. 596 (Mass. Giur. it., 1967) e 6 luglio 1966, n. 1763: allo scopo di identificare l’immobile venduto, i confini costituiscono elemento principale dell’identificazione medesima onde, nel contrasto tra i confini e i dati catastali risultanti dall’atto, va attribuito valore preminente ai primi. Cass., 20 luglio 1971, n. 2345: ai fini della identificazione dell’immobile trasferito, i confini indicati nell’atto di trasferimento, sia questo un contratto di vendita ovvero una sentenza di aggiudicazione, rappresentano l’elemento principale, cosicché nel contrasto fra i dati catastali e i confini indicati nell’atto, questi ultimi assumono efficacia prevalente, sempre che siano precisi e utilizzabili per detta identificazione”.

[7] Bianca, La vendita e la permuta, 1972, pp. 234.

Dottorando di ricerca in Filosofia del diritto. Cultore di materia in Filosofia del diritto e Teoria Generale del diritto presso l’Università degli Studi di Cagliari. Laureato in Giurisprudenza con tesi in Filosofia del diritto dal titolo: "Filosofia dei segnali stradali", con la quale ha vinto il Premio Nazionale sulla Sicurezza Stradale – Fondazione ANIA, nella categoria giuridico-economica. Autore di diverse pubblicazioni. Promotore del Legal Design nel contratto, tematica oggetto della sua tesi di dottorato, approfondita anche con un’attività di ricerca svolta presso l’InHolland University of Applied Sciences in Rotterdam. È stato stagista ex art. 73 Decreto ‘del Fare’ presso la Corte d’Appello di Cagliari – Sezione Penale.

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